Matteo 2, il ritorno del guerriero

Era ora che Renzi tornasse a far sentire la sua voce. Senza alcun tono polemico (l’abbiamo criticato numerose volte) il Paese aveva bisogno di una sua rentrée. Prima che lo colpiscano al cuore per davvero. La politica non perdona e PaoloGentiloni sta facendo di tutto per rimanere inchiodato a Palazzo Chigi fino alla naturale scadenza della legislatura, come gran parte dei parlamentari desidererebbe, non foss’altro per garantire a 608 baldi colleghi alla Camera ed in Senato al primo turno il diritto al vitalizio. Che spetta a chi abbia almeno 4 anni, 6 mesi e un giorno d legislatura alle spalle. Il bene dell’Italia non interessa a nessuno di lorsignori. Altrimenti avrebbero fatto  altre scelte. A Montecitorio ed a Palazzo Madama non c’è nessuno che possa ritenersi all’altezza di Matteo Renzi. Questo va detto. Il buon Mattarella non si sogna di combinare la sere di errori commessi dal suo infausto predecessore, Giorgio Napolitano. Autore di un colpo di stato ignorato dai media, ma stigmatizzato dai vertici del movimento berlusconiano. Silvio Berlusconi dava fastidio a tedeschi e francesi. La lettera della Bce a firma Jean Claude Trichet e Mario Draghi, gli ordini da seguire pedissequamente e senza discutere, lo spread che nell’estate del 2011 incominciava la sua corsa impazzita, tanto da far tremare i polsi a mezza Italia, l’inopinata ascesa a capo dell’esecutivo di Mario Monti, i primi provvedimenti lacrime e sangue del professore bocconiano, un Parlamento-tappezzeria, con responsabilità di tutti gli schieramenti politici del tempo, ebbene, on hanno portato a soluzione i problemi del Paese. Che si sono aggravati, con il debito pubblico che è schizzato a livelli insopportabili. Tanti sacrifici, Paese sempre più in ginocchio. La sciagurata prima presidenza di Napolitano aveva già nel 2010 costretto al rinvio delle elezioni che avrebbero potuto recare una nuova maggioranza, visto che il governo Berlusconi era in situazione di pre-collasso. E questo per approvare la legge finanziaria del 2011. Cosa nel frattempo è accaduto lo sappiamo fin troppo bene. Cambi di casacca, salti della quaglia, nuovi raggruppamenti politici che si formano e, poi, si disfano. La lite Fini-Berlusconi, il passaggio di esponenti del’Italia dei Valori nel gruppone dei “responsabili”. Per non parlare dell’incarico di governo prima ad Enrico Letta, poi al fiorentino Matteo Renzi. Ricordate “Enrico stai sereno?” Ancora Napolitano infausto protagonista. Sono trascorsi tre anni e l’Italia è sempre più in difficoltà  A nessuno viene in mente che se il governatore della Bce Draghi non avesse deciso (contrariando i tedeschi di Jens Weidsmen, titolare della Bundesbank) di procedere all’acquisto di titoli di stato italici non staremmo qui a discorrere né di Renzi, né di Boschi, né della Madia, perché l’Italia con lo spread a 500/600 avrebbe già dovuto portare i libri in Tribunale. Proprio come i greci di Alexys Tsipras.e subire la presenza della Troika a Palazzo Chigi. Queste considerazioni non dovrebbero sfuggire ai nostri governanti. Si chiamino Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi di Rignano sull’Arno e Paolo Gentiloni. Purtroppo la memoria dei parlamentari italici è molto corta ed essi fanno finta che “tutto va bene, madama la marchesa”. Ma non è così. Gli errori di Silvio Berlusconi. Avere cacciato di malo modo prima Marco Follini, poi Pier Ferdinando Casini ed, infine, Gianfranco Fini. Con il risultato meraviglioso di sfasciare il centro-destra. Che non si è più ripreso. La bulimia del potere ha colpito Silvio di Arcore. Con risultati non proprio esaltanti. Gli errori di Mario Monti. Avere inventato un partito, un suo partito, che si è miseramente sciolto dopo qualche tempo. Il professore aveva l’Italia in pugno. Deputati e senatori approvavano ogni suo atto, anche il più sciagurato, come la riforma Fornero. E’ assai probabile che se non si fosse presentato alle elezioni del febbraio del 2013, a maggio dello stesso anno sarebbe stato proclamato presidente della Repubblica in luogo di Giorgio Napolitano. Può essere anche che il M5S non avrebbe avuto quel grande successo che ha avuto. La musica, oggi, sarebbe stata suonata da altro direttore d’orchestra. Gli errori di Pierluigi Bersani ed Enrico Letta. Aver trattato il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio come dei parvenus della politica e non avere accettato le loro proposte con condivisione degli affari di governo, riconoscendo loro la dignità di parter di governo. Insomma, volevano i loro voti ma senza concedere nulla in cambio. Inaccettabile. Gli errori  di Matteo Renzi. Essere entrato a Palazzo Chigi da una porta secondaria, avendo pochi giorni prima garantito al premier Letta un fantastico “Enrico, stai sereno!”