A Palazzo Chigi consigli non richiesti

Dopo un tira e molla durato mesi, il duo Di Maio Salvini fa marcia indietro.rispetto alle mirabolanti promesse fatte in campagna elettorale. "Seppelliremo la Fornero" (prometteva Salvini), daremo 780 euro a milioni di persone in condizione di necessità economica (assicurava Di Maio). Si è ingaggiata una dura battaglia con la Commissione Europea con proposta italiana di innalzare il deficit al 2,4 % per poi accettare una diminuzione dello stesso al 2,04%. Non sono questioni di numerini in più o in meno, ma di migliaia di miliardi che possono fare la differenza, anziché essere utilizzati per fare dell’assistenza e regalare una montagna di denari a persone che potrebbero sfruttare la situazione e, magari, fare dei lavori in nero e beccarsi anche questi soldi alla faccia dei tanti lavoratori che faticano a portare a casa un magro stipendio che non consente loro di arrivare alla fine del mese.

Il cosiddetto contratto di governo tra Cinquestelle e Lega è un non senso. In politica non  esiste proprio che una squadra di governo possa basare il suo impegno di legislatura su quattro o cinque punti o anche più contrattuali. La vita di una comunità nazionale è talmente complessa che trovo arduo rinchiuderla in una camicia di forza come non può che essere un contratto stipulato davanti ad un notaio, sia pure quest’ultimo sia stato individuato nel saggio presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che, nello scorso giugno, ha aderito alla richiesta di M5S e Lega di Salvini. Pur di dare un governo al Belpaese, il Quirinale ha accettato una proposta insensata, un esecutivo degli opposti: i programmi di Lega Nord e Cinquestelle erano (e sono) antitetici, non sovrapponibili. Tant’è che frequentemente sorgono malintesi, contrasti, dissapori e malumori, in particolare, nelle basi dei due movimenti, uno che furoreggia nel Nord del Paese, l’altro nel profondo Sud. Prima o poi i nodi verranno al pettine. Statene certi.

"Le coperture? Ci sono 70 miliardi": questo sostenevano i 5 Stelle prima di andare al governo. Almeno 40 miliardi arriveranno da una attenta revisione delle cosiddette tax expenditures, agevolazioni fiscali erogate senza criterio che vanno razionalizzate e spostate sulle nuove voci di spesa, fra le quali sono da contare anche i 17 miliardi di Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD), cioè trasferimenti e agevolazioni per le fonti fossili o inquinanti indicati ufficialmente dal Ministero dell’Ambiente. Altri 30 miliardi a regime verranno dai tagli agli sprechi e dalla spending review, in buona parte delineata dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli".

"Le coperture?  Prima del 4 marzo il M5s parlava di "70 miliardi di coperture annue a regime derivanti da tagli agli sprechi, più una quota di maggiore deficit da decidere (anche in base al ciclo economico). Con l’obiettivo, però, di ridurre del 40% il debito/Pil in 10 anni". Quei 70 miliardi sembra si siano volatilizzati un minuto dopo varcata la soglia di Palazzo Chigi. Ora la Fornero non la si può (o non la si vuole) più cancellare, il reddito di cittadinanza, così come era stato concepito dai Cinquestelle, non lo si può assicurare a tutti i 6 milioni di persone bisognose.

