Ipocrisie e ambiguità di un mandato di arresto

  • Pubblicato in Esteri

Come noto, durante una conferenza internazionale tenutasi a Roma nel 1998, venne ufficialmente approvata la costituzione di una Corte Criminale Internazionale col compito specifico di perseguire individui colpevoli di genocidio, aggressione e crimini di guerra e contro l’umanità. La sua giurisdizione è limitata solo ai suddetti crimini e a patto che essi siano stati commessi nel territorio di un Paese firmatario. Vale la pena di menzionare come molti Paesi, fra cui Cina, Stati Uniti, Russia, India e Israele, oltre a buona parte degli Stati africani non hanno aderito allo Statuto relativo. Altri si sono ritirati o stanno per farlo.  Tutte queste nazioni, che rappresentano oltre la metà della popolazione mondiale non riconoscono quindi l’organismo in questione. Da notare che in quest’ultima metà sono incluse le nazioni che veramente contano nello scacchiere mondiale, mentre nell’altra metà sono incluse un gran numero di nazioni politicamente deboli e di recente formazione.  Non stupisce che la Corte sia stata accusata di colpire in particolare presunti criminali soprattutto di nazioni africane.

      In altre parole, poiché tutti gli Stati hanno di solito un sistema giudiziario capace, almeno in teoria, di perseguire crimini individuali, il suddetto organismo, formalmente super partes e che costa circa 150 milioni di euro all’anno costituisce un esempio della moltiplicazione dei funghi burocratici pour épater le bourgeois.

      Pochi giorni or sono il Pubblico Ministero della suddetta Corte, Karim Khan, cittadino britannico di origini pachistana e musulmano, ha richiesto un mandato di arresto per il Primo Ministro e il Ministro della Difesa israeliani oltre che di vari esponenti di Hamas, tutti accusati dei crimini sopra menzionati. Più precisamente, i dirigenti israeliani sono accusati di genocidio, di affamare intenzionalmente la popolazione, di sterminio e persecuzioni nei confronti dei civili. Lo stesso procuratore ha affermato di essere arrivato alle sue conclusioni dopo aver ricevuto il parere favorevole di vari giuristi di fama internazionale, fra cui la moglie dell’attore George Clooney, libanese e con madre palestinese e di religione sunnita.

     A suo tempo, la stessa Corte aveva emesso un mandato di arresto per Vladimir Putin, accusato di deportazione di bambini dall’Ucraina in Russia. Mentre Putin non è stato arrestato ed è del tutto improbabile che mai lo sia, vale la pena di menzionare come l’effettiva deportazione e il numero dei deportati fossero basati su accuse Ucraine mai comprovate da fonti indipendenti. Lo stesso vale per il numero dei morti a Gaza, fornito da Hamas e che secondo fonti dell’ONU deve essere dimezzato, senza dimenticare che esso comprende anche i guerriglieri morti di Hamas.

     Fatte queste brevi premesse, riorniamo ora al suddetto mandato di arresto e alle sue zone grigie.

      La prima osservazione è come mai una simile richiesta di arresto dei responsabili di Hamas non è stata fatta subito dopo la strage del 7 0ttobre 2023 e venga fatta solo adesso. Già allora gli autori della strage e i loro mandanti e i numeri erano identificabili, mentre d’altra parte nessuna operazione militare era stata ancora intrapresa da Israele. L’attuale tardiva equiparazione  criminale appare banalmente opportunistica e conforta l’idea che l’imputazione anche di Hamas sia solo un escamotage per meglio difendere la neutralità e fondatezza della richiesta di arresto nei confronti degli uomini politici israeliani.   

     La seconda osservazione è come mai la Corte in questione si sia dimenticata di prendere provvedimenti analoghi sempre nel 2023 in occasione delle repressioni in Iran e dell’arresto di decine di migliaia di civili e dell’esecuzione capitale  di oltre 500 persone.

