Il laboratorio del futuro

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La Biennale di Architettura che si svolgerà dal 20 maggio al 26 novembre del 2023 ha già ricevuto il nome che concentra in parole nodali il suo tema: Il Laboratorio del Futuro. Un laboratorio che se si ritiene di parafrasare in parte il filosofo ed ingegnere austriaco, Ludwig Wittgenstein, pensando al significato fondamentale di questa disciplina, lo vorremmo considerare come una modalità di rapportarsi con gli spazi che abitiamo e viviamo, non solo oggi, ma anche immaginandoci quelli del futuro. Il Presidente della Biennale di Venezia, Roberto Cicutto e Lesley Lokko, la Curatrice della 18. Mostra Internazionale di Architettura, hanno tracciato stamattina, in conferenza stampa a Ca’ Giustinian, le linee principali del progetto della rassegna che avrà luogo nei Giardini, all’Arsenale ed in vari luoghi della città di Venezia. Concetti utili per comprendere i punti di partenza dell’importante rassegna si sono condensati nelle loro frasi come quando il presidente Cicutto ha dichiarato “Parlare al mondo è la vera ragione per cui un curatore si assume la responsabilità di fare una mostra internazionale della Biennale”. Entrambi hanno chiarito come il titolo operi su più livelli. Continua Cicutto: “il mondo è stato sempre attraversato da incomprensioni culturali: fino all’inizio del ventesimo secolo l’Europa giudicava barbara ed incomprensibile l’arte africana, e c’è voluta la provocazione delle avanguardie artistiche per obbligare gli europei a guardare con occhi diversi una maschera Bantù. Che cosa fossero le statue dell’Isola di Pasqua lo sapevano solo le èlite colte: la gente comune in Europa, e forse in Cina, giudicava deliranti ed impudiche, quando gli capitava di vederne una foto, le sculture erotiche sui templi indiani. I cristiani si scandalizzavano perché i seguaci di altre religioni rappresentavano una loro divinità in forma di animale, dimenticando che l’Occidente cristiano ha per secoli rappresentato la terza persona della Santissima Trinità in forma di colomba”. Le argomentazioni del presidente si sostanziano di una Lectio Magistralis di Umberto Eco all’Expo di Milano del 2015. Partendo da queste premesse l’invito implicito di questo laboratorio o workshop, inteso come antica bottega artigiana, è quello di chiamare gli architetti a disegnare una società più giusta, più inclusiva … Lo ha spiegato la curatrice Leslie Rokko, che è anche architetta, docente di architettura e scrittrice e che ha alle spalle un lavoro trentennale in questo settore che si concentra sulla relazione fra “razza”, cultura e spazio. Due parole abusate, ma essenziali come Laboratorio e Futuro vogliono dunque riacquisire nella futura Biennale un valore costruttivo e motivato anche dal coraggio. Il tema della diversità, all’interno di un mondo globale, caratterizza la nostra realtà. Spiega la curatrice: “Qui in Europa parliamo di minoranze e di diversità, ma la verità è che le minoranze dell’Occidente sono la maggioranza globale; la diversità è la nostra norma. C’è un luogo in cui tutte le questioni di equità, risorse, razza, speranza e paura convergono e si fondono: l’Africa. A livello antropologico siamo tutti africani. E ciò che accade in Africa accade a tutti noi.” “ In primo luogo – ha affermato- l’Africa è il laboratorio del futuro”. " In primo luogo – ha affermato- l'Africa è il laboratorio del futuro". Le ragioni sono molte: esso è il continente più giovane del mondo, con un'età media pari alla metà di quella dell'Europa e degli Stati Uniti, ma è quello anche con un tasso di crescita dell'urbanizzazione più alto nel mondo, pari al 4% annuo. La recente pandemia ha dimostrato come nonostante il basso tasso di vaccinazione, uguale al 15%, ci siano stati meno morti ed infezioni che altrove. Si prospetta o si auspica un ridimensionamento della stessa professione di architetto, che consideri una visione più fluida del territorio, dell'identità e della stessa epistemologia e che sappia mettersi in relazione