A questo proposito bisognerebbe che a Palazzo Chigi si ricordassero i patti a suo tempo sottoscritti dai nostri governanti e che sono stati ben evidenziati dal sito a www.affariinternazionali.it. Ecco qualche cenno. Le coperture?  Prima del 4 marzo il M5s parlava di "70 miliardi di coperture annue a regime derivanti da tagli agli sprechi, più una quota di maggiore deficit da decidere (anche in base al ciclo economico). Con l’obiettivo, però, di ridurre del 40% il debito/Pil in 10 anni". Previsioni incredibili. Ma quei 70 miliardi sembra si siano volatilizzati un minuto dopo varcata la soglia di Palazzo Chigi. Ora la Fornero non la si può (o non la si vuole) più cancellare, il reddito di cittadinanza, così come era stato concepito dai Cinquestelle, non lo si può assicurare a tutti i 6 milioni di persone bisognose. Ridisegnare la geografia regionale. Le regioni vanno accorpate. Si dovrebbero creare quattro o cinque macroregioni: il Nord Ovest con Piemonte Valle d'Aosta e Liguria il Nord Est con Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia, il Centro con Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo e Molise, il Sud con Campania, Puglia, Basilicata e Calabria e, infine, le isole Sicilia e Sardegna. I risparmi sarebbero pazzeschi 5 governatori anziché una pletora di 20, 5 consigli regionali, con le spese delle regioni in caduta libera. Non ci vuole Einstein a capirlo che questa sarebbe l'unica via d'uscita per la riduzione delle spese e il recupero di competitività. D'altronde è dal 1970 che è esploso letteralmente il bilancio pubblico, con spese fuori controllo un po' in tutti i settori. Razionalizzare l'amministrazione pubblica, renderla più efficiente per dare le giuste risposte ai bisogni della collettività, eliminare i tribunali amministrativi regionali non sarebbe male. Così come bisognerebbe fare con la chiusura del Cnel, il Consiglio Nazionale per l'economia ed il Lavoro (assolutamente inutile e costoso) e, magari, invece, rivitalizzare le provincie. Quindi, ridisegno delle regioni con l'istituzione di 4 o 5 macroregioni. Ulteriori risorse potrebbero recuperarsi se si accorpassero i Comuni con meno di 5.000 abitanti, se si razionalizzassero i consumi energetici, rendendo più efficiente l'amministrazione pubblica (con l'adozione di software open source e con prezziari unificati per gli acquisti e gli appalti), se si semplificasse la burocrazia, se si dimezzasse il numero dei parlamentari, se si abbassassero stipendi e vitalizi, diminuendo del 90% le auto blu. Ulteriori risorse potrebbero recuperarsi se si accorpassero i Comuni con meno di 5.000 abitanti, se si razionalizzassero i consumi energetici, rendendo più efficiente l'amministrazione pubblica (con l'adozione di software open source e con prezziari unificati per gli acquisti e gli appalti), se si semplificasse la burocrazia, se si dimezzasse il numero dei parlamentari, se si abbassassero stipendi e vitalizi, diminuendo del 90% le auto blu. Si può e si deve cassare l'acquisto degli aerei F-35 dagli americani (e che Donald Trump se ne faccia una ragione). I consigli non richiesti. Non aderire alla proposta di conferma delle sanzioni alla Russia di Putin. Non costa niente, ma l’Italia ha da guadagnarci sul piano politico a livello continentale. Lasciare la poltrona vuota  a Bruxelles fino a che il trattato di Dublino non venga modificato, perché principalmente danneggia i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo come Spagna, Italia e Grecia. I risparmi si possono ottenere solamente con dei tagli mirati. Perché buttare dei soldi per questo reddito di cittadinanza e quota 100? Non avrebbe più senso levare le accise sulla benzina e portare la stessa ai livelli di prezzo in Svizzera? Milioni di automobilisti plaudirebbero Eventuali risorse destinatele alle imprese che si impegno ad aumentare le assunzioni sia quelle a termine che quelle a tempo indeterminato. Una riforma necessaria e non costosa sarebbe quella di copiare dalla Svizzera e per tutta una serie di argomenti di interesse generale e questo via web, per risparmiare risorse da destinare ad altri interventi. Occorre dimezzare gli stipendi dei parlamentari. Ad oggi Italia, Austria e Germania occupano le prime tre posizioni con un certo distacco dalla Danimarca. Gli stipendi parlamentari medi italiani si attestano sui 125mila euro annui, una cifra molto elevata rispetto agli altri Paesi, mentre al Nationalrat autrichien guadagnano 121.608 euro e al Bundestag tedesco 108.984. Basti guardare i guadagni in Est Europa, che in Romania e Bulgaria sono addirittura sotto i 20mila euro, la soglia che in Italia determina le agevolazioni fiscali per i meno agiati. Questo l’elenco al 2017. Probabile che ci sia stato un incremento ulteriore. I nostri parlamentari non se la passano maluccio, considerando che hanno poche spese e tanti privilegi. Italia al top con 125.000 euro, Austria 121 000, Germania 107.000, Danimarca 94.000, Olanda 88.000, Gran Bretagna 89.000, Irlanda 87.000, Belgio 86.000, Francia 85.000, Lussemburgo 80.000, Svezia 78.000, Finlandia 76.000, Grecia 61.000, Cipro 47.000, Portogallo 43.000, Estonia e Slovenia 41.000, Spagna 33.000, Croazia 32.000, Lituania 30.000, Repubblica Ceka 29.000, Ungheria 29.000, Polonia 26.000, Slovacchia 23.000, Malta 21.000, Bulgaria 18.000, Romania 14.000.