Tanto più che già allora il ruolo dei vari responsabili iraniani nella destabilizzazione dello Yemen e del Libano e il sostegno logistico di Hamas non erano un segreto per nessuno.         

     La terza osservazione riguarda una questione di fondo ancora più vasta, e cioè, il contesto delle operazioni militari a Gaza e che sono all’’origine delle accuse di genocidio. Nel caso specifico non abbiamo infatti nessun scontro di eserciti, come era invece avvenuto nei vari conflitti fra Stati arabi e Stato di Israele. I guerriglieri di Hamas non agiscono infatti allo scoperto, ma sono mimetizzati e nascosti nel tessuto urbano. Tunnels, case, ospedali sono basi di guerriglia. In altre parole, l’esercito israeliano ha di fronte un gruppo armato che usa la popolazione civile come scudo. La tragica inevitabilità di morti e distruzioni è poco sottostimabile. Nello stesso tempo, nonostante le accuse contrarie, non solo la popolazione civile è stata sistematicamente invitata ad allontanarsi dalle zone che ospitano i militanti di Hamas, ma ingenti quantità di aiuti ai civili sono state fatte  pervenire a Gaza da Israele. Ben altri comportamenti (Napalm e indiscriminati bombardamenti a tappeto) nei confronti dei civili furono a suo tempo adottati dagli Stati Uniti in Corea e Vietnam e ancora prima, negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, in Giappone. Gli Inglesi fecero lo stesso in Germania, ad Amburgo e Dresda. La differenza si commenta da sé.

     La cosa sorprendente è che nessuno recrimina sulla strategia di Hamas di usare come scudo la popolazione civile né si registrano dimostrazioni in giro per il mondo per condannare l’eccidio del 7 ottobre e per reclamare la restituzione degli ostaggi.  Nessuno sofferma inoltre sul fatto che Hamas si auto-installò con prepotenza a Gaza e si è sempre proposta come l’alternativa armata e da Guerra Santa rispetto alla più moderata Autorità Palestinese. In altre parole, un movimento settario e fanatico, votato non all’istaurazione di una convivenza pacifica con Israele ma alla sua distruzione fisica con il sostegno e l’approvazione del regime iraniano. Che quest’ultimo miri alla totale distruzione di Israele è stato riaffermato anche in questi giorni dallo stesso “leader supremo” Khamenei.

    Non meno sorprendente ma anche tragico è il fatto che gli abitanti di Gaza non abbiano voluto, saputo o potuto dissociarsi dalla tirannia di Hamas, che li usa come carne da macello.

     In questa situazione, le dichiarazioni secondo cui Israele ha il diritto di difendersi, ma  deve comunque limitare o cessare le operazioni militari non hanno senso e sono ipocrite.

     La nozione di ipocrisia e di due pesi e due misure non viene a sproposito e valgono alcuni esempi.

     Subito dopo la sua istituzione, la Corte Criminale ebbe un’ottima opportunità di richiedere l’arresto di tutti i responsabili NATO che autorizzarono i selvaggi bombardamenti a tappeto delle città della Serbia, durati tre mesi. Non solo l’opinione pubblica mondiale rimase tiepida o indifferente, ma la Corte Criminale non mosse un dito nei confronti dei suddetti responsabili, così come non mosse un dito riguardo alla pretestuosa invasione dell’Iraq che fece oltre 100.000 morti.

     Si possono inoltre menzionare analoghe significative omissioni nei confronti dei Curdi. Nonostante tali loro caratteristiche e le violente persecuzioni di cui sono stati e sono oggetto soprattutto da parte della Turchia ma anche dell’Iraq, nessun tribunale internazionale ha pubblicamente condannato le nazioni che si oppongono a una loro indipendenza e che li perseguitano né la loro causa loro causa ha attirato entusiasmi popolari pari a quelli esibiti oggi per gli abitanti arabi della Palestina.    

