Gli Stati Uniti pensano alla nuova geopolitica

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Washington vuole andare oltre la Guerra Fredda

Gli Stati Uniti quando pensano a certi progetti hanno anche in mente un obiettivo chiaro: il de-coupling dalla Cina, processo già in corso ma di più lunga gittata strategica (per complicazioni legate alle interdipendenze esistenti) rispetto al più praticabile de-resking. Tenendo conto del contesto multi allineato che sta caratterizzando le relazioni internazionali, la creazione di questi grandi gruppi di connessioni significa riconoscere il valore di soggetti finora considerati marginali, elevarli a interlocutori attivi nelle dinamiche dei propri contesti geostrategici e in definitiva riconoscere che in questa fase storica molto Paesi finora considerati entità separate hanno diritto (e necessità) di essere per quanto possibile protagonisti del loro futuro. Il commento di Emanuele Rossi sul sito Formiche.

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Di inquinamento non si parla, ma è un problema

Un comune su dieci in Lombardia è a rischio di inquinamento a causa degli allevamenti intensivi. Eppure l'Europa continua a finanziare questo settore produttivo, tanto che metà dei fondi europei per la zootecnia destinati alla Lombardia finiscono proprio nelle tasche degli allevamenti che si trovano nei territori a maggiore rischio ambientale. Il commento di Elisa Murgese e Diego Gandolfi su L'Espresso.

Lo spreco assurdo di risorse europee

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La rivoluzione agricola

L’attenzione politica e mediatica concentrata su ecologia e digitalizzazione – secondo le intenzioni della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, gli investimenti in tecnologie verdi potrebbero essere in tutto o in parte scorporati dalle regole su debito e deficit, mentre la Germania annuncia un piano da 100 miliardi per finanziare entro il 2030 una riconversione ecosostenibile del sistema produttivo tedesco – c’è un settore del prossimo bilancio dell’Unione europea che rischia di passare in secondo piano, pur essendo per un paese come l’Italia non meno strategico.

Si tratta dell’agricoltura, il cui bilancio è scandito dalla Pac  (Politica agricola comunitaria) con tempi sfalsati, 2021/2027 (così come avviene per quello della Ue) rispetto ai cinque anni di mandato dell’Europarlamento e della Commissione. I suoi criteri sono stati indicati dalla Commissione Juncker ormai a novembre 2017, ma nel frattempo l’incertezza sulla Brexit si è acuita, la governance europea è cambiata e con essa, appunto, le priorità indicate a elettori e opinione pubblica.

Dunque è tutto in stand by: eppure, dei 1.135 miliardi del prossimo bilancio comunitario proposti nel 2018 a prezzi costanti (1.279 con una rivalutazione del due per cento d’inflazione, con la media Ue che però è al momento al di sotto di questo obiettivo), la politica agricola rappresenta la seconda voce di spesa dopo i fondi di coesione, cioè gli investimenti infrastrutturali. Nelle previsioni attuali l’agricoltura rappresenta nel bilancio 2021-2027 il 98 per cento del capitolo “Risorse naturali e ambiente”, pari a 378,9 miliardi; mentre il capitolo “coesione e valori” ammonta a 442,4 miliardi.

Dal “Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano” presentato a luglio 2018 dall’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agroalimentare) emerge che il settore esprime un valore aggiunto che incide sul pil per il 2,1 per cento. In cifre assolute, si tratta di 61 miliardi di valore aggiunto, di cui 41 di esportazioni, e 1,4 milioni di occupati.

Ma c’è anche l’altra faccia della luna sottolineata dall’Ismea: dal 2007 al 2017 gli investimenti fissi lordi sono scesi del 32,4 per cento contro i 23 dell’intera economia, e la loro incidenza sul valore aggiunto si è a sua volta ridotta dal 41,7 al 27,1. Anche l’aspetto finanziario non lascia tranquilli, con prestiti a medio-lungo termine ridimensionati del 28 per cento. Il che fa sì che nella catena del valore si stia producendo una gigantesca redistribuzione a valle, a favore della grande distribuzione, spesso costituita da multinazionali, mentre a monte per ogni 100 euro di prodotto acquistato dai consumatori solo 1,8 euro restano nelle tasche degli agricoltori e appena 1,6 euro in quelle dell’industria agroalimentare.