Non sarebbero sensibili i risparmi, però gli elettori gradirebbero un intervento mirato alla riduzione degli stipendi dei nostri parlamentari. Si possono e si debbono tagliare le retribuzioni dei dirigenti pubblici che hanno stipendi nettamente superiori alla media dei loro colleghi europei. Il compenso medio dei dirigenti italiani della pubblica amministrazione nel 2015 è stato di circa 347mila euro. Il più alto dopo l’Australia. La media a livello Ocse è di 203mila euro. Questo il quadro che emerge nell’ultimo report dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Seguono i compensi per i ruoli di segreteria. Anche questi alti: 55.600 dollari all’anno contro i 52.700 della media nei paesi appartenenti all’organizzazione. Risultano, invece, più bassi della media gli stipendi degli impiegati pubblici con competenze specifiche, che percepiscono 67.900 dollari all’anno, rispetto agli 88.700 dollari della zona Ocse. Il Servizio sanitario Nazionale ha sprecato oltre 21 miliardi di euro, quasi un euro su cinque. Lo ha calcolato la Fondazione Gimbe nel suo rapporto sulla sostenibilità. L'impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica 2017 è di una considerevole e inaccettabile somma, appunto, ben 21,59 miliardi di euro per servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (6,48 miliardi), frodi e abusi (4,75 miliardi), acquisti a costi eccessivi (2,16 miliardi), sottoutilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (3,24 miliardi), complessità amministrative (2,37 miliardi), inadeguato coordinamento dell'assistenza (2,59 miliardi). Il rapporto Gimbe analizza anche la spesa sanitaria 2016 che, secondo le stime effettuate, ammonta a 157,613 miliardi di euro, di cui 112,182 miliardi di spesa pubblica, 45,431 miliardi di spesa privata (di cui 5,601 miliardi di spesa intermediata, cioè gestita da fondi e assicurazioni) e 39,830 miliardi di spesa a carico delle famiglie (la cosiddetta out of pocket). Al di là di rivalutare cifre assolute e composizione percentuale della spesa sanitaria - spiega il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta - la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite: le nostre stime preliminari dimostrano che il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella out of pocket ed il 50% di quella intermediata non producono alcun ritorno in termini di salute. In un Paese con 110 miliardi di evasione fiscale non si devono fare condoni ma una lotta seria all’evasione!”. Maurizio Landini, ex segretario Fiom tra i candidati alla segreteria generale della Cgil, coglie l’occasione di un dibattito dell’Agi (Associazione Giuslavoristi Italiani) in corso a Bologna per una dura critica al governo Conte. Non solo sui contenuti ma anche sul metodo: “L’attuale governo, in continuità con quello precedente, non ascolta nessuno, non dialoga con le parti sociali. A quelli di prima non ha portato bene”. Si può e si deve cassare l'acquisto degli aerei F-35 dagli americani (e che Donald Trump se ne faccia una ragione). A proposito dell’acquisto degli F-35 che tanto piacciono ai nostri generali, forse qualcosa si muove. “Sicuramente non compreremo nessun altro F-35“. A dirlo, a Omnibus, su La7, è stata il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta. Che poi ha spiegato: “Stiamo analizzando se mantenere o tagliare i contratti in essere. Intorno ai caccia si crea un indotto tecnologico, di ricerca e occupazionale”. Per questo, sostiene la ministra “potremmo scoprire che tagliare costa di più che mantenere“. Pertanto “bisogna analizzare bene le implicazioni”. Per Giuseppe Civati, fondatore di Possibile: “Non ci sono penali da pagare per quanto riguarda lo stop all’acquisto degli F-35. La relazione della Corte dei Conti dello scorso anno evidenziava che la ‘partecipazione nazionale al programma non è soggetta a penali contrattualì’. O ha sbagliato la Corte dei Conti o il ministro della Difesa Trenta sta cercando giustificazioni per proseguire il piano. L’attuale governo è sulla scia del precedente sulla spesa militare. Davvero difficile individuare delle differenze tra Pinotti e Trenta. Anche la motivazione della ‘tutela dell’occupazione’ è una giravolta rispetto a quanto diceva il Movimento 5 Stelle appena un anno fa. Un suo illustre esponente, Alessandro di Battista, scriveva l’8 agosto 2017 che ‘i posti di lavoro creato da questo programma sono pochi'”. Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Giovanni Tria e Paolo Savona riflettano prima di aggredire Juncker, Valdis Dombrovskis e Moscovici 

