Arte del vedere... a Treviso

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Occhiali per guardare il mondo, per essere visti, ammirati in fogge e pose diverse, paesaggi dentro le lenti che appartengono ai nostri sogni. I mondi possibili, gli universi visibili, immagini che diventano realtà tangibili e molto altro. Quando si parla di occhiali si ragiona in primis di visione, ma questa vista sul mondo ha più significati. Le loro forme traducono da subito un ambiente e un luogo, rivelano un momento storico.

Anche oggi, nella giornata di ferragosto,  al Museo nazionale Collezione Salce, potremmo ammirare l’esposizione Arte del Vedere. Manifesti e occhiali dalle Collezioni Salce e Stramare, a cura di Elisabetta Pasqualin e Michele Vello, con la collaborazione di Mariachiara Mazzariol  e, realizzata in collaborazione con Punti di Vista. La rassegna sarà visibile fino a  domenica 6 ottobre 2024 ed è stata allestita  a Treviso, nell’ex chiesa di Santa Margherita. In essa si  esplora il mondo dell’occhiale interpretato attraverso due piani di lettura: la rappresentazione, mediante i manifesti pubblicitari della collezione Salce, e la forma, grazie agli occhiali storici della collezione Stramare.

Le visioni di carta dei manifesti di Ferdinando Salce, accanto alle mille declinazioni del tondo degli occhiali di Lucio Stramare diventano tasselli di  un racconto che si ammanta di storie vissute e sentite ieri. Per la prima volta il Museo espone il suo inestimabile patrimonio grafico a complemento del design.

E andando a cercare nella Storia dei monumenti che abbelliscono e rendono peculiare Treviso, scopriamo che nel 1352 il pittore Tomaso da Modena, nel convento di San Nicolò,  affresca la Sala del Capitolo dei Domenicani  e, fra il gruppo di prelati raffigurati, uno in particolare ci colpisce  perché indossa un paio di occhiali.  Per valorizzare anche questa  antica testimonianza iconografica delle lenti nella cittadina, il Museo Salce ha progettato così un’esposizione che combina l’illustrazione al design.

Tre  sono le parti in cui è suddivisa la mostra e che spiegano l’evolversi   delle forme del vedere. Dalle prime rudimentali creazioni dove l’occhiale era ancora tenuto in mano o fissato al volto con dei cordini di spago, all’invenzione delle asticelle o stanghette  nel Settecento, che hanno segnato la svolta formale di un oggetto che fornisce un valido aiuto nella vita di tutti i giorni sia per vedere e sia per riparare i nostri occhi dal sole e dal vento. 

Per quanti hanno letto Il Maestro e Margherita di Bulgakov non sarà facile dimenticare uno degli accompagnatori che, assieme al gatto parlante, confabulava con il diavolo giunto a Mosca per mostrare l’opprimente realtà sovietica.  Egli indossava i famosi  pince-nez  che noi  ricordiamo  nei ritratti dello statista  Camillo Benso, conte  di Cavour. Pince-nez o, i  fassamani  che erano portati al collo come un gioiello, raccontano un modo di vedere, ma anche di essere nel rapportarsi alla visione.

Lo stile di vita e il progresso industriale hanno, nel corso degli anni, modificato  il design dell’occhiale, e ciò in rassegna sarà  ben rappresentato dai dettagli che negli anni Trenta  prendono ispirazione  dall’oreficeria, o nei colori usati negli anni Quaranta e nelle indimenticabili forme “a gatto” degli anni Cinquanta. Di grande interesse per gli amanti del design sarà la teca dedicata agli occhiali speciali e da lavoro. Troveremo qui quelli preziosi realizzati in  oro e argento,  quelli naturali costruiti con corno, tartaruga, legno e pelle per arrivare   ai primi ritrovati dell’industria chimica che adopera  la bachelite e la celluloide.

I  manifesti  ci indicheranno  nomi arcinoti  del cartellonismo prima e della grafica progettata poi e, non solo italiani. L’euforica Belle Époque mette in scena, ad esempio una seducente figura femminile scrutata dagli ambigui monocoli di un gruppo di elegantoni come nella La vedova Allegra, il capolavoro ancora pittorico di Leopoldo Metlicovitz.  Artisti meno noti come Luigi Enrico Caldanzano ci sorprenderanno con immagini notturne, quasi oniriche e simboliste, che ben si adattano alle inquietanti Lenti radioattive (1912-1915) da promuovere.  Un binomio vincente è l’associazione tra occhiali e velocità: occhiali da protezione e non da vista per gli automobilisti alla guida di bolidi rosso fiammante, con prove d’autore come l’innovativo Dunlop di Marcello Dudovich del 1908.  L’occhiale da sole che vedremo  solo più tardi e al cinema, lo troviamo qui indossato  dall’icona conclamata di stile Grace Kelly in Caccia al ladro (1955). E dal cinema, le lenti scure su montature alla moda, passano a riempire   i manifesti turistici  dei maestri del genere: Mario Puppo e Franz Lenhart. Qui sanno impreziosire di glamour le spiagge assolate e le bianchissime  piste da sci. L’affisso poi   si riduce   nelle dimensioni, diventa locandina o espositore da banco. La grafica si rinnova guardando all’America. Siamo negli anni Cinquanta.

Tra gli  inediti ci sono i manifesti dell’Associazione nazionale per la prevenzione degli Infortuni con una serie di tavole che fanno uso di  una comunicazione emotiva, dai toni cupi e minacciosi.

A completare il percorso espositivo troveremo  una  selezione dei migliori project work degli allievi dell’ITS eyewear product manager. Il corso, promosso dalla Fondazione ITS Cosmo di Padova e l’ente Certottica di Longarone ha come obiettivo  formare i progettisti dell’occhiale del domani.

