Inevitabile la guerra contro il Califfatto

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Siamo, l’hanno detto molto chiaramente, in una guerra doppia. Contro un unico nemico, ma una guerra che si divide in due.  C’è il fronte interno, che passa attraverso i tavolini all’aperto, gli stadi di calcio o le sale da concerto parigine, così come attraverso i covi di Saint-Denis o Molenbeek, in Belgio, dove si rintanano i combattenti infiltrati. L'editoriale di Bernard Henri-Levy sul Corriere della Sera.

La guerra contro l'Isis è da considerarsi giusta

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La guerra tra sunniti e sciiti insanguina l'Occidente

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Gli obiettivi delle cellule che obbediscono al Califfato sono terrore e paura. La loro classe dirigente è posizionata nel triangolo che include le zone confinarie tra Siria, Turchia e Iraq, con un distaccamento libico-tunisino che fronteggia direttamente l'Europa mediterranea. Il Califfato ha i suoi soldati, sono qualche migliaio e bene armati. Il Califfato è ricco, ha petrolio, ha l'appoggio di uomini di affari degli Emirati e finanziamenti mascherati ma evidenti che garantiscono la tranquillità saudita e degli Emirati. A guardar bene anche l'Io del Califfo e dei suoi compagni è assai sviluppato, vuole potere, ricchezza, piaceri. Deriva da Al Qaeda ma è tutt'altra cosa rispetto a Bin Laden. Crudele quanto lui e più di lui, ma estremamente più sofisticato. Non è escluso che divenga un vero e proprio Stato arabo sunnita. In fondo Ibn Saud cominciò così la sua carriera e trasformò una tribù in un Regno tra i più potenti del Medio Oriente. La sua famiglia conta ormai circa trecento persone, possiede molte banche, imprese, alleanze d'affari in tutto l'Occidente, in Francia, in Inghilterra, in Italia, in America, in Germania, ovunque. Detesta gli sciiti ma si distingue anche dai sunniti. Tra i capi del Califfato è un esempio da imitare e magari da conquistare. Senza sangue, possibilmente. Il sangue scorre altrove. L'editoriale dei Eugenio Scalfari su la Repubblica.

Impedire che il sedicente stato islamico diventi uno Stato vero

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Non bastano le bombe per sconfiggere l'Isis

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Contro il Califfato, se si sceglie la guerra, servono operazioni di terra. Ma se a muoversi fossero solo, o in maggioranza, gli eserciti occidentali il risultato politico sarebbe scontato: una sorta di scontro tra civiltà destinata a radicalizzare fasce sempre più ampie di popolazione mussulmana in tutto il mondo. Anche questo, a ben vedere, è uno degli obiettivi dell’Isis. Coinvolgere gli altri stati islamici è dunque una via obbligata. Ma, va detto chiaro, è pure una via complicatissima. In Iraq gli Stati Uniti non sono finora nemmeno riusciti a ottenere un vero appoggio da parte delle tribù sunnite, hanno speso 500 milioni di dollari per addestrare 60 (sessanta) miliziani siriani in funzione anti stato islamico, e la partecipazione di Emirati Arabi Uniti, Giordania e Arabia Saudita alla coalizione che bombarda i guerrieri è sostanzialmente di facciata. Gli accordi con gli sciiti (che continuano a subire attentati dinamitardi, l’ultimo a Beirut il 12 novembre ha fatto 43 morti) sono poi resi ardui dal loro legame col dittatore siriano Bashar Al Assad, appoggiato da Mosca. È indispensabile, per tentare di mettere assieme il puzzle, che Russia e Stati Uniti finalmente si parlino e trovino una via comune. L'editoriale di Peter Gomez su Il Fatto Quotidiano.

Guerra all'Isis, durarà anni

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