Elezioni britanniche: una vittoria in attesa di verifiche

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     Elezioni britanniche. Travolgente vittoria laburista. Euforia e sorrisi del neo Primo Ministro Keir Starmer. Perdita del seggio per numerosi parlamentari conservatori di spicco, da Penny Mordaunt al borioso Rees Mogg, inclusa anche l‘iper-fallimentare ex Primo Ministro Liz Truss.

     Insomma, una falcidia senza precedenti che ha decimato in poche ore un partito al potere da oltre un decennio e che dovrebbe ricordare agli stessi vincitori di oggi come anche le ascese possano essere meteoriche.

     Bisogna leggere al di là di questi aspetti apparentemente conclusivi ed auto-esplicativi.

     Mentre la goffaggine, le maldestre piroette e l’incompetenza dei Tories negli ultimi anni erano lampanti, non si può dire che i loro oppositori, e cioè, i Laburisti, abbiano proiettato maggiori affidabilità e concrete alternative. A parte i battibecchi di maniera ai due lati del grande bancone di Westminster, nel corso degli ultimi anni i vari esponenti laburisti non hanno offerto ricette alternative originali e chiare. Alcuni, anzi, come l’attuale vice Primo Ministro Angela Rayner, si sono caso mai distinti per i loro eterni silenzi e muti assensi alle recite dell’oratore del partito, cosa che legittima la curiosità sulle reali virtù politiche della signora in questione.

     In ogni caso, dal Brexit (tabù intoccabile) all’Ucraina o alla Nato (altri intoccabili tabù) fino alle ondate migratorie o alle incomprensibili apparizioni di velivoli militari britannici nel Mar nero, in nessuna di queste aree i due partiti hanno mostrato di essere realmente su due sponde opposte.

     Su altri temi più domestici, come il ruolo di una monarchia sempre più petulante e narcisistica – contrariamente alle altre loro omologhe europee – o il perdurare dei privilegi fiscali di una classe di proprietari terrieri che possiedono gigantesche proprietà per milioni di ettari (inclusa la stessa famiglia reale) fino alla strisciante islamizzazione e indianizzazione della società britannica, su tutti questi temi, un silenzio totale.

      Temi tuttavia cruciali per varie ragioni. Nonostante le velleità e l’oleografia, la Gran Bretagna è un Paese decaduto o comunque infinitamente lontano, anche dal punto di vista economico, dalla sua acme imperiale. Basterebbe fare solo un confronto fra il generale aspetto dei passanti nelle strade di Oslo, per esempio, e di quelli di Londra per rendersi conto della lampante disparità di benessere e di agio che traspare anche dall’abbigliamento e dall’ambiente esterno. Le barriere doganali e la perdita di competitività dovute al Brexit hanno solo acuito  la crescente penuria di risorse e gli effetti di una continua asfissia demografica dovuta a decenni di massiccia e incontrollabile immigrazione. Quest’ultimo fenomeno sarà uno dei veri banchi di prova del nuovo governo, per non parlare dell’atteggiamento nei confronti dell’Ucraina e del conflitto in Israele.

      Banalmente, priva degli antichi immensi vantaggi di un monopolio mercantile coloniale, la Gran Bretagna di oggi è un Paese sempre più povero ma che non ha tuttavia perduto le sue antiche velleità (vedi per esempio le sue basi a Cipro, le portaerei, le sue politiche di aiuto militare in Ucraina, etc). Nel frattempo, il boomerang del Brexit e la caotica gestione politica degli ultimi anni hanno anche indebolito e messo in dubbio l’immagine  di una Londra come insuperato teatrofinanziario. Molte società hanno scelto altre destinazioni meno caotiche politicamente, mentre anche varie prestigiose università lamentano un inquietante declino delle laute iscrizioni di studenti stranieri.

       Ma ritorniamo all’immigrazione e alle sue derive culturali.

