Palazzo Maffei: sulle tracce di Virginia Woolf

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Un luogo di delizie per lo spirito e la mente è il seicentesco Palazzo Maffei nel centro storico di Verona. Il suo affaccio su Piazza delle Erbe è uno sguardo sul presente e sul passato: nell’oggi, fra la gente che affolla le sue sale, le piazze e le vie tutt’intorno, nei secoli trascorsi per merito della sua architettura che, nella sua maestosità ed eleganza, richiama i fasti e la teatralità del barocco. E proprio guardando dalla terrazza, dove si arriva dopo aver visitato le collezioni d’arte del primo e del secondo piano, in cui la contemporaneità e l’antico affabulano in un dialogo  fatto di rimandi e di significati, che i nostri occhi rapiti dalle file delle finestre dei palazzi che formano una corolla e da un cielo che sembra avvicinarsi ai rossi tetti di tegole, colgono il senso della meraviglia che nasce da un’affascinante scoperta. Il paesaggio naturale appare legato ai palazzi della città, mentre sullo sfondo una luna del tardo pomeriggio autunnale, brilla nella sua lucentezza bianco-argentea. Viaggiando fra le opere, con la musica che proviene dalle cuffie che da poco abbiamo indossato, seguiamo i passi di una  danzatrice lungo le sale. Sul suo filo di Arianna, simbolicamente steso, percepiamo la bellezza dell’arte che in mille forme si presenta. Il libro, Una stanza tutta per se di Virginia Woolf è la trama su cui la coreografa Camilla Monga tesse, in maniera libera, i suoi fili e le sue mosse fatti di lievi passi  e veloci movimenti che abbracciano il mondo di cose meravigliose che la circonda. Le note che provengono dalle cuffie sono invenzioni di Federica Furlani che  prende ispirazione dalle riflessioni del primo grande compositore ambientalista Raymond Murray Schafer e da Brian Eno. Ammiriamo le opere, soli, anche se accanto ad altri, in una percezione molto particolare che ci fa avvicinare al senso della potenza della creazione. Una stanza tutta per se e cinquecento sterline annue di rendita sono le condizioni minime per una donna che scrive,  raccontava nel suo libro Virginia. Un luogo dove essa possa, senza remore, esprimere la sua intelligenza. Nella libera interpretazione andata in scena a Palazzo Maffei l’energia creatrice degli artisti che, sulle pareti restituiscono una loro visione del mondo, entrava in relazione con i presenti, ora anch’essi registi di una nuova storia di pensiero e di immaginazione. Le pareti restituivano brani della vitalità dell’essere che straordinariamente rimanevano, anche se possedevano un antico linguaggio, leggibili e vicini. Statue greco-romane, dipinti cinquecenteschi, sculture novecentesche, quadri di futuristi, scene sacre e opere cinetiche, solo per citare alcuni stili  e generi, si posano sugli spazi pieni di luce,  come se il tempo fosse saltato, per restituire a noi valori senza limiti di spazio e cronologia. Ogni espressione si completava nell’insieme, mentre le dita della danzatrice mostravano alla fine della coreografia, una delle frasi simbolo del palazzo: l’Arte è la forma più alta della speranza: un aforisma del pittore Gerhard Richter. Incisioni, miniature, disegni, libri antichi, maioliche, bronzi, avori, oggetti