Provaci ancora, Conte, a semplificare non a ...

...a complicare! Dai grandi appalti alle procedure più piccole. Di recente è girato un video di Carlo Cottarelli in cui l’economista, tra il divertito e lo sgomento, raccontava la sua peripezia per il rinnovo della patente alla Motorizzazione civile: volendo andare allo sportello 'fisico' aveva poi scoperto solo lì, sul posto e senza alternative, che era obbligato invece a chiedere un appuntamento via mail, da cui avrebbe avuto poi una risposta. Un esempio forse banale, ma che fa capire come sia la somma di tante piccole novità e azioni a poter far compiere realmente un balzo di qualità alla vita degli individui. La prima semplificazione deve stare nella testa del legislatore e di ciascuno di noi. Tutto il resto, anche il piano legislativo, diverrebbe allora una logica conseguenza. Il commento di Eugenio Fatigante su Avvenire.

Semplificare? Fino ad oggi non c'è riuscito nessuno. Ci riuscirà l'avv. Conte?

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Tre mosse per limitare i danni

Il Fondo Monetario Internazionale l'ha ufficializzato: il mondo sta affrontando quella che è, di gran lunga, la peggiore crisi economica dalla Seconda guerra mondiale. Quest'anno il Pil reale del mondo è previsto scendere del 3 per cento. Nel dopoguerra era sempre cresciuto, a parte una piccola discesa nel 2009, l'anno della crisi finanziaria globale. Il coronavirus sta facendo quello che Lehman Brothers non riuscì a fare. È vero che l'Fmi prevede un rimbalzo nel 2021 (con un aumento del Pil del 5,8 per cento), ma nella situazione attuale fare previsioni per l'anno prossimo resta molto azzardato.
Scendendo nel dettaglio, l'Fmi prevede un calo del Pil dell'euro area del 7,5 per cento, più forte che negli Stati Uniti, che sfiorano comunque il 6 per cento e dove la disoccupazione sta esplodendo. E l'Italia? Siamo, ancora una volta, il fanalino di coda: meno 9,1 per cento. Occorre andare al 1945 per trovare per l'Italia un dato peggiore. Temo sia una previsione più o meno realistica, non tanto perché anche prima crescevamo meno degli altri, ma perché purtroppo il nostro Paese, e all'interno di questo le regioni che anche negli ultimi anni erano cresciute di più, sono all'epicentro della pandemia.
Si noti che questi risultati disastrosi tengono conto di politiche economiche monetarie e di bilancio estremamente espansive quali quelle che tutti i Paesi del mondo stanno realizzando. Per restare all'Italia l'Fmi prevede un aumento del deficit pubblico dall'1,6 per cento nel 2019 all'8,3 per cento con un debito pubblico che sale dal 135 al 156 per cento. Ma non basta pianificare politiche espansive per minimizzare le perdite. Occorrono almeno tre cose.
La prima è rapidità nell'esecuzione. Qui l'Italia si sta muovendo un po' troppo lentamente. L'esempio più ovvio riguarda l'erogazione del bonus alle partite Iva che solo questa settimana sta partendo. Il decreto sulla liquidità delle imprese è stato utile, ma ci si comincia a chiedere se, oltre ai prestiti, non siano necessari anche versamenti a fondo perduto. Le imprese che stanno chiuse potranno recuperare solo in parte le entrate che stanno attualmente perdendo. Ed è improbabile che le perdite possano essere assorbite principalmente dal capitale investito. Occorre cautela per evitare eccessi, ma è probabile che sussidi diretti siano necessari.
La seconda è che lo Stato abbia adeguata liquidità in cassa. I fondi dello Sure, il piano proposto dalla Commissione europea per finanziare le casse integrazione dei vari Paesi, potrà fornire all'Italia 15-20 miliardi. La linea di credito senza condizionalità del Mes potrebbe farci avere altri 36 miliardi e non vedo perché ogni giorno esponenti non solo dell'opposizione ma anche del governo ripetano che non ci interessa. Vedremo quali risorse saranno disponibili dal Recovery Fund, se e quando sarà attivato. Ma il principale sostegno ci verrà dalla Bce che quest'anno metterà a disposizione risorse nette per circa 170 miliardi (più circa 50 miliardi per acquistare titoli in scadenza nel bilancio della stessa Bce). Ma perché queste risorse arrivino in pratica allo Stato, quest'ultimo deve emettere titoli in quantità sufficiente. Occorre programmare quindi attentamente queste emissioni: quest'anno la gestione della tesoreria sarà ancora più importante del solito.
La terza riguarda la delicata questione delle riaperture. C'è poco da fare. Se la gente sta a casa e non va a lavorare non si produce. Lo Stato può distribuire potere d'acquisto, ma alla fine il Pil (prodotto interno lordo) deve essere prodotto, appunto. Speravamo che bastasse stare a case un paio di settimane per debellare il contagio. Non è stato così. La curva dei contagi sta scendendo ma lentamente. La Cina ha riaperto le attività produttive quando il numero dei contagi era sceso a zero. È vero che ci sono enormi incertezze su quanto significativi siano i numeri sui contagi (dipendendo dai tamponi che si fanno), ma non credo si possa più pensare di riaprire solo quando tale numero si sia azzerato. Occorrerà riaprire, gradualmente, ma non troppo tardi se l'economia va salvata. Non è chiarissimo quale sia il mandato della task force guidata da Vittorio Colao, ma credo che pianificare la riapertura graduale, in consultazione con le parti sociali e con le massime cautele, sia sempre più importante. —