     Se ora riorniamo alle richieste del Pubblico ministero della Corte Criminale, dovrebbe apparire evidente quanto esse siano pretestuose e di parte e sostanzialmente demonizzino non solo i due responsabili israeliani ma l’esistenza stessa di Israele. A tale ambigua e poco neutrale condanna si aggiunge adesso anche il riconoscimento dello “Stato palestinese” da parte di Irlanda, Norvegia e Spagna. Riconoscimento surreale e non meno pretestuoso per vari motivi. Innanzitutto, contrariamente ai già menzionati Curdi, dietro l’aggettivo “Palestinese” non esiste alcuna reale e specifica lingua o identità storico-nazionale ma solo un nome geografico. In secondo luogo, non si capisce a che territorio effettivamente il suddetto riconoscimento, a quale formazione politica, a quale struttura amministrativa e a quale ideologia. Nulla di tutto ciò esiste o è chiaro. Tenendo conto che i supposti difensori di Gaza sono i terroristi di Hamas, che contendono il potere all’Autorità Palestinese, il riconoscimento in questione corrisponde al riconoscimento anche di Hamas. Come quindi molti si freghino le mani per tale surreale assurdità è un misteto.

     In realtà, la richiesta di arresto e adesso anche il suddetto unilaterale riconoscimento nascondono e mistificano  il vero cuore del problema.  Dietro la facciata dell’etica e dei cosiddetti “diritti umani”, oggi usati come etichetta copri-tutto, sta infatti riemergendo con rara intensità un mai sopito odio e livore nei confronti degli Ebrei. Da sempre, nei tempi di crisi, essi sono diventati un capro espiatorio e percepiti come i responsabili dei mali in corso.

    L’analisi potrebbe fermarsi qui e limitarsi a sottolineare l’intervento settario di un organismo politicamente manovrabile e l’illusione che possa realisticamente esistere uno Stato palestinese indipendente senza la partecipazione negoziale di Israele.

    L’attuale guerra e le relative tensioni dissimulano tuttavia un altro livello, non appariscente ma non per questo meno determinante.

    Nonostante le apparenze, nessuno Stato arabo è realmente interessato agli abitanti della Palestina.  Non a caso, nessuno li invita o li ospita, Iran incluso, mentre Giordania ed Egitto hanno fermamente escluso di accettare degli immigrati. La “causa palestinese” è però un prezioso e utile strumento emotivo di aggregazione delle popolazioni musulmane dal Marocco all’Iran. Pilotando e avallando ii furore delle masse nei confronti di Israele, tutti i relativi regimi rafforzano il consenso. Ecco quindi anche un’ex potenza imperiale come la Turchia, a suo tempo combattuta dagli Arabi - vedi il famoso Lawrence d’Arabia – difendere i Palestinesi e sostenere i terroristi di Hamas.

    La verità di fondo è che Israele interrompe la continuità territoriale e ideologica degli Stati musulmani dal Marocco fino alla Penisola araba e all’Iran. Sarebbe ingenuo sottostimare questo fattore, che offre enormi opportunità di distrazione popolare dagli stringenti problemi della sopravvivenza quotidiana. A questo proposito, il clamoroso iato fra il livello materiale di vita del comune cittadino di tali Stati e quello dei loro governanti  non è un mistero per nessuno. Il sostegno agli Arabi della Palestina e l’ostilità nei confronti di Israele sono insomma alimentati e favoriti da un fanatismo settario analogo agli squallori della lotta europea alle eresie, alle streghe, etc., ma poggiano inoltre su un terreno ancora più complesso fatto di orgogli nazionalistici e ideologici e soprattutto di calcoli politici.

     Le analogie con la manipolazione dell’opinione pubblica nei confronti della Russia sono evidenti. In entrambi i casi, oltre al football, ai concorsi canori e ai cellulari, un’ostilità sistematicamente rinforzata nei confronti di Mosca o anche di Pechino viene sfruttata da molti governi occidentali come uno strumento di distrazione e aggregazione  popolare.

