Pd e Forza Italia, partiti allo sbando

Chi è causa del suo mal pianga se stesso, dice un vecchio adagio.  E sembra proprio così. Il partito del rottamatore non sa più che pesci prendere. Adesso viene affidato al grigio funzionario Maurizio Martina, il quale ben poco riuscirà a fare. I buoi sono scappati dalle stalle e nessun demiurgo riuscirà nei prossimi settimane-mesi ad invertire la rotta. I guai del partito democratico vengono da lontano ed i protagonisti che hanno determinato il crollo dei consensi sono piuttosto noti. Si pensi a quel che è accaduto quando il presidente della Repubblica Napolitano ha sbalzato dal cadreghino Berlusconi sostituendolo con Mario Monti. Il Paese sarebbe dovuto andare immediatamente al voto anticipato e così il partito democratico, allora guidato da Pierluigi Bersani, avrebbe conquistato Palazzo Chigi senza colpo ferire, vista la condizione comatosa dell’ansimante governo Berlusconi. E invece … Quindi, primo colpevole della crisi dem è proprio Giorgio Napolitano, con le sue trovate mirabolanti. La democrazia ha vissuto un periodo (lungo) di sospensione. Fiaccato anche l’esecutivo Monti, che, si vuole ricordare agli smemorati, ha goduto dell’approvazione di quasi tutti i partiti rappresentati a Montecitorio e a Palazzo Madama, eccezion fatta per la Lega  Nord, si è andati alle urne nel febbraio del 2013 con la presenza ingombrante della new entry del professore bocconiano che, a torto, presumeva ormai di poter raccogliere, con la sua Scelta Civica i consensi di vasti strati dell’elettorato deluso sia da centrosinistra che dal centrodestra. Non è andata davvero così. O meglio, ha raccolto una messe di voti importante ma che non ha saputo capitalizzare. Monti avrebbe dovuto evitare di commettere l’errore di scendere in campo e ritagliarsi per sé il ruolo di riserva della Repubblica. Sarebbe stato certamente eletto al Quirinale. Le cose sono andate diversamente. Il movimento montiano è rapidamente evaporato come neve al sole e i parlamentari di Scelta Civica sono trasmigrati nelle file del Pd (Andrea Romano, Carlo Calenda, Stefania Giannini, Pietro Ichino, Linda Lanzilllotta, Gianluca Susta,  Alessandro Maran, Ilaria Borletti Buitoni e Irene Tinagli). Tanti i  volta gabbana nella storia italiana. Ad aiutare il Pd renziano, con risultati catastrofici, vista la fine che ha fatto gli esecutivi Letta-Renzi-Gentiloni. Per non ricordare la rielezione al Colle del vecchio Napolitano (cosa mai accaduta prima in Italia che un inquilino del Colle bissasse il mandato), gli insulti di questo ai parlamentari ammutoliti, la corsa alle riforme imposte dall’Unione Europea, l’aver sprecato un anno e più per lavorare ad una profonda (forse un po’ troppo …) riforma costituzionale che poi non è andata a buon fine per colpa esclusivamente dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro delle riforme Maria Elena Boschi. Si pensi anche all’affossamento della candidatura al Quirinale di Romano Prodi da parte dei 101 parlamentari dem (qualche osservatore delle cose del Palazzo ha anche suggerito che è stato lo stesso Renzi a causare lo smottamento delle truppe dei democratici, chissà …). Un altro errore macroscopico è stato compiuto dai parlamentari neofiti del M5S, con quel drammatico testa a testa tra il duo Bersani-Letta e i capigruppo dei Cinquestelle Crimi e Lombardi. Tutti ricordiamo. Come sarebbe stata l’Italia oggi, con Mario Monti o Romano Prodi al Quirinale, e non l’incartapecorito Giorgio Napolitano che, si intuiva (sarà per l’età piuttosto avanzata), che non aveva più voglia né