La profonda crisi del Pd, una ferita per il Paese

Per il Partito democratico quanto è accaduto domenica 24 giugno 2018 è qualcosa di ben diverso da una sconfitta, sia pure assai grave. È qualcosa di molto vicino a una autentica espulsione dalla storia che significa anche la fine di una storia. Una storia cominciata male, in modo ambiguo e pasticciato 25 anni fa: una forte matrice comunista mai rivisitata e indagata ma semplicemente rimossa, un vantato innesto con il cattolicesimo politico di tutte le tinte (da don Sturzo a Livio Labor), e infine la costruzione di un Pantheon di presunti antenati messo insieme come un mazzo di carte (Giovanni Amendola accanto a Nelson Mandela, Primo Levi con don Milani). L'analisi del prof. rnesto Gali Della Loggia sul Corriere della Sera.

Il partito democratico è alla deriva e fa finta di nulla

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Il M5S spaventa Renzi

Si è perduta la destra. Questa destra, in fondo, l'aveva inventata Silvio Berlusconi. Scongelando i post-fascisti guidati da Fini. E, coalizzando, anzi: portando al governo, la Lega padana di Bossi. Lega Nord e Lega Sud. Nazionalisti e secessionisti, uno dei tanti miracoli italiani, di cui Berlusconi costituisce un caso esemplare. Parallelamente, aveva re-inventato i comunisti. Cioè: tutti coloro che si collocavano contro. Di lui. Un vero "centro", in questo Paese, non c'è mai stato. Eredità del bipartitismo imperfetto della Prima Repubblica. Impostato sull'opposizione fra comunisti e anticomunisti, riprodotta da Berlusconi. Fino a ieri, appunto. Perché oggi non esiste più. Certo l'eredità di Berlusconi conta ancora molto. Tutti i partiti sono mediali e personali. L'analisi su la Repubblica di Ilvo Diamanti.

Un problema per il Paese l'inconsistenza della Destra

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La partita di Renzi con il Pd e con il Paese

Renzi, segretario e premier, riscuote un notevole consenso nella pubblica opinione, è bravo, sa parlare, persegue e in parte attua riforme. La sua parola d'ordine è: "cambiamento". Governa da solo. Quest'ultimo particolare gli procura quella notevole fiducia di cui gode proprio perché molti italiani detestano i partiti e molti se ne infischiano perfino della democrazia. Dunque: scarsa fiducia al Pd, molta fiducia al premier. È un fatto strano? Certamente lo è, ma questa è la situazione. Del resto non è una novità, in Italia è avvenuto spesso e l'esempio più recente è stato Berlusconi: per vent'anni  -  sia pure con alcune interruzioni  -  ha avuto un consenso personale di massa. Nel suo caso il partito Forza Italia di fatto non esisteva sul territorio, non faceva quasi mai congressi, gli organi collegiali non avevano alcun peso, Berlusconi decideva tutto, consultando non più d'una dozzina di persone. (...) Dover gestire un partito o pezzi di partiti non è il forte di Renzi e mette comunque in discussione quel comandare da solo che sta bene a molti italiani ma non ai partiti che gli si oppongono in Parlamento né alla sua minoranza. Per questo ha abolito il Senato, dove elettoralmente non esiste il premio di maggioranza. Ha vinto per il rotto della cuffia riuscendo ad ottenere anche il voto della sua minoranza teoricamente dissidente ma di fatto consenziente avendo ottenuto molto poco in contropartita. L'editoriale di Eugenio Scalfari su la Repubblica.

L'Italia renziana non ha una marcia in più

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