di uso quotidiano, come  mobilio e manufatti decorativi e affreschi completano l’excursus nella casa-museo. La Collezione Carlon, qui raccolta, venne iniziata più di cinquant’anni fa. Ogni suo luogo definisce coordinate di forme, colori e significati che  azionano come una molla la nostra immaginazione. L’interesse per la storia artistica veronese si evidenzia nelle opere, fra gli altri, di Altichiero e Liberale da Verona, Bonifacio de’ Pitati, Antonio e Giovanni Badile, Felice Brusasorci, Antonio Balestra e Giambettino Cignaroli. Nella prima sala, capolavori della pittura veronese, tra la fine del XV e l’inizio del XVII secolo, si ammirano accanto a manufatti tardogotici di pregevole fattura e a preziose tele di tema mitologico che si ispirano alle Metamorfosi di Ovidio, alla Teogonia di Esiodo e alle gesta dei poemi omerici. Nella stanza dei Mirabilia i fondi oro di epoca trecentesca e quattrocentesca alludono a uno spazio oltre il visibile come  i tagli sulla tela rossa di Lucio Fontana che ricercano la terza dimensione spaziale. Accanto ai fogli miniati del XIII e del XIV secolo appaiono sulle parete  affreschi di paesaggi con architetture. Ci sono  i panorami e gli sguardi  sulla Verona del Seicento come nella Veduta dell’Adige nei pressi di San Giorgio in Braida dell’olandese Gaspar van Wittel o l’immagine di Piazza delle erbe di Giovanni Boldini, riletta in chiave Belle Époque. Nell’Antiquarium che ricorda le origini del palazzo Maffei, edificato sui resti del Capitolium, il tempio romano del I secolo dopo Cristo, i manufatti lapidei con raffinate decorazioni a punta di trapano a violino sono accostati alla statua di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, e al Testimone di Mimmo Paladino. Qui la limpidezza dei materiali e delle linee sembra acquistare voce silenziosa, mentre sulle pareti ci guardano i Gladiatori di De Chirico. E’ una sinfonia di colori, dove il bianco e l’avorio condensano l’essenza e la forza dell’esistere. Incontriamo nella passeggiata opere inedite delle avanguardie storiche come il quadro: Canal Grande a Venezia di Umberto Boccioni.  Particolare attenzione viene riservata al Movimento del Futurismo, attraverso le opere dei suoi  principali  “firmatari, o se vogliamo protagonisti: Giacomo Balla, Gino Severini, Carlo Carrà e naturalmente Boccioni. Ci sono i colori di Modigliani, di Casorati, Schifano e  Warhol, in un viaggio dal Realismo Magico alla Pop Art. Ci muoviamo  dalla pittura informale di Georges Mathieu all’astrattista Carla Accardi, da Alberto Burri, a Piero Manzoni e Enrico Castellani che, negli anni Cinquanta e Sessanta  esprimono nuovi valori  nati  dalla consapevolezza di essere una generazione scampata agli orrori della guerra. Nel percorso tra realismo e astrazione sostiamo con stupore davanti al surrealista Renè Magritte, all’incredibile Renato Guttuso e a Pablo Picasso per immergerci infine nelle grandi tele di Emilio Vedova, Piero Dorazio e Giuseppe Santomaso. Si pone attenzione anche  alle creazioni di figure d’artisti più giovani come Chiara Dynys, Leandro Erlich, Giuseppe Gallo, Dan Roosegaarde e Arcangelo Sassolino. L’allestimento museale ha avuto la direzione della storica dell’arte Gabriella Belli.