desiderio di stare al Colle un minuto oltre la scadenza naturale e che ha accettato perché supplicato dai 945 parlamentari della Repubblica. Tant’è che si è ritirato ben presto a vita privata (come senatore a vita, però, e pagato da noi) dopo avere constatato che l’esecutivo di Enrico Letta non mostrava la capacità di fare le riforme richieste dall’ Europa (si ricordi la lettera di Trichet e Draghi dell’agosto del 2011), il buon Giorgio Napolitano ha individuato nel sindaco di Firenze Renzi, nel frattempo diventato segretario del partito democratico, la persona adatta per guidare un governo che, sotto la guida di Enrico Letta, visibilmente annaspava nel pantano. Mesi dopo sono arrivate le europee, il boom del 40,8% che ha ringalluzzito il boy scout di Rignano sull’Arno, le proposte choc di Matteo di cambiare, alla sua maniera, il volto dell’Italia. Operazione che, purtroppo, è abortita, nonostante gli sforzi delle sue truppe. Quindi l’esito nefasto del referendum del 4 dicembre 2016 che ha comportato l’abdicazione a favore di Paolo Gentiloni, con tutti i suoi fedelissimi rimasti, però, ben abbarbicati alle seggiole governative. Come a dire, a Palazzo Chigi è stato piazzato un fantoccio tele-diretto da Rignano sull’Arno.  Si provi a sostenere il contrario. L’inconcludenza dell’esecutivo, il tirare a campare di andreottiana memoria, il ricorrere con una frequenza mai vista al voto di fiducia, l’uscita dell’ala bersaniana dal partito che ormai era diventato renziano (era nato il PdR, insomma), l’appoggio da parte del gruppo d Denis Verdini, hanno fatto il resto. Il partito democratico non esiste più da diversi anni. Dal 40,% è precipitato al 19%. Tutto questo Renzi ha fatto. Non c’è da meravigliarsi che a raccoglierne i cocci sono stati quelli del M5S. Non è che a Silvio Berlusconi sia andata meglio. Anche lui ha commesso una serie impressionante di errori. Aveva il Paese in pugno. Ha governato senza un’opposizione tra il 2001 ed il 2006. Nel 2006, con Prodi a Palazzo Chigi, c’è stato il regalo di Mastella che ha, di fatto, consentito a Berlusconi di rientrare nella partita governativa. Una maggioranza schiacciante del centrodestra nel 2008 grazie al Porcellum di Calderoli (46,8% contro il 37,5% di Walter Veltroni, allora segretario dei dem). Tutto questo vanificato a causa dell’arroganza del potere vuoi, prima, di Silvio Berlusconi che nel tempo è riuscito a bisticciare con Marco Follini, Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Angelino Alfano, facendo naufragare il suo progetto politico. Quindi se Atene piange, Sparta non ride. Si potrebbe affermare se Berlusconi piange, Renzi non ride. L’Italia, purtroppo, ha una classe politica incapace di affrontare i problemi del Paese. Che sono il debito pubblico pazzesco, la corruzione che non si riesce a debellare, la burocrazia che la fa da padrona, la giustizia che non funziona, le tasse troppo alte, il lavoro cha manca. In questo contesto, non c’è da meravigliarsi che a farne le spese siano stati i due partiti storici, i democratici e Forza Italia, ex Pdl, ed i consensi siano stati intercettati dalla Lega di Matteo Salvini e dal Movimento Cinquestelle di Beppe Grillo. L’orizzonte si fa scuro. Che farà Sergio Mattarella? Seguirà gli esempi del suo predecessore? Speriamo di no. E’ preferibile il ritorno alle urne. Con una legge sul modello che ha consentito, nella Francia, ad Emmanuel Macron di insediarsi all’Eliseo e governare il suo Paese. Si deve introdurre un sistema maggioritario a doppio turno anche per le elezioni politiche. Altrimenti non se ne esce