Marco Ilapi, 12 dicembre 2018

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Crollo del Pd, rinascita del mago di Arcore

Matteo Renzi ha realizzato un vero e proprio capolavoro. E’ riuscito nell’impresa titanica di far resuscitare un uomo politico che è stato defenestrato in malo modo dal Parlamento: Quest’uomo è Silvio Berlusconi. Non pago di questo suo “straordinario” successo, ha addirittura ridimensionato le chance elettorali del partito che è stato chiamato a guidare. Con l’avvento del ragazzo fiorentino alla segreteria, nel dicembre del 2013, è riuscito anche a ridimensionare il pacchetto di consensi elettorali dei demokrat che gli aveva consegnato il predecessore Pierluigi Bersani, tant’è che da più parti si teme che da primo partito che era nel 2013, passi ad essere il terzo, dopo il raggruppamento destrorso formato dal trio Berlusconi-Salvini-Meloni ed il M5S guidato da Luigi Di Maio. Non c’è che dire. Un vero disastro. In un altro periodo storico Renzi sarebbe stato cacciato dalla segreteria a furor di popolo rosso. Oggi non si usa più. Per converso non è che al centrodestra siano tutte rose e fiori. Ogni giorno che passa non la smettono di litigare. Chi la vuole in un modo, chi la pensa in maniera del tutto opposto. Si pesi al contrasto sul problema dell’immigrazione, il punto forse di maggior frizione tra i leader forza italiota e leghista. Per non fare cenno ai rapporti con la Commissione Europea, che ormai detta le massime regole di comportamento ai diversi governi con obbligo di legiferare di conseguenza, pena sanzioni che fanno sgorgare il sangue dalle vene italiche. Berlusconi resta favorevole a questo modello di Europa assai poco federale, dove dettano legge i rigoristi riuniti intorno a Frau Merkel, un’Europa che si è dimostrata assolutamente incapace di affrontare i nodi di una crisi economica violenta che ha condotto l’Italia, ma non solo, anche la Grecia, in una recessione da cui stentiamo ad uscire con le nostre sole forze. Forse qualcosina potrebbe mutare con l’avvento del nuovo governo tedesco, perché il ministro dell’economia non sarà più il guardiano dell’austerità ad ogni costo Wolfgang Schäuble,dell’Unione Cristiano Dmocratica, severo censore dei conti italiani (e greci), ma il socialdemocratico Olaf Scholz, che fu braccio destro del centrista Gerhard Schröder ai tempi dell'«Agenda 2010» che rilanciò la Germania. Si spera che faccia altrettanto per il bene di un’Europa federale e non più a trazione germanica. Matteo Salvini ha idee molto diverse sul rapporto che deve intercorrere tra lo Stato-nazione e l’Ue, e così Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Una volta che vinceranno le elezioni, prospettiva assai probabile, i temi sul tappeto saranno gli stessi di oggi. Alto, altissimo debito pubblico (il rapporto debito/Pil deve scendere sotto al linea Maginot del 60%, non una bazzecola per l’Italia state che oggi si stabilizzata sul 132%!), linea del deficit tendente allo zero (lo vuole l’Europa), spending review da rimettere in moto (non so più quanti governi hanno affrontato il problema