Dall’America una lezione per l’economia europea

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Economia: gli Stati Uniti vanno, l'Unione Europea no

Gli Stati Uniti sembrano essere riusciti in un’impresa quanto mai difficile e raramente portata a termine negli ultimi venti anni, ovvero coniugare il rientro dall’alta inflazione con la crescita dell’economia. Soltanto durante l’amministrazione Clinton al volgere del secolo, tra il 1996 e il 2001, si era riusciti a tenere l’inflazione bassa, aumentare il Pil, riportare in equilibrio il bilancio federale ed abbassare la disoccupazione su tassi minimi. Ma questo successo era propiziato dall’accelerazione nella diffusione delle nuove tecnologie dell’Ict e da incrementi dei prelievi fiscali e diverse riforme di struttura. Il contesto economico internazionale era altresì diverso e la situazione politica meno tesa dell’attuale (...) In questa fase ciclica l'Europa deve anche fronteggiare il rischio di una deriva verso un prolungato smorzamento della crescita, deriva innescata dalle nuove regole del Patto di Stabilità. Questo scenario vale, in particolare, per l'Italia che cumula grandi squilibri nei conti pubblici con rigidità di sistema, che sono scalfite poco dalle riforme in programma. Pertanto, la positiva lezione americana si presenta come una strada molto difficile da percorrere in questo continente. Il commento di Salvatore Zecchini su Formiche

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Le quattro partite dell’Italia in Europa sul bilancio

Meloni e Salvini contro l'Europa. Nuovo e vecchio scontro

La Nota di Aggiornamento del Def di quest’anno si preannuncia come una tra le più travagliate dell’ultimo decennio per la difficoltà di conciliare le attese di nuovi sostegni a famiglie ed imprese in una fase di stagnazione, se non di recessione economica, e i vincoli di riequilibrio della finanza pubblica che derivano tanto dagli impegni presi con Bruxelles, quanto e con più forza dai mercati finanziari. Dopo un decennio di Leggi di bilancio improntate a sollecitare l’espansione dell’economia con costanti disavanzi e un accumulo di debito pubblico ben oltre l’ammontare annuale di ricchezza prodotta (141,6% del Pil nel 2022), l’attuale governo si trova a dover fare i conti con una dura realtà, che presenta, a parte la cattiva congiuntura attuale, la prospettiva del ritorno all’asfittico zero virgola annuale di crescita e un debito pubblico ai limiti della sostenibilità (...) Sul quesito se l'attuale livello di debito pubblico in rapporto al Pil sia sostenibile ancora per qualche anno, a parte i vincoli posti dal Patto di stabilità, la risposta sta nell'atteggiamento dei mercati finanziari. Nell'ultimo biennio gli investitori hanno dato credito alle politiche italiane perché avevano permesso un ritorno alla crescita e alla ripresa deli investimenti fissi, in ciò sostenuti dall'accomodamento monetario della Bce. Ma nell'attuale fase di stagnazione economica, con una Bce, che non è tenuta a rinnovare i titoli in portafoglio acquistati durante la crisi, la rischiosità del debito italiano è tornata in primo piano nelle valutazioni dei mercati. Il recente allargamento dello spread tra BTP e Bund ne è prova, al pari della sua dimensione superiore a quella della Grecia, paese col maggior rapporto debito-Pil nell'Eurozona.Il commento del prof. Salvatore Zecchini sul sito Formiche.

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