Marco Ilapi, 21 marzo 2018

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Il rebus che agita le acque del Pd: meglio Renzi o Gentiloni?

Si avvicina la campagna d’autunno e in casa demokrat incomincia il posizionamento di molti parlamentari. C’è chi sostiene senza se e senza ma, le tesi del segretario Matteo Renzi, stra-vincitore delle primarie del Pd: con una legge elettorale per il Senato  che non si riesce (o, forse, non si uole) approvare si rischia di avere una legislatura senza una maggioranza predefinita e solida e, perciò stesso, inconcludente con certa ingovernabilità.. C’è chi, all’interno del partito ormai renzianizzato, vorrebbe introduzione di un premio di coalizione, abbassandone la soglia dal 40 al 35%, onde renderlo più raggiungibile. Che significa? Il probabile vincitore sarà, quasi certamente, il centrodestra che vede uniti la Lega Nord di Salvini, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il Pd non ha chance di valicare questa soglia. Il problema è che Renzi non ha assolutamente intenzione di discutere, prima del voto, di coalizioni. Le carte le vuole distribuire lui. E siccome, in cuor suo, è sicuro di non raggiungere il 40% superato alle europee del 2014 (quanta acqua è passata sotto il ponte di Palazzo Chigi!), allora pensa di poter stabilire degli accordi segreti (un’altra specie di Nazareno bis) proprio con il suo avversario più temuto. Che non è il M5S di Beppe Grillo ma Forza Italia. Per poter neutralizzare la ri-ascesa del mai morto (politicamente parlando) Silvio Berlusconi, ecco che un nuovo patto con il Sire di Arcore lo potrebbe confermare a Palazzo Chigi per la prossima legislatura, a condizione che conceda al centro destra tutta una serie di regalìe che faranno infuriare il popolo Pd: Nessuna legge sul conflitto di interessi, non si parlerà più di allungare i termini prescrizionali (l’unica e vera causa della lunghezza dei processi nel nostro Paese, in particolare quando si tratta di giudicare malversazioni e ruberie dei cosiddetti colletti bianchi). Che in Germania finiscono in galera ed in Italia no. Anzi, per la verità, affinché i processi vadano a sentenza in tempi decenti occorrerebbe che i termini di prescrizione venissero interrotti dopo una sentenza di primo grado. E’ sotto gi occhi di tutti che la situazione legislativa vigente consente solamente alle persone facoltose di sfuggire ai rigori della legge, tant’è che innumerevoli volte (non ultimo il caso dei Mastella-Lonardi gate) un processo dura talmente a lungo che, inevitabilmente, finivano in una bolla di sapone. Con sprechi incredibili di pubblico denaro. Sì, perché se dopo tanti anni un iter processuale con sentenze contradditorie di primo, secondo e terzo grado (vedasi anche il processo sulla strage di Brescia) finisce in vacca  non si può parlare di è giustizia bensì di mala-giustizia. E le responsabilità sono a vario titolo distribuite tra magistrati incompetenti, avvocati che determinano ad arte la durata di un procedimento (sempre più sovente ad esclusivo vantaggio non della giustizia ma dei protagonisti, con il portafoglio gonfio di denaro, delle diverse vicende giudiziarie. Responsabilità anche dei politici che elaborano misure legislative che consentono interpretazioni sempre più favorevoli ai colpevoli di alto lignaggio. Vedrete che una decente legge elettorale non la faranno, perché nessuno vuole cambiare lo stato dell’arte. Così lorsignori potranno sempre sostenere che le responsabilità della mancata modifica di una legge elettorale, l’abolito senza che mai sia entrato in vigore Italicum, sia il M5S, sia il Pd, sia Forza Italia, che non piace né a Matteo Renzi, né a Silvio Berusconi né ai pentastellati.  