Antoneo Catani, 30 maggio 2024

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Fra favola e matriarcato

Per chi avesse dei dubbi sulle intramontabili affezioni popolari per le favole e le storie esemplari, il recente matrimonio di un principe, Harry, e di una borghese (fra l'altro, di origine afro-americana), e cioè, Meghan Markle, costituisce un'utile lezione antropologica e un un'imprevedibile cassa di risonanza dell'anima britannica.

Già gli ossessivi commenti della BBC nei giorni precedenti, con un'inusitata abbondanza di spazio per l'incipiente matrimonio a scapito di altri eventi mondiali più critici e sanguinosi, la dice lunga sull'ambiguo ruolo dei social media: eccitante e stimolante, attento lettore delle aspettative popolari, o una sapiente miscela di entrambe le cose? Ognuno è libero di scegliersi le combinazioni che preferisce.

Ora che la neo-coppia è stata insignita di un titolo ducale e che per il momento dovrebbe essere lasciata in pace dalla morbosità giornalistico-cortigiane, alcuni elementi di questo matrimonio, lo scenario in cui esso si è svolto, i personaggi che lo hanno popolato offrono spunti di riflessione.

Intanto, come non pensare ancora una volta a Edoardo VIII? L'estrazione sociale borghese e soprattutto il duplice divorzio di cui era giudicata colpevole la donna da lui amata, Wallis Simpson, gli costarono il trono...Il matrimonio di Elisabetta II con un ex-principe di Grecia e di Danimarca, Filippo, ripristinò le tradizioni regali. In fin dei conti, forse Filippo non aveva titoli altisonanti e tanto meno gigantesche proprietà terriere come molti degli attuali duchi e nobili britannici, ma nelle sue vene scorreva pur sempre il sangue del fior fiore della nobiltà greca, danese, tedesca e russa. Insomma, la nobiltà c'era...Le tradizioni sembrano proseguire anche con Carlo, il Principe di Galles, che si unisce in matrimonio a Diana Spencer, appartenente a una delle più antiche famiglie nobili del regno (gli Spencer si guadagnano il titolo di conte già sul finire del XV secolo). Ironicamente, la defunta Diana Spencer poteva vantare una nobiltà britannica ancora più pura del marito, nel cui sangue scorreva molto sangue tedesco, quello dei Sassonia-Coburgo-Gotha, che risaliva alla stessa regina Vittoria per via del cugino-sposo Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha.

Ma le leggi dell'attrazione e della fatalità avrebbero arrestato questa dinamica regale: perita tragicamente Diana Spencer, il Principe di Galles può finalmente sposare la borghese dei suoi sogni, e cioè, Camilla Parker Bowles, poi anch'essa innalzata a duchessa. Da tempo immemorabile i monarchi hanno esercitato con parsimoniosa cautela la loro prerogativa di nobilitare individui di rango inferiore....Per un singolare destino, anche i due figli del Principe di Galles, sposando delle commoners (il contrario di "nobili"), hanno seguito le orme del padre, il quale era per ovvi motivi l'ultima persona al mondo che avrebbe potuto opporsi.

Insomma, la favola del principe che sposa una borghese sembra avere ormai radici consolidate in Gran Bretagna, mentre non è sconosciuta neanche in altre famiglie reali attuali, dal Marocco alla Spagna e dalla Danimarca e dalla Norvegia fino al Giappone, giusto per fare degli esempi. Salvo rare eccezioni, il trionfo dell'amore o dell'attrazione è in genere stimolato e sigillato da una figura femminile. In Gran Bretagna, questo "sigillo" femminile trova il suo più memorabile esempio nella regina Vittoria, i cui quarant'anni di vedovanza non saranno consolati neanche dalla moltitudine di figli (9) avuti durante il matrimonio. La sua figura divenne così pervasiva e il suo stile così determinante anche nei valori e tabù sociali – la ben nota pruderie vittoriana - che paradossalmente l'apogeo dell'Impero Britannico è segnato da un tacito ma inflessibile matriarcato regale. Dopo gli scialbi interregni dei suoi successori maschili, anche la sua tris-nipote Elisabetta II ha sotto vari aspetti impersonato certe tendenze matriarcali della monarchia. Come dire che per almeno un secolo in Gran Bretagna la regalità è stata femminile. Siamo in presenza di una sorta di replica moderna delle Dee Madri preistoriche?

