Antonello da Messina a Palazzo Reale di Milano

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Lo stupore e la magia degli sguardi che rendono vitali i  personaggi ritratti accanto alla forza e al vigore  che si leggono nei  loro volti,   arricchiti dalla lucentezza di un  colore straordinario che condensa i risultati  della pittura rinascimentale del Nord e del Sud d’Europa,  costituiscono la cifra stilistica peculiare della pittura di Antonello da Messina, artista fra i maggiori del nostro Quattrocento,   le cui opere saranno visibili nella mostra inaugurata a Palazzo Reale a Milano  il 20 febbraio   e che rimarrà aperta al pubblico fino al 2 giugno 2019. Mancava un progetto dedicato ad Antonello da Messina. Le ragioni sono diverse: poche e bellissime sono le opere del pittore  salvate dalla distruzione provocata dagli  avvenimenti naturali  e dall’incuria degli uomini e  la difficoltà di riunire  i quadri sparsi nei   musei di tutto il mondo, ha spiegato  il  direttore di Palazzo Reale, Domenico Piraina. Questa esposizione che per la prima volta a Milano permetterà di vedere diciannove delle trentacinque opere che fanno parte della sua autografia ,   ha detto l’assessore alla Cultura  del Comune di Milano, Filippo del Corno,  si è resa possibile grazie alla collaborazione di istituzioni museali  italiane e straniere. Un lavoro di equipe di alta specializzazione  coordinato  dalla Regione Sicilia e dal  Comune di Milano che ha il pregio di fare  focus sul pittore messinese che ha rivoluzionato grazie, ad una particolare tecnica ad olio, ma si potrebbe precisare anche attraverso un diverso modo di svelarci i segreti dell’umano,  il modo di dipingere. Le sue invenzioni che traggono ispirazione  dal mondo fiammingo ma  che egli  ha declinato con un  personale intendimento che mescola tempera ed olio e si sbizzarrisce con velature incantevoli, ci restituisce volti che potremmo, affascinati, osservare per lunghe ore per udire le frasi  che essi sembrano sul punto di pronunciare  o  solo per scoprire le intenzioni celate che lasciano suggerire le loro posture. Il ritratto d’uomo, detto anche d’ignoto marinaio, proveniente dalla Fondazione Culturale Mandralisca di Cefalù, ci incuriosisce per il suo  sorriso ironico e ci riporta alla memoria  un altro famoso movimento delle labbra  della storia dell’arte italiana, quello della Gioconda di Leonardo da Vinci.  In un altro quadro  Il ritratto d’uomo, detto anche   il Condottiero la particolare resa dei tratti fisiognomici: occhiaie, qualità e colore della pelle, piccole cicatrici e acconciatura dei capelli individuano un’abilità ritrattistica ineguagliabile. Un’occasione di rilievo per la valorizzazione del patrimonio culturale siciliano ha definito l’esposizione di Milano, l’assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Sebastiano Tusa e l’Annunciata l’opera simbolo di Antonello da Messina rimarrà come ricordo di un’operazione culturale straordinaria. L’Annunciata, l’icona della pittura del nostro Quattrocento che campeggia ovunque: nel catalogo, nelle locandine e in tanti oggetti presenti in mostra, ha la delicatezza e il fascino del mistero femminile che essa incarna. Il manto azzurro rivestito di lapislazzuli che le circonda il volto la avvolge del colore di un cielo infinito. Si scardina l’impaginazione tradizionale dell’Annunciazione, scompare l’angelo e il turbamento di questo evento si traduce negli occhi e nel movimento impercettibile delle mani della Vergine. Essa incanta da ovunque si guardi.  Il valore di questo pittore è chiaramente espresso già nelle parole siglate nel cartellino di un’opera  del figlio di Antonello da Messina, presente in mostra, La Madonna con il bambino dell’Accademia di Bergamo, dove Jacobello si definisce figlio di un pittore non umano, ossia  divino. Questa consapevolezza e  questi meriti sono stati sottolineati sia dal curatore della mostra, il professore Giovanni Carlo Federico Villa nella chiusura del suo discorso di presentazione, sia dal professore Vittorio Sgarbi in  apertura al  suo intervento.  Giovanni Villa  parlando di Antonello da Messina e del grave fatto che solo ottant’anni dopo la sua  morte si erano già perse tracce e documenti, ha indicato  il valore aggiunto dato dalla presenza a Palazzo Reale di  sette taccuini  e  di diversi fogli ricchi di annotazioni di Giovan Battista Cavalcaselle, lo studioso dell’Ottocento, autore della monumentale Storia della pittura italiana, che per primo riuscì a ricostruire il percorso pittorico del pittore siciliano. Grazie ai taccuini possiamo meglio comprendere la particolare tecnica di Antonello da Messina, che si presenta diversa da quella fiamminga e da quanto si stava elaborando allora in Veneto. Uno dei capolavori del maestro è sicuramente la tavola con San Gerolamo nello studio che rivela le sue capacità prospettiche e di resa architettonica arricchite da un uso sapiente della luce essenziale nel ricreare lo spirito di concentrazione dello studioso immerso in uno spazio chiuso, ma al tempo stesso in relazione attraverso le finestre con la natura. Ogni cosa è descritta con acribia minuziosa dove oggetti e animali come il pavone denotano valori simbolici. Quest’uccello rinomato per la sua bellezza allude all’immortalità, mentre la pernice alla tentazione o anche alla verità.