      Contrariamente alle rozze dicerie dei pappagalli maldicenti, quest’ultima non è un problema di razza ma di sostenibilità economica e prima ancora di integrazione culturale, perno di qualsiasi stabilità sociale.  I ripetuti episodi di fanatismo, gli incitamenti anti-semiti in varie moschee e le recenti violente dimostrazioni a favore della Palestina (ma mai contro Hamas), non ostacolate dalla polizia londinese, sono un eloquente esempio di come le lealtà e le identificazioni di un gran numero di immigrati anche naturalizzati non coincidono con quelle del luogo. Non solo, ma trascinano il fervore di masse altrimenti ignare e facilmente manipolabili, meccanismo che il diluvio e sempre crescente pervasività dei mass media e degli strumenti di comunicazione elettronici stimola e rinforza. Dato che le minoranze sono sempre più diventate degli strumenti di pressione all’interno dei sistemi politici, sarebbe ingenuo o in malafede ritenere che qualsiasi governo britannico, sia esso conservatore o laburista, possa conservare una sua indipendenza di azione e non essere condizionato da una minoranza come quella islamica che oggi ammonta a 4 milioni di individui. Stessi discorsi potrebbero essere fatti per i cittadini britannici di origine e religione indù, con la fondamentale differenza che l’India non ha mai tradizionalmente esportato fondamentalismi ma al contrario ideologie pacifiste (vedi Gandhi).     

       A questo proposito, è certo una sorta di straordinaria nemesi storica il fatto che oggi un gran numero di funzionari e parlamentari britannici siano proprio di origine pachistana o indiana (basti pensare allo stesso sindaco di Londra, Sadik Khan).

       I rigurgiti della storia possono essere implacabili.

       Mentre il vero fattore essenziale non è l’origine etnica ma l’incondizionata lealtà ai valori del luogo di adozione, non potrà comunque far riflettere il fatto che nessun individuo di origine britannica o anche europea siede tuttavia nei parlamenti dell’India, del Pakistan o di qualsiasi altro paese del Medio Oriente. Osservazioni analoghe potrebbero essere fattieriguardo alla Germania, con i suoi parlamentari di origine turca, mentre la Turchia ha al contrario espulso qualsiasi minoranza non islamica e non etnicamente pura (gli stessi Curdi sono sopportati e visti con sospetto). La singolarità non è quindi che una parlamentare di origine indiana come Priti Patel sia stata Ministro degli interni, carica del resto ricoperta con efficienza a differenza di quella dell’altro parlamentare di origine indiana, Rishi Sunak, oggi clamorosamente sconfitto. La singolarità è che fenomeni analoghi e reciproci non accadono e non sono immaginabili nei Paesi di origine di simili individui.

     In altre parole, il partito laburista eredita nodi e problematiche non solo politici ma anche economici e strutturali che gli slogans della “democrazia”, di un rinnovato “impegno sociale” e dei “diritti umani“ e del “public service” non bastano ad eliminare o a risolvere come per magia. Fino a che punto, infatti, la colossale perdita di seggi dei Tories e del Partito Nazionale Scozzese è stata dovuta alle attrazioni di comprovate ricette laburiste o semplicemente alla frustrazione per la caotica gestione dei Conservatori?

     Solo i fatti mostreranno fino a che punto i Laburisti abbiano realmente un nuovo progetto che affronti spinosi problemi di fondo come quelli prima menzionati.

    E’ solo questione di tempo.

Antonello Catani, 8 luglio 2024

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Sunak o Truss? L’approccio britannico verso la Cina

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La battaglia per la successione di Boris Johnson

“La Cina e il Partito Comunista Cinese rappresentano la più grande minaccia alla sicurezza e alla prosperità del Regno Unito e del mondo in questo secolo” (...) Una partita, in Gran Bretagna, per la premiership tra Liz Truss e Rishi Sunak per subentrare a Boris Johnson, ripetutamente dichiarato sinofilo, al n. 10 di Downing Street, su posizione più dure verso Xi Jinping. Le considerazioni di Gabriele Carrer sul sito Formiche.