Da tempo il mondo agricolo indica i correttivi, sintetizzati nell’agevolazione degli investimenti, nell’utilizzo migliore dei fondi comunitari che vengono spesi, nella redistribuzione dei proventi dalla grande distribuzione all’accesso al capitale fondiario.

Così avere voce in capitolo nella definizione del futuro bilancio europeo e nella Pac 2021-2027 è una priorità per il commissario all’Economia per Paolo Gentiloni. Nella commissione Von der Leyen l’Agricoltura è andata al conservatore polacco Janusz Wojciechowski, rappresentante di un paese in ascesa, con un ampio territorio agricolo.

Per il periodo-ponte del 2020, la Commissione aveva previsto tagli lineari che avrebbero penalizzato l’Italia per 2,7 miliardi, pari al 5 per cento degli stanziamenti. Così il mondo agricolo si è mosso attraverso Paolo De Castro, europarlamentare del Pd, relatore del bilancio 2020 nella commissione Agricoltura di Strasburgo. De Castro ha un curriculum invidiabile: nato in una famiglia di imprenditori agricoli, ordinario di Agraria a Bologna, ex ministro dell’Agricoltura nei governi Prodi e D’Alema, co-autore di progetti internazionali sullo sviluppo agroalimentare, negoziatore per il Trattato transatlantico Europa-Usa (Ttip) – poi incompiuto –, rieletto alle europee del marzo scorso. Ora assicura: “Per il 2020 non ci saranno tagli. Quanto alla Pac 2021-2027 le risorse mancanti andranno compensate con altre fonti, a cominciare dalla tassazione dei giganti del web”.

Dunque si tratta di un dibattito sull’Europa non astratto e ideologico, ma molto concreto, specie per l’Italia. Lo stallo attuale deriva principalmente da tre cause: le difficoltà nel definire il bilancio 2021/2027 dovute alle conseguenze del buco generato dalla Brexit; la tentazione di ridimensionare

politiche tradizionali come la Pac  per finanziare nuove sfide, l’incertezza sulla nuova governante della Ue, che vede un Parlamento poco operativo, una Commissione appena nominata e un Consiglio composto da rappresentanti di governi in cui non c’è una solida maggioranza di riferimento. Secondo molti è impossibile che la nuova Pac sia decisa  in tempo per entrare in vigore a gennaio 2021, per cui sarebbe scontata una proroga di almeno un anno dell’attuale politica per l’agricoltura.

Un ruolo non secondario lo avrà il nuovo Europarlamento, con effetti per nulla scontati: gli eurodeputati più euroscettici potrebbero spingere per ridurre la spesa di tutte le politiche europee. A parte che il monopattino non me lo posso fare da solo. A parte che ammesso che lo facessi da solo poi avrei voglia di esportarlo. Poi è un problema di scala, non siamo da soli, siamo quasi otto miliardi e in tanti partecipiamo alla filiera. Sono elementi che non consideriamo mai, per la spesa di tutte le politiche europee, specie quelle più tradizionali come la Pac; la componente più sovranista potrebbe però essere sensibile all’opportunità di gestirla con maggiore autonomia a livello nazionale.

Ci saranno meno soldi per l’agricoltura? Guardando alle proposte della passata Commissione e confrontando i due periodi di programmazione, 2021/2027 rispetto a quello 2014/2020, il taglio a prezzi correnti è del 4,5 per cento per l’Ue e del 9 per l’Italia. Il maggiore sacrificio per il nostro paese si deve agli effetti della convergenza, ossia del meccanismo di avvicinamento alla media europea dei pagamenti per ettaro nei diversi stati membri. In effetti il taglio proposto in termini percentuali è analogo a quelli che la Pac  ha sperimentato negli ultimi vent’anni, dunque in linea con il declino di lungo periodo del suo peso sul bilancio Ue. Ma questa non è una consolazione: l’agricoltura, dicono dal settore “ha già dato” in passato e non è giusto che paghi praticamente da solo il costo della Brexit: anche perché non si tratta solamente di un settore strategico sul fronte del Pil ma, tanto più nella nuova ottica green, anche di un ramo produttivo capace di assicurare salvaguardia dell’ambiente, equilibrio territoriale, biodiversità e mitigazione del cambiamento climatico.

