La "cura" dei pieni poteri
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Gli aspiranti dittatori non hanno mai il senso dell’autoironia. Nel momento in cui si fa attribuire dal Parlamento di Budapest poteri speciali illimitati per affrontare l’emergenza Covid, il premier ungherese Victor Orbán proclama una legge liberticida che punisce con cinque anni di prigione chiunque diffonda notizie false sull’epidemia. E nella stessa occasione accusa l’opposizione di «stare con il coronavirus» commettendo per primo il delitto appena codificato.
Ma Orbán, stiamone certi, non andrà in galera, almeno per un futuro prevedibile.
Non andrà in galera neppure per le dichiarazioni di poche settimane fa in cui accusava gli «stranieri» di essere i portatori dell’infezione, non potendo dare la colpa direttamente ai profughi, che lui ha respinto con il filo spinato. E infatti il problema di tutte le dittature che vogliono strangolare la stampa come anche la magistratura è quello di decidere chi può stabilire la verità, e dunque quali notizie sono false e quali sono vere.
Adesso abbiamo finalmente capito che cosa aveva in mente il leader ungherese quando si proclamava fautore della «democrazia illiberale». Farsi consegnare "democraticamente" da un Parlamento legittimo un potere pressoché assoluto grazie al quale smantellare tutto il sistema di garanzie dello Stato liberale, imbavagliare la stampa, controllare politicamente la magistratura, così da blindare il consenso e il potere.
È la strada imboccata da Erdogan in Turchia, sfruttando un oscuro tentativo di colpo di Stato. Orbán invece approfitta dell’emergenza dell’epidemia, che per la verità in Ungheria ha finora fatto registrare meno di 500 casi.
Ma tutti i fascismi, forse con la sola eccezione di Franco in Spagna, si sono sempre fatti consegnare il potere da un Parlamento democratico. Il problema è che non lo hanno mai restituito. I partiti ungheresi dell’opposizione avevano chiesto che la misura decisa ieri fosse almeno limitata nel tempo. Ma i loro emendamenti, guardacaso, sono stati bocciati.
Naturalmente l’estrema destra italiana, da Salvini a Meloni, si è affrettata ad applaudire «l’amico Orbán».
Per due motivi. Il primo è che l’ungherese è riuscito davvero a farsi dare quei «pieni poteri» che chiedeva anche il ministro Salvini. E senza neppure passare dal Papeete. Il secondo è che il colpo di mano del premier ungherese probabilmente sancisce la sua definitiva espulsione dal Ppe e accelera dunque la creazione della lungamente vagheggiata «internazionale nazionalista» di estrema destra a cui si ispirano sia la Lega sia Fratelli d’Italia.
Orbán infatti ormai da prima delle elezioni europee si trova in stato di congelamento nel Ppe. La sua espulsione, reclamata dai democratici cristiani del Nord Europa, è stata rinviata per la difesa ad oltranza che hanno fatto di lui sia Forza Italia di Berlusconi e Tajani, sia il Ppe spagnolo. Ora però la sua permanenza nel partito che, prima di Berlusconi, fu di De Gasperi e Kohl appare quanto mai problematica.
Naturalmente la questione ungherese esplode in un’Europa già dilaniata dall’emergenza finanziaria per la recessione economica.
Il belga Reynders, commissario alla Giustizia, ha detto che le misure decise da Budapest sono sotto esame.
L’Ungheria, con la Polonia, si trova già da tempo sotto procedura della Commissione per violazione dello stato di diritto. Ma la violazione non era mai stata così plateale. Il problema è che le sanzioni più dure devono essere votate all’unanimità dei governi, e sia Budapest sia Varsavia bloccano ogni decisione difendendosi reciprocamente.
Orbán, che è certo un abile politico, approfitta della situazione di crisi in cui la rottura sui "coronabond" ha gettato la Ue. «Ho detto chiaramente a quei lamentosi degli europei che non avevo tempo per discussioni giuridiche senza dubbio appassionanti ma teoriche», ha dichiarato sprezzante il premier ungherese.
Nell’atmosfera già tesa dei prossimi vertici europei irrompe un tintinnare di speroni che dovrebbe far riflettere tutti.
Andrea Bonanni – la Repubblica – 31 marzo 2020