. Renzi, poi, una volta a capo dell’esecutivo ha incominciato a promettere cose meravigliose per tutti. Da bravo venditore di scatole vuote. In questo surclassando Silvio Berlusconi. Ovviamente non è riuscito nel proposito, mezza Italia lo ha sempre intuito, ma lui è andato avanti come se nulla fosse. Avesse improntato la sua linea di governo a combattere la corruzione, l’evasione fiscale (si calcola dai 120 ai 180 miliardi di euro che ogni anno sfuggono al signor Padoan), a diminuire conseguentemente  il peso del fisco e degli oneri previdenziali che rendono gravoso oltre ogni limite il costo del lavoro per le imprese, avesse aiutato le piccole e medie imprese italiche con programmi pluriennali anziché regalare pochi spiccioli a milioni di persone (ossia, a pioggia), probabilmente la situazione economica del Paese sarebbe stata un po’ meglio. Infine non avrebbe dovuto associare al governo il centro-destra di Angelino Alfano e, soprattutto, non avrebbe dovuto cercare di annientare la minoranza de suo partito. Con il risultato, alla Berlusconi (ricordate Fini a Silvio: “che fai mi cacci?), che il partito democratico non è più un partito democratico, ma un partito del capo che si è circondato di ex bersaniani e di ex dalemiani che hanno fatto il classico salto della quaglia. Pensate ad Alessandra Moretti, ai giovani turchi di Orfini e Orlando. Oggi Renzi pensa che si giunto il momento di rientrare in partita, prima che sia troppo tardi e finisca nel dimenticatoio della politica. Rischio che a suo tempo corse lo stesso Amintore Fanfani negli anni settanta. Fa bene Matteo a riprendersi la ribalta, però deve meditare sui suoi errori del passato recente. Se è (o sarà) uno statista vero, deve circondarsi di collaboratori capaci e non di yes men. Come purtroppo ha fatto fino al 4 dicembre. Incapponendosi su una riforma costituzionale pur necessaria ma pasticciata, facendo una riforma del lavoro che lascia i giovani in condizioni di estrema precarietà. Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato creato con il suo Jobs act è una bufala grande come una casa. Se il datore di lavoro ti può licenziare non appena cessano gli effetti delle contribuzioni, non sembra poi una grande trovata. Senza toccare l’argomento dei voucher, cresciuti a dismisura. Non è così che si governa. Come sarà il nuovo Renzi? Avrà capito la lezione che gli elettori italiani gli anno inferto? O vorrà seguire le orme di Silvio Berlusconi e dare un contributo decisivo per sfasciare il maggior partito del Paese, il partito di cui è ancora segretario? Il rischio è che a governare l’Italia possano per davvero essere i Salvini ed i pentastellati. Il successo di Donald Trump negli Stati Uniti, quello probabile di Geert Wilders in Olanda, di Marine Le Pen in Francia e con la prevedibile crescita di consensi in Germania del movimento di estrema destra Alternative für Deutchlanddi Frauke Petry. Il mondo è in subbuglio e solo leader credibili possono governarlo. Intanto la speculazione finanziaria gode nell’incertezza, perché è risaputo che chi detiene grandi capitali (i fondi di investimento, gli hedge fund) guadagna sempre, sia che i mercati finanziari siano effervescenti sia depressi. Pensate a quel che è accaduto quando c’è stata Brexit, con i titoli di banche e assicurazioni in flessione anche del 30% in pochi giorni (leggi Unicredit che ha segnato un - 23,79% e il giorno dopo un - 8,09%). Da suicidio per un povero risparmiatore, ma non per i finanziari d’assalto.

Marco Ilapi, 20 febbraio 2017

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Olanda, colpo di piccone alla Ue

  • Pubblicato in Esteri

Una legge olandese in vigore dall’anno scorso consente di sottoporre al voto popolare (sospensivo e non vincolante) normative o provvedimenti quando a chiederlo sono almeno 300mila cittadini. In questo caso le firme raccolte sono state circa 450mila e i promotori sono stati i gruppi euroscettici che hanno saputo trasformare un accordo prima di tutto commerciale, che crea una zona di libero scambio con l’Ucraina e rafforza i legami politici con l’Unione europea, in un’intesa che apre la via all’ingresso di Kiev nella Ue, simbolo di un’Europa che impone in modo non democratico le sue scelte ai cittadini. L'articolo di Michele Pignatelli su Il Sole 24 Ore.

Amsterdam boccia Bruxelles

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