Aiuti alla Grecia, come se l'Italia avesse avuto 700 miliardi!

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Non è affatto chiaro, infatti, quale sia la lezione che i cittadini di questi paesi possono aver appreso dalla crisi greca. Mentre è invece chiarissimo, anche se poco se ne parla, che le possibili reazioni delle opinioni pubbliche dei paesi periferici sono una variabile chiave, se non “la” variabile chiave, di qualsiasi soluzione del rebus europeo. Vediamo perché.
L'epilogo della crisi greca è fatto di tre ingredienti, due chiaramente visibili e uno meno evidente. Il primo è l'arrivo di una montagna di soldi: 86 miliardi, quasi metà del Pil greco (è come se all'Italia venissero prestati 700 miliardi). Il secondo ingrediente è il commissariamento di fatto della Grecia da parte dell'odiata Troika. Il terzo ingrediente, quello meno evidente, è l'inversione della congiuntura economica prodotto dalla gestione della crisi: alla fine del 2014 il Pil greco si avviava a crescere del 2%, dopo la follia collettiva di 6 mesi di trattative inconcludenti si contrarrà nella medesima misura (è come se in Italia il Pil avesse perso 50-60 miliardi di euro). Il combinato disposto Tsipras-Troika è riuscito nel capolavoro di commutare una ripresa probabile in una recessione certa. Un editoriale di Luca Ricolfi su Il Sole 24 Ore.

La piccola Atene inguaia l'Europa

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La Grecia ad un bivio

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       Da giorni gli occhi di mezzo mondo sono puntati sulla Grecia e sulle giornaliere file di persone che pazientemente attendono di ritirare dagli ATM la loro razione giornaliera di 50 o 60 Euro (una questione di tagli di banconote, si dice).

      Lo stoicismo di costoro (almeno finché dura) è encomiabile e degno di miglior causa.

      L’ostinazione con cui il governo greco continua a perseguire una rotta disastrosa non lo è affatto. Peggior momento per far precipitare la crisi non poteva esserci. Nel pieno della stagione turistica, che prometteva segni di ripresa e che ora invece mostra comprensibili stasi! Disegno premeditato o semplice stupidità?  Ma a parte il settore turistico, praticamente tutta l’attività economica del Paese si sta avviando verso la paralisi, non solo per mancanza di liquidità ma anche per paura di sviluppi ancora peggiori, anche sotto il profilo dell’ordine pubblico. Basta assistere a uno qualsiasi della marea dei contenziosi televisivi o parlamentari pdi questi giorni er rendersi conto che la tensione sta crescendo pericolosamente.

      Non contento di aver abbandonato all’ultimo momento il tavolo delle trattative, il governo ha ora escogitato un surreale referendum per far decider al popolo Greco se accettare o meno una presunta proposta di accordo dei creditori (in realtà ormai decaduta e inesistente da martedì scorso). Secondo il Primo Ministro, un eventuale NO degli elettori migliorerebbe la posizione negoziale della Grecia. Se invece in risultato fosse un SI, egli accetterebbe il fatto compiuto.

       Anche senza bisogno di richiamare l’interpretazione data al referendum da tutti i leaders europei – il SI e il No riguardano la permanenza nell’Euro e in Europa – le affermazioni del Primo Ministro tradiscono due cose. La prima è l’esilarante protervia di credere che, poiché a una parte dei Greci non piacciono le proposte delle istituzioni europee, queste ultime saranno costrette ad addolcirle in base ai desiderata del governo greco. Oltre che protervia, questa è una pura illusione. Fra l’altro, i vari responsabili di Bruxelles hanno già chiarito senza mezzi termini che ogni eventuale nuovo accordo non potrà che essere più gravoso di quello ora estinto (le condizioni finanziarie della Grecia si sono infatti ulteriormente aggravate). Secondo, chi assicura, visti i continui voltafaccia e le contraditorie piroette del governo, che effettivamente esso andrà a negoziare in base al SI? E in base a che proposta, visto che ancora una nuova non è stata formulata? Terzo, chi assicura inoltre che, sempre visti i continui voltafaccia e instabilità negoziali mostrati fino ad ora, Bruxelles sia disposta a trattare con un governo di cui non ha più alcuna fiducia, come risulta da innumerevoli dichiarazioni e segni?