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La caccia alle streghe e la vergogna dell'Europa

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      L’Europa non è nuova alla caccia alle streghe, e tantomeno gli Stati Uniti (vedi Salem e le sue disgraziate). Quella attuale, nei confronti della Russia e in particolare di Vladimir Putin, ha l’aggravante di essere portata avanti dalle istituzioni (la demi vierge Bruxelles e i suoi accoliti) e stimolata anche dai mezzi d’informazione oltre che dai suoi architetti d’oltre oceano (gli Stati Uniti). Il contesto è degno delle storie di perfidia e idiozia di un romanzo d’appendice di bassa lega.

     I rigurgiti  della caccia pendono le forme più incredibili, miserande e sfrontate. Ne può soffrire anche uno scrittore morto da un pezzo come Dostoievski, sulla cui figura l’Università milanese La Bicocca ha deciso di sospendere un ciclo di lezioni “allo scopo di evitare controversie”. Un’istituzione accademica che scende a tali livelli di pusillanimità e confusione mentale dovrebbe chiudere i battenti Gli studenti dovrebbero abbandonarla in massa.

     Lasciando da parte queste vergogne italiche, più attenzione meritano altre prodezze.

     Questi giorni,  Boris Johnson, assieme al Segretario  britannico alla difesa, Ben Wallace, ha accusato Putin di colpire le aree urbane di Kharkov e che potrebbe essere portato in giudizio per crimini contro l’umanità. Wallace ha anche avvertito che i militari russi sono “ruthless” (senza scrupoli) e che Putin affettuerà “indiscriminati bombardamenti a tappeto “ contro le città ucraine. Il compunto Segretario di Stato americano si è espresso in termini analoghi. In altre parole, sembrerebbe che quando gli eserciti inglesi e americani si muovono, essi sono scrupolosi, mentre gli altri, quelli Russi, non lo sono. Con che faccia tosta si possano lasciar cadere accuse di questo tipo, lo sa solo il cielo.

       Non vi sono dati attendibili sulle vittime civili di questa folle situazione, le cui operazioni militari sono fisicamente effettuate da Russi ma in realtà istigate da non Russi. Anche perchè tutto è iniziato solo alcuni giorni fa, si può solo sperare che esse siano poche. Ma anche queste poche sono comunque inutili e assurde.

      Assieme alla Russia, anche gli Stati Uniti e i dirigenti ucraini con la loro smania d’ingresso nella NATO condividono la responsabilità di tali morti.

      Visto però che le si usa per demonizzare ulteriormente la Russia, vale la pena di ricordare come entrambi i Paesi a cui appartengono i personaggi sopra citati abbiano alle loro spalle (comprovati e non vociferati) bombardamenti criminali sui civili che non hanno confronti neanche con i feroci bombardamenti nazisti sulla Gran Bretagna durante la II Guerra Mondiale.

       Che proprio due Inglesi accusino i Russi di bombardamenti a tappeto, indimostrati, e che dimentichino la spietata repressione britannica dei Boeri, i campi di concentramento in Kenya o le migliaia di bombardieri che proprio negli ultimi mesi di guerra, quando ormai la Germania era paralizzata, si accanirono su Dresda e in precedenza su Amburgo e Düsseldorf, incenerendo centinaia di migliaia di civili, ciò ha solo un nome: sfrontatezza. Sfrontatezza pura e semplice. Boris Johnson ne ha da vendere. A quanto pare, sta facendo progressi. Definito “un bugiardo incallito” dall’ex-Speaker del Parlamento britannico, John Bercow, “un imbarazzante buffone” dall'ex membro del Parlamento Sir Alan Duncan e un clown dalla stampa inglese, Boris Johnson  sta ora estendendo il raggio di azione delle sue fandonie - vedi i suoi party in periodo di clausura Covid - anche oltre le scogliere di Dover. E gli Inglesi stanno a guardare....