Il Pd non riesce a far emergere una proposta che possa mettere d’accordo un p’ tutti gli schieramenti politici. Questo perché pretende l’approvazione di una legge che possa privilegiare il partito di maggioranza relativa. Attualmente il partito di Matteo Renzi. Che però si trova ben lontano dalla soglia di quel 40% che gli consentirebbe di dettare ed imporre le regole del gioco. Quasi certamente il futuro governo non potrà su una maggioranza chiara, modello Macron, per l’incapacità di Matteo Renzi di coagulare intorno a sé una gruppo dirigente coeso e questo passaggio delicatissimo lascerà l’Italia in una situazione di stallo ancor peggiore di quella attuale.  Così sa bene. Anche non sta affatto bene al Paese. Ma molto probabilmente ai trafficanti del Palazzo C’è, a breve, l’appuntamento elettorale nell’isola di Angelino Alfano e quanto si sta prospettando (lo strano matrimonio d’interesse tra il centrosinistra ed il centrodestra) non presagisce niente di cristallino. Insomma, la confusione regna sia a Roma che a Palermo. L’Italia è nei guai. Seri. Serissimi. Ecco quanto scrive a proposito della crisi che attraversa il partito democratico su il Giornale Laura Cesaretti, solitamente ben informata delle trame dei palazzi romani:… “Renzi ha messo le dita negli occhi a tutti, si sta facendo terra bruciata all'interno, anche tra i suoi», assicurano gli avversari. Che non negano che l'obiettivo finale sia, al di là della legge elettorale, far saltare la segreteria di Renzi. «Bisogna mandarlo a casa prima delle elezioni». E si guarda alle elezioni regionali in Sicilia in novembre: Berlusconi punta a farne la prima tappa del percorso verso la vittoria alle Politiche, e il Pd teme di prendere una batosta. Che indebolirà inevitabilmente il Suo leader: è allora, si spiega, che potrebbe partire l'offensiva finale su legge elettorale e leadership, con sponsor di riguardo che potrebbero essere Prodi, Letta jr, Napolitano: «A quel punto molti si potrebbero svegliare, e cercare di salvare il salvabile. Se riuscissimo ad andare alle elezioni con un triumvirato Martina-Delrio-Gentiloni, con Paolo candidato premier, avremmo persino chances di vittoria», ragiona un parlamentare Pd. Il sogno, infatti, è quello di arrivare a staccare da Renzi pezzi da Novanta della sua maggioranza, a cominciare da Gentiloni. Per poi costruire un'alleanza con Pisapia: «Bisogna aiutarlo a staccarsi da D'Alema, dovrebbe essere il Pd a dargli una mano offrendogli la coalizione», ripetono gli orlandiani. Convinti che «Renzi vuole solo costruirsi un gruppo parlamentare di 120 fedelissimi nella prossima legislatura, sapendo che durerà pochissimo. E poi fare qualcosa di diverso dal Pd, come Macron». In casa renziana si attendono l'offensiva d'autunno, ma sono certi che «non avranno i numeri». Anche perché l'arma delle candidature è in mano al segretario, e a fine legislatura si trasforma in arma letale in grado di convincere i più riottosi. «E poi se tentano una manovra di Palazzo per far fuori, alla vigilia del voto, un segretario eletto da 2 milioni di cittadini, si suicidano», dicono.”  Visti i successi sul piano della crescita conseguiti dall’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, che raccoglie tanti consensi, ebbene, la leadership del fiorentino Renzi è un po’ a rischio. Tutti fan buon viso a cattivo gioco, con il ministro dell’Interno che recita una sua parte, così il buon Gentiloni, mentre l’ex premier sta a guardare, preparando delle contromosse che non lo allontanino più .di tanto da Palazzo Chigi ma che gli consentano di riavvicinarsi quanto prima possibile. I successi del buon Paolo, purtroppo, lo tormentano assai. Avrebbe avuto più piacere acché il Paese ne invocasse il subentro subito. Così non è e così non sarà. L’Italia sembra abbia bisogno di una guida tranquilla non di un rottamatore che spara a salve e ha dimostrato un’evidente incapacità di far seguire alle parole (tante) i fatti, pochi. Anzi, pochissimi.