Se ora ritorniamo alla cerimonia di matrimonio del neo Duca di Sussex, lo scenario esterno e quello interno forniscono indicazioni significative che vanno ben al di là dell'evento in quanto tale.

Intanto, difficile respingere la sensazione che il tipo degli ospiti e anche le assenze siano state in qualche modo collegate alla sposa, ovvero al principio femminile. A parte l'ex- Primo Ministro Sir John Major, peraltro anche guardiano ufficiale degli interessi legali dei due figli del principe di Galles, nessuna personalità politica britannica o straniera è stata invitata alla cerimonia. Non solo, ma neanche membri delle famiglie regali europee erano presenti, inclusa quella dell'ex- re Costantino di Grecia, cugino di Filippo di Edimburgo e dunque strettamente imparentato con la famiglia reale. Ben altrimenti erano andate le cose per il matrimonio del figlio maggiore di Carlo d'Inghilterra, matrimonio contorniato da una folla di personalità straniere, politiche e regali. Esso era avvenuto secondo le migliori tradizioni, in cui per simpatia o per necessità si invitano quelli che contano.

Questa volta non è stato così. Nessuno di quelli che contano è stato invitato, e quelli che lo sono stati, a parte i membri della famiglia reale, erano tutti privi di blasone o comunque esprimevano solo una particolare modalità sociale, solo un particolare modello simbolico. A che si deve tale differenza. Perché? Solo una questione di inclinazioni personali dei due sposi?

In uno dei films più straordinari dei fratelli Korda (The four feathers), uscito non a caso nel 1939, quando si addensavano le nubi di guerra sull'Europa e che può continuare ad essere utilizzato come un prisma con cui leggere molte cose intimamente inglesi, la fidanzata del protagonista pronuncia alcune frasi che sembrano il catechismo ideologico di una classe e di una visione del mondo. Al fidanzato che le annuncia che non partirà col suo reggimento, che va a combattere il Mahdi in Sudan, la ragazza obbietta con orgoglio che essi non possono fare ciò che vogliono come altre coppie. "We are not free. We were born into a tradition. A code to which we must obey even if we do not believe in it." Il richiamo all'ordine della ragazza avrà un peso non minore delle piume bianche della viltà e lo scettico finirà per fare l'eroe.

Fuori metafora cinematografica, se la sposa avesse appartenuto a una casa regale, è quasi certo che l'allineamento con la tradizione sarebbe stato assai più marcato e completo e non si sarebbe limitato a quello spettacolare ma superficiale della berlina degli sposi accompagnata dai corazzieri a cavallo. D'altra parte, la sposa non solo era una borghese ma era anche afro-americana. L'annotazione non deve far confondere le cose e suscitare sospetti razzisti da strapazzo.

La cosa paradossale è che un allineamento vi è stato, ma nei confronti della sposa, verso di essa. Si racconta che l'idea di invitare il capo della chiesa episcopale americana, Michael Curry, a pronunciare il sermone sia stata dello stesso Arcivescovo di Canterbury. Supposto che ciò corrisponda alla verità, quali saranno state le sue motivazioni? In mancanza di dichiarazioni ufficiali, è lecito fare alcune ipotesi. Una è che il sollecito Arcivescovo britannico abbia pensato di amalgamare lo scenario, introducendo un officiante con le stesse origini della sposa. E' infatti assai improbabile che egli prevedesse e facesse affidamento sullo stile teatrale del sermone, tipico del miglior stile hollywoodiano. Appropriate o meno alla solennità dell'occasione, le risatine e i volti di vari membri della famiglia reale durante il sermone tradiscono perlomeno una certa perplessità nei confronti dello stile piuttosto che dei contenuti. Lo stile....