e nessuno ha dimostrato di poter incidere). E, infine, c’è il problema dell’ondata migratoria che non si ferma. Che fare? Nessuno sembra avere la ricetta giusta per riportare il Paese nel gruppo-guida di questa scalcagnata Unione Europea, dove a dirigere l’orchestra è un uomo che ha governato il Lussemburgo, forte della sua popolazione di nemmeno 600 mila abitanti. Tra le altre considerazioni, un paradiso fiscale nel cuore del’Europa. E nessuno sembra scandalizzarsi. Nel 2014 l’allora presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, avrebbe potuto e dovuto pretendere un atteggiamento di maggiore apertura da parte della Germania e dei Paesi nordici verso i problemi del Belpaese, proponendo la mutualizzazione del nostro gigantesco debito pubblico fissando l’asticella per la costruzione di un’Europa davvero federale sul modello degli Stati Uniti d’America. Aver mandato la Mogherini ad occupare il posto di rappresentante europeo per la politica estera europea non è stata una manovra che ha dato i frutti sperati. Sì, perché la politica estera della Ue non la fa la Mogherini ma i singoli Paesi membri. E Renzi lo avrebbe dovuto sapere. In patria il nostro ha rovinato il Pd, circondandosi di collaboratori accondiscendenti e regalando Palazzo Chigi al centrodestra, Anche Silvio Berlusconi ha combinato sciocchezze inenarrabili, sbattendo fuori dal suo entourage prima Follini, poi Casini, poi Fini, poi Fitto, poi Verdini e il prode Alfano. Per rientrare in partita grazie al Patto del Nazareno e gli incommensurabili errori del segretario Pd Matteo Renzi. Il quale ultimo ha sbattuto fuori dal suo partito Civati, Bersani  e C. per tenersi stretti ex berlusconiani come Verdini e Lorenzin. Della serie, la coerenza non è di questo mondo. Da riflettere, infine, sul triste fatto che a decidere il futuro governo non saranno gli elettori (i quali avranno serie difficoltà di scelta del candidato, non essendo previsto con il Rosatellum il voto disgiunto) ma Sergio Mattarella. Come prima di lui a prendere questa ardua decisione è stato il suo predecessore al Quirinale Giorgio Napolitano. Non c’è male per essere l’Italia un Paese democratico. Ma forse un tempo lontano  lo  stato e non lo è più. Inevitabili nuove elezioni a breve Sempre che il popolo lo richieda. Di questo ho i miei forti dubbi. Visto quel che nel passato recente è accaduto. Napolitano docet. Speriamo che Mattarella non lo segua su questa strada. Secondo alcuni attenti osservatori il Partito democratico rischia di non superare quota 20 %, una soglia disastrosa che metterebbe veramente a rischio la segreteria renziana. Con un risultato addirittura inferiore a quello raggiunto dal Pd di Bersani 5 anni fa. In quell’anno i democratici raggiunsero il  25 %. Sarebbe un risultato così basso per il Pd che darebbe il via alla sempre più probabile riconquista di Palazzo Chigi da parte di un centrodestra tonificato dalle fragilità del progetto di Matteo Renzi e del suo gruppo dirigente. Insomma, ujn fallimento su tutta la linea. Il  40,8 % delle europee di 5 anni fa un nostalgico ricordo.