       In altre parole, una volta denudato della rettorica di cui esso è mascherato, anche dopo un SI, l’imminente referendum rischia di essere un colossale equivoco, per non dire una colossale truffa a danno dei Greci, se il giorno dopo il governo non si dimette. Non sembra abbia voglia di farlo.

      Se gli scenari del SI sono incerti e nebulosi, quelli del NO sono foschi e disastrosi. Nonostante le sperticate rassicurazioni del governo che non esistono occulti piani di sorta per abbandonare l’Euro e l’Europa, quello che conta sono le percezioni e interpretazioni degli altri partners europei. Supposto anche che non esistano vie giuridiche per uscire dalla o abbandonare l’Europa, in mancanza di tempestivi aiuti europei, i Greci potranno sopravvivere solo battendo altra moneta – ma anche questo non sarebbe materialmente realizzabile prima di un semestre - o ritornando alle perline colorate delle popolazioni primitive. Poiché uno dei problemi di fondo del paese è la sua debole o inesistente base produttiva, giorni ancora più amari dei presenti attenderebbero quindi gli ingenui che eventualmente considerano un’uscita dall’Europa come una panacea al disastro attuale.

        La litania del vittimismo, dei cattivi creditori, delle ingordigie del capitale, della dignità e indipendenza nazionali di cui è imbevuto il partito al governo e che, unita al gusto per la spavalderia, ha portato il Paese alla situazione attuale rischia di ottenere risultati esattamente opposti a quelli che i sostenitori del NO ancora bellicosamente sbandierano. La suddetta spavalderia sarà magari pittoresca da un punto di vista turistico e folkloristico, ma che non si regge, se si parla seriamente. L’attuale equivoco nazionale di fondo della Grecia è quello di ritenere che i debitori possano alzare la voce con i creditori e imporre le loro condizioni.

        Certo, l’austerity imposta ai Greci dalla detestata troika ha causato enormi sacrifici ai meno abbienti. E’ inoltre sicuro che la distribuzione di tali sacrifici doveva essere più equanime e colpire maggiormente fasce tradizionalmente privilegiate. Di fatto, queste ultime sono state solo marginalmente toccate anche durante gli estenuanti e includenti sei mesi del governo attuale. Esso si è mostrato impotente e inefficiente nell’aumento del gettito fiscale nè più nè meno dei governi precedenti. Ma come poteva crescere l’economia, che è quella che dovrebbe generare un (sano) gettito fiscale, con imprese e investimenti paralizzati dalla burocrazia, dall’incertezza e dall’antidiluviana rettorica populistica del presente governo?

        Una cosa vale qui la pena di sottolineare: i mal distribuiti sacrifici imposti ai Greci non sono meno enormi delle frenesie consumistiche a cui la società greca nella sua pressoché totalità, ognuno a suo modo, si era abbandonata per anni. In altre parole, il Paese ha speso per decenni, senza avere e senza produrre in termini analoghi, e ciò con la complicità tacita, diretta o indiretta dei Paesi europei produttori che hanno continuato a sommergere la Grecia dei beni della società perfezionata. Ciò non scagiona certo l’incontinenza consumistica dei Greci, ma è tempo di deporre le ipocrisie alla Schäuble e di ricordare comunque che in molti scandali di corruzione e malversazione di denaro pubblico greco sono implicate società tedesche…Una bella ironia..

       Qui ci troviamo di fronte a un nodo che supera le vicende greche. La civiltà capitalistica è basata sul consumo. In teoria, niente di male. I beni di per sé non sono carichi di peccati originali. Il problema inizia quando chi consuma, non ha denaro a sufficienza per pagare, e per farlo, s’indebita. Per questo sono state inventate le graziose carte di credito, mentre agli Stati sovrani è concesso di finanziarsi ricorrendo a titoli e obbligazioni. Anche gli Stati Uniti lo fanno, e guarda caso il loro debito pubblico sfiora i 20.000 miliardi.  Come mai non fanno bancarotta? Per la semplice ragione che l’America possiede gigantesche risorse e capacità produttive oltre a un vastissimo mercato interno.