Certo, fra gli ospiti compaiono anche figure come Elton John e il sorridente George Clooney, ma nuovamente vi sono ospiti femminili esotiche, fra cui la bellissima attrice indiana Priyanka Chopra, amica della sposa. Di colore anche il giovane virtuoso britannico del violoncello che esegue un pezzo di Fauré durante la cerimonia

In realtà, questa serie di affinità razziali fra le presenze sopra citate e la sposa non possono essere una banale coincidenza e tradiscono una cosa significativa: quegli ospiti cruciali che danno ritmo e colore alla cerimonia esaltano la personalità e la figura della sposa. I richiami, le evocazioni, i volti, i personaggi sono assai lontani e diversi da quelli dell'establishment nobiliare locale che ha assistito alla cerimonia. Qualcuno potrebbe far notare a questo proposito come la stessa BBC sia fortemente cosmopolita e che i suoi presentatori e dipendenti provengano dai quattro angoli del pianeta. Ciò è verissimo. La differenza è che un stesso stile di comportamento, uno stesso modello li accomuna, e quando essi parlano o si muovono si percepisce l'effetto di una tacita ma inflessibile scuola, quella della BBC, che sommerge le idiosincrasie e le differenze geografiche e razziali.

Sicuramente, molti saranno pronti a interpretare caratterizzare questa rottura col passato come una conferma che "I tempi cambiano." In realtà, i fatti dimostrano il contrario. Ciò che ha suscitato curiosità e una bramosa attenzione in giro per il mondo è stata esattamente la replica della vecchia e intramontabile favola del principe che si unisce a una ragazza del popolo. Ma nella favola classica è la fanciulla che segue e si allinea al modello e ai simboli del principe, e non viceversa. Nell'evento moderno costei non era Cenerentola, ma lui, lo sposo, era pur sempre un principe...Ogni volta che ciò accade, le frustrazioni o livori latenti delle masse nei confronti dei ricchi e dei potenti si attenuano, vengono contraddetti dal realizzarsi di qualcosa altrimenti impossibile nella vita di tutti i giorni. Sono tacite e inconsapevoli auto-identificazioni di questo tipo che permettono a folle di diseredati di applaudire e osannare inspiegabilmente calciatori e cantanti che guadagnano in un anno ciò che un individuo comune potrebbe (forse) guadagnare nell'arco di qualche millennio...

Insomma, per certi aspetti l'evento in questione è stato la replica di una immemoriale favola – anche nei miti un eroe salva una fanciulla indifesa – ma proprio certe sue caratteristiche lo hanno reso anche contradditorio. Paradossalmente, la favola è entusiasmante proprio a causa dei suoi opposti: un nobile e una fanciulla del popolo. Essa continua ad affascinare le masse, se il primo rimane eccelso nel suo splendore principesco o magari anche economico e la seconda non perde la sua patina patetico-ingenua e tende verso i simboli e modelli del primo, perché questo è in fondo il suo vero sogno.

Nella preoccupazione delle varie dinastie reali di democratizzarsi per non perdere il favore popolare, questo andare verso il  popolo non è necessariamente malvagio ed è comunque un modo di conservare una parte del loro ruolo. Tuttavia, il conseguente annacquamento simbolico e di stili reca in sé gli stessi rischi che incombono sulla civiltà moderna: l'appiattimento, il livellamento, la perdita delle identità in nome di sedicenti e fraudolente eguaglianze spirituali ed emotive.

Ciò vale naturalmente anche per gli inglesi entusiasti che hanno sommerso Windsor con la loro presenza: proprio perché innamorati delle loro tradizioni – forse qui sta una delle ragioni delle isterie del Brexit – essi erano lì per godersi la loro favola, i loro reali, i loro corazzieri e le loro berline, a cui tengono molto. Quello che non è chiaro è se si siano resi conto che anche le favole possono correre il rischio di essere annacquate, s'intende, con le migliori intenzioni....

Antonello Catani, Atene, 23 maggio 2018

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