Carlo Cottarelli  - La Stampa - 15 aprile 2020

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Dalla Bce un aiuto da 220 miliardi all'Italia

Ecco perché non c'è soluzione fuori dall'Ue. È difficile non reagire emotivamente di fronte alla difficoltà del Consiglio Europeo ad accordarsi giovedì scorso sulla risposta alla crisi del coronavirus. La frase critica del comunicato stampa («A questo punto, invitiamo l'Eurogruppo a presentarci proposte entro due settimane») è in stridente contrasto con l'urgenza della situazione. Comprensibile allora la tentazione, espressa sembra anche ai nostri più alti livelli, di rispondere con un «se questa è la solidarietà europea, allora facciamo da soli». È difficile non reagire emotivamente, ma sarebbe sbagliato farlo. Stiamo ai fatti, riassumibili in cinque punti.
Primo, come ha sottolineato Mario Draghi, l'Italia e gli altri Paesi stanno combattendo una guerra e una guerra richiede un forte aumento del debito pubblico. La perdita di Pil dovuta alle chiusure è inevitabile (il Pil, il prodotto interno lordo, si chiama così perché qualcuno deve produrlo), ma occorre evitare che le chiusure temporanee causino effetti permanenti. Insomma, occorre assicurare che, una volta superata l'emergenza sanitaria (che richiede di per sé risorse adeguate), le imprese possano tornare a produrre e investire e le famiglie a consumare. Per questo serve una politica fiscale eccezionalmente espansiva.
Secondo, dovrebbe essere a tutti evidente che l'Italia non può farcela da sola. Quello che può frenare l'azione italiana non sono le regole europee sui conti pubblici, che fra l'altro sono state sospese. Come sempre è avvenuto, quello che frena il nostro deficit è la difficoltà che abbiamo a prendere a prestito. Insomma, non basta dire «bisogna fare più deficit»: serve qualcuno che ci presti i soldi. Abbiamo difficoltà a indebitarci perché ci siamo indebitati troppo in passato. Ma non è questo il tempo di recriminare. Fatto sta che quando si è capito che il nostro deficit avrebbe cominciato a crescere, i tassi di interesse sul nostro debito si sono impennati, entrando in un territorio pericoloso. Certo, ha contribuito inizialmente l'impressione data dai vertici della Bce che questa non sarebbe intervenuta per impedire un aumento dello spread (impressione peraltro poi smentita dai fatti). Ma questo dimostra, appunto, che non possiamo farcela da soli. Dobbiamo contare sull'aiuto di altri.
Terzo, l'aiuto non potrà venire al di fuori dell'Europa, né con l'uscita dall'Europa. Tutte le aree del mondo sono colpite dalla pandemia e pensano, prima di tutto, ai propri interessi. Le massicce risorse finanziarie di cui abbiamo bisogno non arriveranno certo né dalla Cina, né dalla Russia, né da altre parti del mondo. C'è allora già qualcuno che invoca l'uscita dall'euro. Se l'Europa non ci aiuta, tanto vale andarsene. Che dire? Mi sembra questo il modo migliore per scatenare una bella crisi finanziaria nel momento peggiore. Non credo serva aggiungere altro: sarebbe anzi meglio evitare frasi e toni che possano suggerire che ci si intenda muovere in questa direzione.