       In quanto al Segretario di Stato americano, la sua insolenza è anche peggiore, visto che sta paragonando, sapendolo, cose imparagonabili. Soprattutto, pare dimenticare che furono gli Stati Uniti ad effettuare i più terribili bombardamenti di civili della storia con l’ineffabile giustificazione che così facendo “si risparmiarono molte vite umane”! La spudoratezza delle accuse di Blinken circa gli attacchi russi a obiettivi civili ucraini, sui quali, bisogna ripeterlo, non vi sono dati attendibili, appare in tutta la sua magnitudine, se si ricordano le cifre (invece comprovate) dei bombardamenti americani in Giappone durante la II Guerra Mondiale. Fu il generale americano Curtis LeMay a comandare le fortezze volanti che effettuarono micidiali bombardamenti su moltissime città giapponesi e che lanciarono inoltre le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Durante il solo bombardamento di Tokyo,  il 10 marzo 1945, nel giro di poche ore morirono 100.000 civili. Le 1665 tonnellate di grappoli di bombe al magnesio, al fosforo e napalm lanciate sulla città rasero al suolo 250.000 edifici e incenerirono un’area di 40 chilometri quadrati.  Ma molte altre città subirono la stessa sorte. Anche in mancanza di dati precisi, si stima che i bombardamenti a tappeto contro il Giappone ordinati da LeMay fra il marzo e l’agosto 1945 abbiano ucciso mezzo milione di civili e distrutto un milione di case. A quelle vittime, civili, vanno poi aggiunte quelle causate dalle due bombe atomiche a Nagasaki e Hiroshima.

      Né LeMay, a cui si devono i selvaggi bombardamenti di civili, né Truman, a cui si deve il lancio delle due bombe atomiche, furono mai incriminati, così come non furono incriminati i responsabili dei bombardamenti al napalm in Corea e Vietnam o delle morti durante l’invasione dell’Iraq, per non parlare della Siria o delle inquantificabili azioni destabilizzanti condotte dalla CIA in giro per il mondo. Se qualcuno ne dubita, si legga alcune preoccupate osservazioni sulla CIA da parte dello stesso Truman, che pure ne fu il fondatore. Il pulpito da cui parla lo scialbo e inespressivo attuale Segretario di Stato americano puzza di montagne di cadaveri di civili. Una concorrenza ai Mongoli, che secondo certe fonti eressero piramidi di teschi a Baghdad, quando la rasero al suo nel 1258 e naturalmente anche ai forni crematori dei Nazisti. 

      Come se non bastassero queste disinvolte sfrontatezze, anche il nuovo Ministro britannico degli esteri, Liz Truss, ha in questi giorni affermato che l’Ucraina starebbe combattendo non solo per sé stessa ma “per l’intera Europa” e che lei appoggia “nel modo più completo i cittadini britannici che desiderino andare a combattere a fianco degli Ucraini. Come dire che l’Europa intera (sic) sarebbe minacciata dalla Russia. Questa signora crede davvero a quello che dice? Se lo crede, gli Inglesi dovrebbero preoccuparsi, non per i Russi, ma per lo stato di salute del loro ministro degli Esteri.

      A soffiare sul fuoco, anziché adoprarsi per spegnerlo, ci pensa poi anche il Presidente ucraino, che ha annunciato la formazione di una “legione internazionale” e ha fatto appello ai volontari stranieri affinchè si arruolino. Gary Cooper? Per chi suona la campana? Forse sarebbe meglio che si sbarazzasse di certe formazioni cosiddette patriotiche – vedi il famigerato battaglione Azov - la cui bandiera riporta una croce uncinata. Ma anche sulle presunte menzogne di Putin sul come nacque la crisi del 2014 e venne estromesso l’ex- Presidente Yanukovitch, filorusso, basterebbe ascoltare certe conversazioni dell’attuale Sotto Segretario di Stato Victoria Nuland con i suoi colleghi per rendersi conto, ancora una volta, che anche quella crisi faceva parte di un progetto americano di destabilizzazione dell’Ucraina. In queste conversazioni, trapelate su Internet e quindi non una fantasia, il ruolo americano nel cambio di guardia e addirittura nella selezione dei personaggi graditi a Washington è lampante. Basta prendersi la briga di ascoltare. Fra l’altro, in una frase si sente un “al diavolo l’Europa”.

     Le rettifiche e correzioni di cui sopra sono solo una minuscola goccia d’acqua nell’incendio. Rimane il fatto che il piano è sempre più inclinato, grazie anche alla dissennata isteria collettiva e alla malafede dei reali mandanti di questo gioco pericoloso.

    

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