Nel frattempo è utile vedere che cosa la Commissione uscente ha proposto per la nuova Pac. Si dichiarano tre obiettivi generali:

“Promuovere un’agricoltura intelligente, resiliente e diversificata che garantisca la sicurezza alimentare”;

“Rafforzare la tutela dell’ambiente e le azioni per il clima”;

“Rafforzare il tessuto socioeconomico delle aree rurali”.

A questo proposito, in un’ottica diversa, è interessante considerare il lavoro dell’azienda Brazzale, la più antica azienda familiare italiana del settore lattiero-caseario, originaria dell’Altopiano di Asiago, in attività ininterrotta da ben otto generazioni. Non è a chilometro zero, anzi ha sei insediamenti produttivi sparsi in tutto il mondo, in Italia, Repubblica Ceca, Brasile e Cina, e impiega complessivamente oltre 730 dipendenti, per un fatturato complessivo – dicono i bilanci relativi al 2018 – pari a circa 210 milioni di euro, di cui oltre un terzo esportato dall’Italia nel membri. In effetti, il taglio proposto in termini percentuali è analogo a quelli che la Pac ha sperimentato negli ultimi vent’anni, dunque in linea con il declino di lungo periodo del suo peso sul bilancio Ue. Ma questa non è una consolazione: l’agricoltura, dicono dal settore, “ha già dato” in passato e non è giusto che paghi praticamente da sola il costo della Brexit: anche perché non si tratta solamente di un settore strategico sul fronte del pil ma, tanto più nella nuova ottica green, anche di un ramo produttivo capace di assicurare salvaguardia dell’ambiente, equilibrio territoriale, biodiversità e mitigazione del cambiamento climatico.

Gli obiettivi generali si articolano in altri 9 più specifici, di cui solo 4 sono direttamente rivolti agli agricoltori (sostegno al reddito, orientamento al mercato e alla competitività, miglioramento della posizione nella filiera agroalimentare, sostegno ai giovani agricoltori), mentre gli altri 5 riguardano temi quali ambiente, cambiamenti climatici, risorse naturali, biodiversità, territorio e paesaggio, inclusione sociale e occupazione nelle aree rurali. Un impianto che conferma una Pac sempre meno “agricola” in senso stretto e sempre più ambientale e territoriale.

L’agricoltura rappresenta nel bilancio 2021-2027 il 98 per cento del capitolo “Risorse naturali e ambiente”, pari a 378,9 miliardi mentre il capitolo “coesione e valori” ammonta a 442,4 miliardi.

Ma, al di là delle dichiarazioni, le sfide della futura Pac stanno soprattutto nella sua governance, che presenta appunto due importanti novità: il cosiddetto “new delivery model”, un sostegno più mirato e orientato al risultato, in termini di obiettivi da raggiungere e di indicatori con cui valutarli; un ampliamento dei margini di autonomia degli stati membri, esplicitamente chiamati a redigere un “Piano strategico nazionale” con cui applicare la Pac in modo flessibile, adattandola alle esigenze nazionali. In stati come Spagna, Germania, ma soprattutto Italia, dove molte competenze di politica agraria sono demandate alle regioni, è una rivoluzione copernicana. Sui fondi europei le regioni italiane (in particolare sui piani di sviluppo rurale) hanno sempre difeso strenuamente la propria competenza, rifiutando un coordinamento come quello che d’ora in avanti sarà necessario per redigere il piano strategico.

E’ comprensibile il timore delle regioni virtuose, quelle che hanno imparato ad applicare bene la Pac, a negoziare autonomamente con l’Europa e che non vogliono rischiare di rimanere impelagate in una nuova burocrazia imposta dall’alto. Ma proprio queste regioni, in nome della loro forza amministrativa, potrebbero essere capofila di un percorso che provi a mettere insieme un modello di coordinamento leggero ma efficace e condiviso; capace di salvaguardare le buone pratiche e contaminare” le realtà finora meno virtuose. In ogni caso l’esperienza della Conferenza stato-regioni, che spesso è stata la sede di compromessi al ribasso frutto dei veti incrociati di questa o di quella amministrazione, è superata. Essere costretti a fare sistema sarà una scelta obbligata per elaborare una strategia di politica agricola nazionale efficiente. E non perdere soldi.

Renzo Rosati – Il Foglio – 30 ottobre 2019

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