      Una buona parte dei piccoli Paesi europei non godono però di queste opportunità: consumano più di quanto non potranno mai produrre e pagare. Quando esagerano, ecco i bails out, i mnimònia greci o la Caisse de Dettes, come avvenne alla fine del secolo scorso in Egitto ai tempi delle sontuose prodigalità del Khedivé Tewfik. Dèia vu. Per essere credibili, le politiche dell’austerity devono essere accompagnate da parallele dimostrazioni di buona volontà anche de parte dei Paesi produttori. Che senso ha parlare di austerity, se poi cerchiamo in tutti i modi di vendere al pover’uomo di turno Mercedes, cucine Miele, Leopard, Siemens e sottomarini? Perché l’austerity sia coerente, essa deve essere accompagnata dalla continenza..consumistica.

       Su questa intricata e contorta superficie economica s’innesta inoltre un tema eminentemente geo-politico. Esiste veramente un’Europa unita e integrata o essa è ancora una nobile intenzione? Una rapida occhiata alle realtà economico-sociali e ai bilanci dei vari Stati membri suggerisce che siamo ancora lontani e che c’è solo da ringraziare che l’UE non sia stata appesantita da realtà demografiche del peso della Turchia - 77 milioni di abitanti - i cui eventuali disastri economici avrebbero dei riflessi ben più drammatici di quelli greci. Non va d’altra parte dimenticata l’esistenza di una sostanziale equazione fra NATO e UE. Per una deplorevole senilità strategica, gli Stati membri di entrambe e gli Americani continuano a coltivare imperterriti politiche da guerra fredda, cosa assai più insensata, tenendo conto delle castagne bollenti – un ovvio eufemismo - del sempre più dilagante fondamentalismo islamico.

       Per ritornare ora più specificamente alla Grecia, una sua eventuale uscita dall’Europa appare comunque impraticabile, se non altro perché NATO e USA non permetterebbero l’indebolimento del fronte sud dei Balcani in un momento così critico come quello attuale. I corteggiamenti, simpatie, sogni o ammiccamenti diretti o indiretti di varia natura fra governo greco e Russi o Venezuelani rimangono esercitazioni infantili e dilettantesche. Ancorché ne avrebbe ben donde, viste le ostinate e sconsiderate sanzioni a suo danno, Vladimir Putin non è tanto sciocco da farsi trascinare in reali alleanze greche, diplomaticamente complicate, costose e poco redditizie. In quanto al pittoresco leader venezuelano Nicolas Maduro, i suoi eventuali ammiratori greci dovrebbero andare a fare la spesa in un supermarket di quel Paese. Forse, l’unica cosa che troverebbero negli scaffali sarebbero rotoli di carta igienica.

       Il suggestivo titolo di un romanzo di un noto scrittore tedesco (Hans Fallada) suona: “E adesso, pover’uomo?” Esso ben si addice agli stoici greci in fila presso gli ATM. In realtà, il futuro di questa vicenda non riguarda solo costoro ma anche le istituzioni europee che devono districarsi da una situazione così aggrovigliata. Le punizioni – vedi Putin – sono spesso controproducenti. Nel caso greco, fatte salve legittime richieste di serietà, ragionevolezza e maturità di comportamenti e decisioni nei confronti della Grecia e dei suoi governanti, occorrono urgenti misure riequilibranti e correttive, non solo in termini di sostegno finanziario ma anche di comportamenti reciproci. Una delle cause sostanziali dell’indebitamento reco sono state le continuate aberranti spese militari, effettuate senza che nessun partner si lamentasse. Sarebbe tempo che la NATO, che insiste per esistere, elimini una volta per tutte col suo ombrello le giustificazioni nazionalistiche con cui si sono pasciute per decennia le lobbies degli armamenti sia in Grecia che in Europa.

        Quale che sia il risultato di questo surreale e fraudolento referendum degli equivoci, vi è una lezione che gli auto-proclamati difensori greci della dignità nazionale dovrebbero ricordare: quando un governo fallisce così platealmente, esso dovrebbe avere il buon gusto e l’onestà di dimettersi.

Antonello Catani, Atene, 3 luglio 2015

      

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Rischio disintegrazione dell'Unione Europea

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Fino l’altro ieri gli “Europei Molto Seri” indicavano la Spagna come un caso esemplare di successo, come la giustificazione di tutto il loro programma. Evidentemente i cittadini spagnoli non erano d’accordo. E così, se le forze anti-establishment potranno fare riferimento a una Grecia in via di ripresa, lo screditamento dell’establishment verrà accelerato. Un editoriale di Paul Krugman pubblicato sul New York Times e ripreso dal sito www.vocidallestero.it

Grexit o Brexit, questa Ue proprio non piace

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