 La Crocifissione di Sibiu, dipinta su una tavola di pero, essenza piuttosto rara, mostra influenze dell’arte borgognona nelle parte inferiore del dipinto dove incontriamo le Marie: qui troviamo riferimenti anche a monumenti, come il monastero basiliano di San Salvador, della Messina del tempo: tratto tipico di un tipo di religiosità, la devotio moderna, dove ci si avvicina al sacro attraverso la meditazione sulla quotidianità. Un tema sul quale Antonello ha lavorato molto nel corso del suo percorso artistico è l’Ecce Homo. Soffermandoci sull’esemplare del Collegio Alberoni di Piacenza notiamo la mestizia di questo volto dove le lacrime acquistano lucentezza e  i segni della sofferenza  della corda che disegnano ombre sul corpo, ma in particolare osserviamo le labbra piegate verso il basso assieme agli occhi con le sopracciglia, anch’esse inclinate verso il basso. Questo  Cristo sembra riportarci al  Vangelo di Giovanni, quando Pilato ordina di far flagellare Gesù, dopo aver chiesto se vogliono libero Barabba o il figlio di Dio. Un figlio qui più uomo, nella delusione che gli si legge nel volto che reca lo sgomento  per l’incomprensione del male degli uomini. Sul  polittico di Firenze- Milano: la Madonna con il Bambino  e due angeli reggi corona con San Giovanni Evangelista e San Benedetto si è soffermato al termine della conferenza stampa, Vittorio Sgarbi per narrare le carambolesche avventure che hanno portato alla sua riunione: vicende fatte di riconoscimenti contrastati, acquisti e  restauri  complessi. La storia dell’arte  spesso racconta di molti polittici smembrati e poi dispersi in palazzi, in chiese e in magazzini di musei spesso  interrompendo così quel fascinoso dialogo che questi insiemi di tavole costruiscono fra i personaggi rappresentati. Dialoghi silenti che li uniscono come nel polittico in mostra. Quando questi pezzi si rimettono insieme ,anche se solo per poco tempo,  si completa un mosaico  a cui mancavano i pezzi  e si ricomincia  una misteriosa narrazione interrotta. Nel catalogo dell’esposizione prodotta da MondoMostre Skira la maestria nella riproduzione delle opere ci restituisce ancora la qualità della materia pittorica di Antonello da Messina in particolare nei numerosi ingrandimenti dei particolari dei quadri, spiegati in approfondite schede tecniche che ne svelano i contenuti e la storia.

Patrizia Lazzarin, 21 febbraio 2019

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E' una lotta per la salvezza e la vitalità dei borghi italiani