Patrizia Lazzarin, 7 novembre 2022

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Luce a Milano, a Villa Reale

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Le sale di Villa Reale di Milano,[uno dei principali monumenti del neoclassicismo milanese, ospiteranno fino al 6 marzo una rassegna dedicata al Divisionismo, una  corrente pittorica che in Italia  aveva coniugato  le ricerche dell’Impressionismo e del Pointillisme francese assieme all’esperienza verista ottocentesca, trasformando l’ispirazione poetica in un melange di colori complementari che non venivano mescolati, ma accostati come punti di luce. La Galleria d’Arte Moderna in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona hanno riunito le loro collezioni che custodiscono alcuni dei capolavori del Divisionismo per osservarlo dall’interno, con uno sguardo sulle diverse soluzioni  tecniche dei suoi protagonisti che hanno affrontato spesso anche tematiche sociali. Milano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, gli anni in cui si sviluppa questa corrente artistica, è una città animata da forti fermenti culturali e si caratterizza per grandi cambiamenti di carattere architettonico ed urbanistico, mentre cresce la ricchezza dell’economia legata all’industria da un lato, e dall’altro, aumentano le rivendicazioni dei ceti meno agiati.  Gli autori presenti nell’esposizione declinano in modi nuovi e differenti, questa temperie esistenziale e  lo potremmo osservare proprio ammirando le loro opere in mostra. Giacomo Balla, Leonardo Bistolfi, Umberto Boccioni, Giulio Branca, Luigi Conconi, Tranquillo Cremona, Carlo Fornara, Giuseppe Grandi, Emilio Longoni, Angelo Morbelli, Plinio Nomellini, Giuseppe Pellizza, Gaetano Previati, Attilio Pusterla, Daniele Ranzoni, Giovanni Segantini, Giovanni Sottocornola e Paolo Troubetzkoy: una lunga fila di nomi e personalità che in misura diversa ritroveremo legati a movimenti pittorici come il Futurismo, il Simbolismo e la Scapigliatura lombarda, partiranno da esperienze anche molto diverse per diventare gli interpreti sensibili di questa nuova realtà. Ammiriamo così a Villa Reale la  bellissima immagine del Ponte di Pellizza da Volpedo, l’artista famoso per il suo Quarto Stato, dove vediamo marciare uniti un corteo di lavoratori, entrati  grazie a questa rappresentazione, nell’imagerie collettiva come espressione di un  popolo che lotta per i suoi diritti. Qui, nel Ponte, la luce dosata in maniera sapiente sembra posare su un piatto d’argento quella bellezza che si manifesta  nell’atto del  ragazzo che, in maniera spontanea, si abbevera al fiume.  Egli stesso brano di natura come quelle morbide pecore sfumate nei  toni chiari dei loro mantelli lanosi che appaiono presenze palpitanti del miracolo della vita, allo stesso modo dei grandi massi in primo piano che sembrano sfaldarsi nel colore. L’acqua del fiume, piccolo corso, quasi carta stagnola che segna il percorso nei presepi casalinghi, dove si fermano le dita dei bambini per inventare nuove storie, racchiude in questo quadro i toni del ghiaccio e  del bianco che sfumando nell’aria che si tinge di rosa, illuminano di un chiarore intenso il paesaggio  che prosegue  oltre il ponte, lontano, fino alle montagne innevate. Lo sguardo incantato dell’uomo o meglio del pittore sulla Natura si percepisce nel quadro La solitudine di Emilio Longoni, dove la pennellata divisionista offre al nostro sguardo una tessitura cromatica che sembra ricamare una linea senza pausa. Gli animali, il pastore, le rocce e le cime innevate si riescono a cogliere in un solo colpo d’occhio confondendosi in un’unica sostanza. Molti pittori divisionisti come Segantini, Longoni, Fornara e anche altri sceglieranno come soggetto o luogo dei loro quadri dei paesaggi alpini. In Fornara sia in Pascolo sia in Fine dell’inverno una gamma cromatica estremamente luminosa riproduce il risveglio della primavera con il suo verde rifiorire dell’erba e il cielo che diventa  di un azzurro terso. In questa esposizione comprendiamo lo sviluppo della corrente del Divisionismo anche a partire da altri movimenti. Esponenti della Scapigliatura lombarda come Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni e Giuseppe Grandi declineranno  o meglio rinnoveranno la tematica romantica con pennellate accese, dove le linee e i colori si vedono spezzarsi  in continuazione avvicinandosi così alla tecnica divisionistica. Tante le opere che diventano un affresco reale di un’epoca che alcune volte si tinge del dolore della gente semplice. Lo sguardo degli artisti si trasforma nel pennello  che racconta una società vista anche negli aspetti meno aulici e spesso ha una forte carica di denuncia. Piazza Caricamento a Genova di Plinio Nomellini, nel suo taglio fotografico ci offre un’immagine realistica della città popolata di lavoratori che sono anche i protagonisti  della sua crescita sfrenata. L’alba dell’operaio di Giovanni Sottocornola, autore molto attento alle tematiche sociali, sembra anticipare nelle persone che si muovono in una stretta via, quasi ammasso pastoso di cromie e con difficoltà illuminato dai lampioni, le città e le piazze affollate dei futuristi. In Mi ricordo quand’ero fanciulla di Morbelli ci ritroviamo al Pio Albergo Trivulzio dentro un ospizio per anziane ospiti,  occupate come nella tela Inverno, a cercare la luce per poter lavorare a maglia. Il quadro appare come un inno silenzioso alla caducità della vita. Nei futuristi come Giacomo Balla, nel dipinto Paesaggio, scopriamo un divisionismo che  diventa strumento per rendere la luce e il movimento. La natura sembra qui polverizzarsi e assumere  intonazioni cromatiche che come lui stesso scrisse in una lettera del 1899 « come in un amplesso d’amore passano dal pallido al rosso, dal caldo al freddo». La mostra DIVISIONISMO. 2 COLLEZIONI è stata curata da Giovanna Ginex.

Patrizia Lazzarin, 5  gennaio 2022

 

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Il fascino della luce: Previati tra futurismo e simbolismo