Il Museo nazionale Collezione Salce è ubicato a Treviso nelle due sedi di Santa Margherita e San Gaetano ed è visibile sempre dal venerdì alla domenica dalle ore 10 alle  18. L’ultimo ingresso è alle 17.30. Il biglietto intero costa € 9 ed è valido per entrambe le sedi del museo. Il costo è € 2  per i giovani dai 18 ai 25 anni e  gratuito fino ai 18. L’entrata è gratuita ogni prima domenica del mese.

Patrizia Lazzarin, 26 agosto 2024

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Andy Warhol. Icons!

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Rivivono i miti e le icone degli anni ‘60 - ‘80, espressione di un sentire collettivo e fotografia di un’epoca in progress, nella mostra che è visitabile da oggi 10 novembre, al Palp Palazzo Pretorio  di Pontedera, fino al venti marzo del 2022. ANDY WARHOL. ICONS! Risuona il titolo già nei nostri orecchi come un richiamo ad un periodo storico effervescente e nella volontà rivoluzionario. Andy Warhol, l’artista statunitense originario di Pittsburgh, fece entrare nelle case degli americani e non solo, le immagini degli idoli della cinematografia, della musica e dell’arte, adoperando come strumento la  tecnica della  serigrafia. Marilyn Monroe, Elvis Presley, Michael Jackson, Brigitte Bardot, Marlon Brando, Liza Minnelli ed in particolare Elisabeth Taylor  sono riprodotti sulle tele più volte, mutando i colori che possono quindi conferire ai volti, diversi toni di  drammaticità, accentuando come nel caso di Liz, come viene spesso chiamata con il nomignolo la grande attrice, i tratti peculiari: i bellissimi occhi e la bocca espressiva che la distinguevano. Warhol, pittore, scultore, grafico, regista, produttore cinematografico ed anche attore si collega nelle sue creazioni artistiche  al mondo della sua infanzia e all’humus culturale in cui è vissuto. Bambino timido e riservato collezionava le foto dei grandi divi di Hollywood, come Cary Grant, Humphrey Bogart e Clark Gable quasi a possederne un po’ della loro genialità e fama, ma che anche amava. Nella prima sezione della mostra, Fame,  compaiono quindi, come eco di questo  mondo “ancestrale”, anche il ritratto della madre.  Immagini simbolo di un mondo dorato quali potevano  essere le principesse Diana Spencer e Grace Kelly o di uno spazio quasi esotico, come l’imperatrice consorte dell’Iran, Farah Pahlavi, accanto allo statista cinese Mao Zedong  e al rivoluzionario Che Guevara, diventano in seguito i soggetti delle sue opere che, nella loro riproduzione seriale, favoriscono anche l’appropriazione di miti comuni da parte del nostro universo abitato. Farsi ritrarre dall’artista americano diventò dimostrazione di aver raggiunto uno status sociale,  e quindi ricchi e potenti, ma anche persone più semplici cercheranno di realizzare questo sogno, come potremmo vedere nella seconda sezione della mostra Still Life. A questa democrazia del sentire e del sapere che si diffonde con facilità si accostano le  altre opere molto famose di Andy Warhol: le Campbell’s Soup o la Coca-Cola. Le prime tratte dagli scaffali del supermercato per la loro ispirazione e riprodotte in serigrafia in tutti i loro gusti, celebravano la società del tempo che aveva reso anche più facile e veloce la gestione del menage familiare. Le nuove nature morte sembrano quasi vibrare della vivacità della modernità, che accelera e dilata gli spazi e i tempi per riempirle di tante cose. Le immagini traghettano o meglio permettono il passaggio, come quel ponte che compare nello stemma del Comune di Pontedera, unico nel Medioevo, sul fiume Era che lo attraversava, dell’arte dal supermercato, luogo di comune frequentazione, ai grandi mercati delle quotazioni dei beni di valore, a cui approdano nel giro di pochi anni le creazioni di Warhol. Esse rilevano anche nuovi soggetti e temi che acquisiscono lo status onorifico dell’arte: le icone, ad esempio,  consacrate dei gusti culinari della contemporaneità. Nel 1983 Andy Warhol modifica i suoi interessi per abbracciare anche tematiche ambientaliste. Già in precedenza aveva realizzato, fra il 1966 e il 1976,  molti dipinti della serie “Cow”,  le famose mucche  e la serie Flowers,  ma si avvicina negli anni Ottanta anche alla questione ambientale ritraendo dieci animali in via di estinzione. Sono sue le parole: ”Quale migliore modo di fare arte se non quella di preservare la Terra?”  In mostra accanto alle Cows e ai Fiori compare  in modo esemplare l’opera Vesuvio.   Per l’artista simbolo della Pop Art, il Vesuvio o ancora più Napoli, gli ricorderanno,  per la grande effervescenza e la vivacità culturale,  la sua New York. La serie delle sedie elettriche e quelle delle proteste di strada si collegano per l’impegno etico e sociale alle tematiche della difesa dell’ambiente ed entrambe troviamo rappresentate nella quarta sezione della mostra che si intitola World’s Life. L’ultima sezione è dedicata alla musica e testimonia le tante collaborazioni che egli ebbe con musicisti, attraverso i loro ritratti, ma anche  grazie ad oggetti diversi come le copertine dei dischi o i cimeli. La rassegna, che ci permette di ammirare centoquaranta delle sue opere, è stata promossa dal Comune e dalla Fondazione Culturale di Pontedera ed ha  il patrocinio della Regione Toscana.  Essa prodotta ed organizzata da Piuma e che ha  come sponsor Knauf  e partner Ecofor,  ha la curatela degli storici  Nicolas Ballario ed Edoardo Falcioni.

Patrizia Lazzarin, 10 novembre 2021

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