Marco Ilapi, 12 febbraio 2018

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Un uomo solo al comando, non funziona

Matteo Renzi non è un premier come tutti gli altri. Presenzialista come Silvio Berlusconi. Grande comunicatore più efficace dell'ex Cav. è assai probabile che riesca nell'intento di portare la barcaccia dell'Italia fuori dalle secche della crisi che è si è appalesata di dimensioni spaventose. Tant’è che ci hanno provato in tanti (Berlusconi, Monti, Enrico Letta) e non sono riusciti a trovare il bandolo della matassa. Nessuno prima di lui si è trovato a guidare un Paese in profonda recessione da oltre 6 anni. Berlusconi ha condotto l'Italia nella bufera della crisi, spargendo ottimismo a piene mani giusto quando erano più che evidenti i segnali di un'economia mondiale che stava per collassare. Ha cercato di vestire vanamente i panni dell’uomo di Stato, con risultati catastrofici. Al vertice di Cannes del 2011 ha suscitato i risolini della Merkel e di Sarkozy, con lo spread che, all'improvviso, ha saltato lo steccato dei 500 punti base, balzando a livelli record. Nell'estate di tre anni e mezzo fa gli italiani hanno tremato. Con il differenziale dei tassi di interesse sui titoli del debito pubblico che ha sfiorato quota 600 punti sui bund tedeschi, chi aveva nel cassetto bot o cct nostrani, se la stava letteralmente facendo addosso. Come, molti gridavano, si era sempre sostenuto che prestare soldi al Tesoro italiano era un'operazione di tutta tranquillità (si raccontava che gli Stati non possono fallire!) e invece pensionati e lavoratori a reddito fisso (ma anche piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e professionisti) all'improvviso hanno constatato che i loro risparmi rischiavano di volatilizzarsi come neve al sole! Ecco il motivo per cui Silvio Berlusconi è stato cacciato a calcioni da Palazzo Chigi. Le sue ricette erano sterili, producevano risultati all'incontrario. A novembre è stato il turno dei professori della Bocconi. Grandi speranze ed aspettative, lacrime di Elsa Fornero, lacrime e sangue per lavoratori e pensionati. Mario Monti la sua pagnotta se l'è portata a Varese, la sua città: nomina a senatore a vita. Il debito pubblico, pur con gli enormi sacrifici imposti agli italiani, ha continuato la sua marcia inarrestabile. Successivamente si sono svolte le elezioni anticipate (mai fidarsi dei berlusconiani e dell'ex Cav....) perché il Pdl (che aveva a cuore le sorti del Belpaese…) non sopportava più di dover sostenere un esecutivo che mai aveva digerito e decideva di togliere inopinatamente la fiducia a Monti. Il quale, anziché defilarsi dalla lotta politica, per cui non sembrava davvero tagliato, fondava un suo partito, Scelta Civica. Le elezioni del febbraio del 2013 sono andate come sono andate. Pari e patta tra partito democratico, Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e partito della libertà a guida Silvio Berlusconi. Nessun governo per alcuni mesi, poi l'incarico ad Enrico Letta, dopo il fallimento nella costituzione di un nuovo esecutivo di Bersani. Anche il nipote di Gianni Letta ha fatto flop. Un governo improvvisato, cosiddetto delle larghe intese non ha potuto far nulla per migliorare la situazione. Fibrillazioni a tutto campo. L'unità nazionale (pur a termine) non si poteva realizzare con uomini politici di destra che scalciavano ad ogni proposta di riorganizzazione dello Stato partorita dal premier Enrico Letta, nipote di Gianni Letta, fiduciario del “mago” di Arcore. I risultati si sono visti ben presto, con il disarcionamento dall'esecutivo da parte dei filoberlusconiani più ortodossi e con i separatisti guidati da Alfano che sono rimasti attaccati alle loro poltrone ministeriali. Pochi mesi dopo, la vittoria di Matteo Renzi alle primarie del partito democratico e la cacciata del sodale Letta da Palazzo Chigi. Con un colpo basso dell’ex sindaco di Firenze, e con l’assenso di un presidente della Repubblica sempre più stanco, il Palazzo d’Inverno italiano è stato assaltato dalle orde renziane e sarà ben difficile disarcionarlo. Non tanto per meriti suoi acquisiti sul campo, bensì per demeriti di tutte le opposizioni, sia quella all’interno del Pd, sia di tutte le altre. Renzi può stare a lungo a Palazzo Chigi per l’inconsistenza dei potenziali competitori: nulla potrà il segretario della Lega Nord Matteo Salvini (anche se è indiscutibile il suo appeal sulle popolazioni ex forza italiota e simpatizzanti del Carroccio; nulla potrà il M5S che non è riuscito ad aprire la scatola di sardine dei Palazzi romani, nonostante tutta la loro buona volontà; Forza Italia è divisa, divisissima; il Pd nelle persone dei Bersani, dei Cuperlo, dei Fassina e dei Civati non sono riusciti a fare proposte meritevoli di seguito in un elettorato frastornato e sempre più disamorato. Il premier ha utilizzato con una disinvoltura che è pari ala sua pugnalata alle spalle di Enrico Letta del gennaio 2014, il voto di fiducia, incastrando tutti i suoi oppositori nel Pd. A mio avviso il voto di fiducia non deve essere abusato. Con il voto di fiducia decadono gli emendamenti migliorativi di un provvedimento e può scaturirne una legge porcata e, come tale, inaccettabile. Potenzialmente il maggior partito nostrano è quello del non voto, dell’astensionismo, non certo quello che guarda a Renzi. Il quale sta cercando di fare delle riforme ma a tutt’oggi il suo percorso non ha prodotto risultati apprezzabili. La sua forza è la debolezza di tutti gli altri competitori. Il buon Matteo, però, deve dar prova di sé in questo 2015. E l’economia non riparte, il suo Jobs act, le sue riforme rimarranno sulla carta, perché troverà qualcuno (Beppe Grillo con il suo M5S?) che lo disarcionerà. E al 2018 a Palazzo Chigi ci sarà qualcun altro. Questo è certo.

Marco Ilapi

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