Quarto, la risposta dell'Europa alla presente crisi dovrebbe includere l'emissione di titoli da parte di una istituzione europea, i famosi eurobond. Questi eurobond sarebbero ben diversi da quelli di cui si parlava una decina di anni fa. Quelli erano titoli per mutualizzare il debito dei singoli Stati (accumulato magari per effetto di politiche dissennate). Questi nuovi eurobond sarebbero titoli emessi per finanziare e, magari, gestire, nuove spese da parte delle istituzioni europee, per esempio sussidi di disoccupazione europei o progetti infrastrutturali, in presenza di un grave choc comune. Ma su questo non si è trovato un accordo al Consiglio Europeo. I Paesi nordeuropei non hanno bisogno di eurobond. I loro conti sono a posto e possono prendere a prestito dai mercati finanziari tutto quello che a loro serve. E forse temono che questo primo passo porti poi anche alla mutualizzazione del debito passato. Sarà importante riassicurali che questa non è l'intenzione ma non sarà facile. I Paesi nordeuropei si oppongono anche al coinvolgimento del Mes, il Fondo salva-Stati, a meno che, secondo le attuali regole, non si prevedano condizioni sulle politiche economiche dei Paesi coinvolti. L'Italia si oppone invece a qualunque tipo di condizionalità, anche puramente formale o quasi. Fatto sta che in queste due aree (eurobond e Mes) ci si può muovere solo in presenza di una comunanza di intenti che ora sembra mancare. E la Commissione europea, in assenza di tale comunanza e con un bilancio di dimensioni minime (l'1 per cento del Pil europeo), ha le mani legate. Inutile prendersela con l'istituzione guidata da Ursula Von der Leyen.
Quinto, se gli interventi attraverso eurobond e altre iniziative sembrano al momento difficili, non possiamo scordarci di quello che sta facendo la Banca Centrale Europea. La Bce ci sta finanziando in modo massiccio. Si tratta di almeno 220 miliardi (oltre il 12 per cento del Pil) di acquisti di titoli di Stato italiani da qui alla fine dell'anno, realizzati attraverso i programmi di «quantitative easing». Chi denuncia l'inazione dell'Europa dovrebbe ricordarsi che senza la Bce saremmo probabilmente nel mezzo di una pesantissima crisi finanziaria e lo Stato non avrebbe risorse per muoversi. La Bce ha anche dato la propria disponibilità ad aumentare ulteriormente questi acquisti e ha, di recente, rimosso alcuni impedimenti tecnici che ne avrebbero limitato la flessibilità. Possiamo sperare che la Bce mantenga questo approccio costruttivo? Un punto è, in proposito, critico. Mentre l'emissione di eurobond, o l'attivazione del Mes senza condizionalità, richiede l'unanimità dei Paesi dell'area euro, le decisioni della Bce vengono prese a maggioranza e si può pensare che, come avvenuto in passato, l'alleanza tra Italia, Francia, Spagna e altri Paesi continui a mettere in minoranza il Nordeuropa. Cerchiamo quindi di essere concreti e muoviamoci insieme a chi la pensa come noi, in primis Francia e Spagna, evitando inutili polemiche verso un'Europa di cui non possiamo fare a meno.

Carlo Cottarelli - La Stampa - 28 marzo 2020

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