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Il rinnovarsi e il mutare dell’arte italiana tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento lo possiamo comprendere attraverso la mostra che ha riaperto i battenti in questi giorni a Ferrara: Tra Futurismo e Simbolismo: Gaetano Previati, all’interno dell’antica dimora degli Estensi: il castello che con la sua presenza, fatta di pietre e di storia, è una delle icone  di questa città. In questo scrigno che, come molti altri monumenti è ora visitabile dopo la forzata chiusura per l’emergenza sanitaria, si può conoscere la parabola artistica di questo pittore ferrarese, per molti aspetti rivoluzionario, di cui ricorre quest’anno il centenario della morte, e che fu capace di  confrontarsi con le tendenze culturali d’oltralpe nello sperimentare le possibilità espressive del colore e delle linee. Il percorso della rassegna, che ha la curatela della studiosa Chiara Vorrasi, inizia con  un bozzetto dell’artista: La resa di Crema, che è il racconto emblematico di una vicenda ambientata nel Medioevo, dove i corpi scolpiti dalla luce e quasi irriconoscibili, essi stessi fotoni di una materia corpuscolare, raccontano il finale dell’assedio più lungo  che ci sia stato  in Europa, in quelli che per antonomasia sono detti i secoli bui della civiltà: il Medioevo dei manieri espugnati con sanguinose e cruente battaglie a corpo a corpo. Questa tela che è quasi un’evocazione del dolore, che risuona attraverso le scaglie di colore e tocca  la nostra sensibilità divenne il trampolino di lancio del pittore ferrarese che vinse nel 1879 il prestigioso Premio Canonica per la pittura di storia. L’opera di Gaetano Previati è di una vastità e di un valore che sconcertano, affermava nel 1916 Umberto Boccioni, uno dei maggiori esponenti  del movimento futurista, quella corrente culturale dei primi  del Novecento che aveva recepito nella sua ideologia i cambiamenti dovuti all’enorme sviluppo della tecnologia e che aveva posto tra i suoi principi  il culto della velocità. L’arte di Previati precorreva i tempi e sembrava metter fine all’epoca del verismo. Dentro la mostra, promossa dal Comune di Ferrara e dalla Fondazione Ferrara Arte e che rimarrà aperta fino al 27 dicembre, noi possiamo osservare il processo evolutivo della storia  di Previati che diventa anche la cartina al tornasole della temperie culturale italiana. Cento opere fra dipinti ad olio, a pastello e disegni provenienti da raccolte ferraresi e da collezioni pubbliche e private, a cui si aggiungono documenti ancora inediti, illustrano le ricerche artistiche a lui contemporanee: dagli scapigliati, ai divisionisti e  ai simbolisti e, che riemergono nelle sue tele e disegni, nuove e di sapore diverso, come dopo un’immersione. Nel dipinto Hashish o Le fumatrici di oppio, dove belle fanciulle rimandano ad un harem, Previati si avvicina alle tematiche di Charles Baudelaire, il poeta maledetto francese che aveva evidenziato  il potere delle sostanze oppiacee di esaltare il senso dell’immaginazione e di inventare e costruire un’altra realtà. Sulla scia dei tempi I’artista sperimenta. Fondamentale sarà il viaggio a Parigi e  la sua amicizia con il  mercante di quadri  Vittore Grubicy che era in contatto con l’avanguardia belga ed olandese. Saranno importanti per lui la lettura degli articoli pubblicati su L’Art moderne, la rivista dell’associazione artistica belga Les XX a cui era abbonato Grubicy, che parlavano delle tecniche di divisione del colore, dove tocchi di materia colorata  venivano accostati senza essere mescolati, riuniti dall’occhio dello spettatore che veniva  affascinato dagli effetti luminosi. Nel PratoMattino i giochi di luce  e i tratti filamentosi traducono le emozioni del pittore poeta che ad esse ricorre, come soprattutto in Maternità, per svelare epifanie. Luce dorata, filamenti di colore e suggestioni diventano una triade che concentra i significati del sentire e sono il riflesso di una sensibilità attenta che inventa nuovi moduli espressivi. Nel 1889 il quadro Maternità, assieme all’opera Due madri  di Giovanni Segantini e ad Alba di Angelo Morbelli, annunciano la nuova arte, ideista o divisionista, che diventa dirompente nella società di allora per la sua carica di novità. Il piacere di comunicare il senso della bellezza diventa un compito del pittore – profeta che si avvale di alcune tecniche fornite dagli effetti della luce e da schemi circolari per riprodurre come, nella Madonna dei gigli, nella Danza delle Ore o nella prima Assunzione, l’idea dell’armonia universale. È lo svelarsi ancora una volta di qualcosa di straordinario, dove veniamo quasi trascinati sulle scie disegnate nel suo movimento da uno strumento musicale: un violino le cui corde sinuose   mutano in fili di un colore  che ci avvolge nel racconto del quadro. Con il ciclo della Passione Gaetano Previati raggiunge il culmine del suo rapporto di empatia con l’osservatore, grazie ai tagli ravvicinati e ai contrasti cromatici. La sua progettualità e i suoi studi si leggono nei suoi scritti. Nei Principi scientifici del divisionismo  egli spiega il suo alfabeto di segni e di colori capace di tradursi nel linguaggio delle emozioni. L’ultima creazione del ferrarese, nel salone di ricevimento della Camera di Commercio di Milano, si confronta con l’immaginario globale suggerito  dalle future vie di comunicazione. Le opere, quattro tele monumentali, intitolate le Vie del Commercio, come ad esempio, in Ferrovia del Pacifico, sembrano annunciare attraverso il senso di vertigine dovuto all’altezza e alla velocità, dentro una luce solare che riempie di scaglie d’oro le nostre pupille, la modernità capace di trasformare noi e il mondo che ci circonda.

Patrizia Lazzarin, 15 giugno 2020

 

Patrizia Lazzarin, 15 giugno 2020

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