 

                                

Marco Ilapi, 19 settembre 2017

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Elezioni più vicine (se Renzi stravince le primarie)

Se al congresso del Pd stravince Matteo Renzi, ebbene le elezioni politiche generali si avvicinano parecchio. L’Italia è ostaggio di Matteo Renzi  e del congresso permanente (da anni …) del partito democratico. Iscrizioni all’ultimo momento letteralmente esplose. Si parla di circa 150 mila nuovi iscritti-fantasma. La storia della passione politica che improvvisamente ha contagiato decine di migliaia di italiani fa nascere qualche dubbio. Mesi fa  Napoli e provincia su 1900 tessere online del Pd sono state annullate 1393 iscrizioni. E’ scoppiato il caso dei tesserifici online. Che non ha riguardato solo Napoli o la Campania ma anche altre località italiche.

A Borgaro Torinese, per sempio, Manuela Anedda, che era stata incaricata nel 2012 dal sindaco Vincenzo Barrea dei tesseramenti del partito, ha scritto una lettera alle commissioni di garanzia del Pd nazionale, regionale e provinciale rivelando di aver ricevuto richieste di iscrizione direttamente dalla presidente di un'associazione italo-rumena che veniva finanziata dal Comune. Storia allucinante e incredibile!

A Torino Rocco Murduca, storico segretario della sezione prima con il Pci e poi con i Ds, sconsolato  dice che gli iscritti al Pd a Mirafiori Sud sono quasi triplicati rispetto il 2015.  O c’è una conversione sulla “Strada di Mirafiori”, oppure arrivano le truppe cammellate. L'ex operaio Fiat, area Bersani ma rimasto nel Pd, rivela che per tutto il 2016 le adesioni al Pd sono state circa sessanta. Adesso ce ne sono un cento in più. E’ davvero stupefacente!

A Roma una tessera su cinque è risultata falsa, il 20% dei circoli (che sono 130) apriva solo in occasione dei congressi, tra le sezioni e le federazioni i debiti dei democratici  ammontano a circa 2 milioni di euro. Lo ammette il commissario Matteo Orfini, luogotenente dell’ex segretario Pd Renzi nella città eterna. Il Pd romano è stato messo sottacqua da Mafia Capitale: il 35% è “sgovernato”, che significa inquinato da presenze innominabili.

Nell'agrigentino (i luodo natìo di Angelino Alfano) altre conferme: i nomi, i cognomi, le date di nascita sono risultate sbagliate e i numeri delle tessere sembrano cresciuti vertiginosamente. Addirittura si sono scoperti iscritti al partito anche persone passate a miglior vita. Il congresso è alle porte e il tesseramento con il morto fa scattare il commissariamento del circolo Pd di Ribera. Lo ha deciso il segretario siciliano Fausto Raciti. “Non vorrei però – dice – che alcune notizie siano frutto di polpette avvelenate, lasciate sul campo da chi vuole sporcare l’immagine del Pd, magari avendolo già lasciato”.

Da Lecce è giunta la notizia di altre irregolarità: a Copertino sono stati comunicati i risultati (a favore di Matteo Renzi) ma le votazioni non si sono svolte. Gli organi regionali del PD hanno ottenuto l’annullamento della votazione per consentire che il congresso si celebrasse in maniera regolare, con un nuovo voto. Al Nazareno si fa festa per questo probabile, anzi probabilismo, plebiscito a favore di Renzi. A fine mese si faranno le somme. Certo che se andranno  a votare solo un milione e mezzo di italiani (rispetto alle primarie ai tempi dei Prodi e dei Veltroni) al Pd stapperanno le bottiglie di champagne o di prosecco, ma nella realtà si potrà parlare di un flop primarie clamoroso. Le stesse  debbono essere regolamentate, costringendo tutti i partiti ad organizzarle e renderle così credibili. Altrimenti i critici avranno sempre ragione a contestarle perché farlocche. Come si può, infatti, attribuire valenza positiva a delle consultazioni a cui possono partecipare iscritti al partito (e va bene), non iscritti, sedicenni, stranieri (i cinesi a Napoli di qualche anno fa, quelli a Milano con Sala)? Nessuna persona di buon senso lo farebbe. Se poi si riflette sui pacchi di tessere in libero commercio, come gli scandali che in diverse zone d’Italia dimostrano essersi nel tempo verificati (e che riguardano anche altri partiti, non solo il Pd), c’è ben poco da stare allegri. Signori del Palazzo, fate il bene dell’Italia e non inseguite il bene del vostro partito. Così facendo ingrossate le file degli astensionisti, già oggi il maggior partito del Belpaese, e favorite “consapevolmente”  e non “inconsapevolmente” i movimenti populisti sia di destra che di sinistra. Tra l’altro, la sinistra, con Renzi segretario, non c’è più dall’8 dicembre 2013, data del suo ingresso nelle stanze del Nazareno. L'incidente odierno dell'inopinata nomia dell'alfaniano Salvatore Torrisi a presidente della Commissione Affari Costituzionali (che dovrà affrontare il nodo della legge elettorale da riformare) in luogo di Giorgio Pagliari, Pd. Di Torrisi Alfano ha chiesto immediate dimissioni. La situazione potrebbe determinare un accellerarsi di una crisi di governo ormai latente da mesi, certamente dal 5 dicembre 2016. Staremo a vedere l'evolversi delle cose ina casa democratica. Il membro indicato dall'ex premier era Giorgio Pagliari, scuola Pd, emiliano di Parma e sponsor di Renzi al congresso, trombato dal voto segreto in commissione. Che succede nel giro Pd? Un ennesimo pateracchio.

Marco Ilapi, 5 aprile 2017

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