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Aver cura  dei borghi italiani non significa solo occuparsi della loro bellezza, ma anche della loro vivibilità e sicurezza. Sono tre peculiarità inscindibili che formano le linee direttive del progetto Borgoalive promosso dal Concilio Europeo dell’Arte che ha come obiettivo assegnare  un certificato di garanzia, di diverso colore, giallo, arancione o rosso in base al grado di attuazione delle Best Practices, ossia dei metodi utili a  salvaguardare e ad incrementare lo sviluppo economico dei piccoli  borghi italiani, combattendo il loro progressivo spopolamento e poi  abbandono. L’argomento oggetto della  conferenza che si è tenuta a Venezia in questi giorni, negli spazi di  InParadiso Art Gallery,   durante la  sedicesima Edizione della Biennale d’Architettura,  mostra i suoi caratteri di internazionalità nella collaborazione del Concilio Europeo e quindi il valore prezioso delle  realtà geografiche dei nostri borghi italiani, non solo di  quelli più rinomati, ma anche dei piccoli paesi montani, poco noti  e a volte perfino  poco accessibili. La giornata di studio  promossa dalla Fondazione Cariplo, da dieci anni impegnata nella cura e gestione del patrimonio culturale e nella conservazione dei beni architettonici, ha visto la partecipazione dei   rappresentanti della Regione Lombardia,  di esperti dei maggiori atenei italiani,  di uomini politici occupati  nella gestione delle risorse pubbliche e private e di Fiorello Primi, presidente dell’associazione:  Borghi più belli d’Italia, di cui egli è stato socio fondatore. Le strategie della Fondazione Cariplo  negli ultimi anni si sono  rivolte  in Lombardia a 400 beni storici, investendo novanta milioni di euro  e poi  10 milioni di euro sono stati destinati a un progetto denominato AttivAree che ha come obiettivo la rinascita dell’Oltrepò Pavese e dell’alta montagna bresciana. Un fatto importante che è emerso dalle parole dei relatori è la qualità dell’impegno profuso in queste aree non solo lombarde ma più in generale italiane.  Un’Italia che ha tremato e le sue membra: palazzi, chiese, abitazioni e  torri sono crollate.    Ricordiamo i  terremoti a noi  temporalmente più vicini come quello dell’Umbria nel 1997, quelli  in Basilicata e Calabria nel 1998, nel comune dell’Aquila nel 2009, in Emilia Romagna nel 2012 e ad Amatrice nel 2016. Umbria, Marche, Abruzzo ma ancora Friuli Venezia Giulia e Sicilia sono state regioni colpite in maniera violenta  dai sismi con danni assai rilevanti alle persone e alle cose. Per questo risulta importante, come ha sottolineato Gabriele Nannetti, della Soprintendenza di Firenze, l’applicazione della recente normativa approvata a luglio, in tema di costruzioni soprattutto nei territori a rischio. E  in questo ambito risulta assai  tempestivo  il successivo  discorso  di Marco Pretelli, prof. di Restauro all’Università di Bologna, che ha evidenziato in maniera chiara quali sono i rischi dei cattivi interventi in fabbricati storici. Edifici che vengono violentati dalle nuove tecnologie. Esempi da non ripetere sono ad esempio la ricostruzione  di solai in calcestruzzo armato che hanno sostituito quelli tradizionali in legno, i lavori per i nuovi impianti che non rispettano la continuità delle murature e ancor di più l’apertura di grandi finestre e porte che, allargando la misura dei vuoti nel sistema dell’edificio ne spezzano la sua capacità di adattarsi ai traumi, come ad esempio i terremoti. L’incolumità di questi territori non è però sufficiente per essere promossi e vedersi riconosciuto il certificato di Borgoalive. La conoscenza dell’esperienza del Presidente dei Borghi più belli d’Italia  che è stato sindaco di Castiglione del Lago è stata utile per apprendere, da una voce protagonista, quali sono gli obiettivi che vanno perseguiti  per rilanciare questi luoghi  ed impedire il loro abbandono da parte dei residenti.  In primo luogo l’accessibilità ad essi e i movimenti all’interno: devono essere raggiungibili in maniera semplice e si deve garantire un certa facilità di mobilità nei loro spazi. Le persone rimangono poi,  se ci sono i servizi e  possono usufruire delle nuove  tecnologie come quelle informatiche. Manca però ancora un tassello per completare l’opera. La vitalità si misura nella capacità di sviluppare piani integrati del territorio con lo scopo di  migliorare le produzioni agricole  locali e lo sviluppo delle attività di accoglienza come ad esempio i bed and breakfast e gli alberghi diffusi  che sonocompatibili con la specificità di questi luoghi. Gli obiettivi da perseguire sono proprio quelli sostenuti anche da Lorenza Gazzerro della Fondazione Cariplo: l’innovazione tecnologica accompagnata da buone prassi stabilendo delle priorità d’intervento. E’ necessaria una maggiore opera di sensibilizzazione e di coinvolgimento. Buoni risultati sono già stati ottenuti grazie agli investimenti privati che hanno creato sinergia con quelli pubblici maturando maggiori somme disponibili per le opere. Tante energie sono quelle necessarie ed esse possono trovare un simbolo nell’opera artistica esposta in galleria InParadiso, nel caffè storico dei Giardini della Biennale: l’Albero sonico di Marco Guglielmi Reimmortal che risponde all’abbraccio del visitatore con dei suoni  grazie a dei sensori posizionati sulle sue  membra. I suoni emessi sono soavi  in un dialogo sonoro e allo stesso tempo emotivo. L’albero  rappresenta la Vita. Nel secondo ambiente della galleria un ramo sbiancato e annerito dalle intemperie e ripescato dalla palude è appeso ai Dimmi e fa riferimento a quello che rimane dopo il Terremoto: esso è l’emblema della Morte. Rumori flebili si alzano al tocco del turista curioso. Tanti Dimmi infine nella terza  stanza degli Enigmi. Un grande Dimmi svetta sul plastico delle macerie di Amatrice a cui l’opera di Marco Guglielmi è dedicata. Giunge in modo semplice  alla nostra mente il pensiero: tanti paesi ricchi di storia e di bellezze naturali insieme a piccoli borghi con poche anime, ma con forti tradizioni culturali sono un patrimonio, in alcuni casi essi  sono siti UNESCO, che non può essere lasciato decadere perdendo un’ eredità di secoli di vita.

Patrizia Lazzarin, 2 ottobre 2018

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