utile con le altre discipline. Architettura e visione del mondo si stringono a braccetto e dalla loro alchimia ogni giorno nascono nuovi mondi possibili e differenti interpretazioni. Il presidente Cicutto ha alla fine voluto ringraziare il Ministero della Cultura, il Comune La Biennale di Architettura che si svolgerà dal 20 maggio al 26 novembre del 2023 ha già ricevuto il nome che concentra in parole nodali il suo tema: Il Laboratorio del Futuro. Un laboratorio che se si ritiene di parafrasare in parte il filosofo ed ingegnere austriaco, Ludwig Wittgenstein, pensando al significato fondamentale di questa disciplina, lo vorremmo considerare come una modalità di rapportarsi con gli spazi che abitiamo e viviamo, non solo oggi, ma anche immaginandoci quelli del futuro. Il Presidente della Biennale di Venezia, Roberto Cicutto e Lesley Lokko, la Curatrice della 18. Mostra Internazionale di Architettura, hanno tracciato stamattina, in conferenza stampa a Ca' Giustinian, le linee principali del progetto della rassegna che avrà luogo nei Giardini, all'Arsenale ed in vari luoghi della città di Venezia. Concetti utili per comprendere i punti di partenza dell'importante rassegna si sono condensati nelle loro frasi come quando il presidente Cicutto ha dichiarato "Parlare al mondo è la vera ragione per cui un curatore si assume la responsabilità di fare una mostra internazionale della Biennale". Entrambi hanno chiarito come il titolo operi su più livelli. Continua Cicutto: "il mondo è stato sempre attraversato da incomprensioni culturali: fino all'inizio del ventesimo secolo l'Europa giudicava barbara ed incomprensibile l'arte africana, e c'è voluta la provocazione delle avanguardie artistiche per obbligare gli europei a guardare con occhi diversi una maschera Bantù. Che cosa fossero le statue dell'Isola di Pasqua lo sapevano solo le èlite colte: la gente comune in Europa, e forse in Cina, giudicava deliranti ed impudiche, quando gli capitava di vederne una foto, le sculture erotiche sui templi indiani. I cristiani si scandalizzavano perché i seguaci di altre religioni rappresentavano una loro divinità in forma di animale, dimenticando che l'Occidente cristiano ha per secoli rappresentato la terza persona della Santissima Trinità in forma di colomba". Le argomentazioni del presidente si sostanziano di una Lectio Magistralis di Umberto Eco all'Expo di Milano del 2015. Partendo da queste premesse l'invito implicito di questo laboratorio o workshop, inteso come antica bottega artigiana, è quello di chiamare gli architetti a disegnare una società più giusta, più inclusiva ... Lo ha spiegato la curatrice Leslie Rokko, che è anche architetta, docente di architettura e scrittrice e che ha alle spalle un lavoro trentennale in questo settore che si concentra sulla relazione fra "razza", cultura e spazio. Due parole abusate, ma essenziali come Laboratorio e Futuro vogliono dunque riacquisire nella futura Biennale un valore costruttivo e motivato anche dal coraggio. Il tema della diversità, all'interno di un mondo globale, caratterizza la nostra realtà. Spiega la curatrice: "Qui in Europa parliamo di minoranze e di diversità, ma la verità è che le minoranze dell'Occidente sono la maggioranza globale; la diversità è la nostra norma. C'è un luogo in cui tutte le questioni di equità, risorse, razza, speranza e paura convergono e si fondono: l'Africa. A livello antropologico siamo tutti africani. E ciò che accade in Africa accade a tutti noi." " In primo luogo – ha affermato- l'Africa è il laboratorio del futuro". Le ragioni sono molte: esso è il continente più giovane del mondo, con un'età media pari alla metà di quella dell'Europa e degli Stati Uniti, ma è quello anche con un tasso di crescita dell'urbanizzazione più alto nel mondo, pari al 4% annuo. La recente pandemia ha dimostrato come nonostante il basso tasso di vaccinazione, uguale al 15%, ci siano stati meno morti ed infezioni che altrove. Si prospetta o si auspica un ridimensionamento della stessa professione di architetto, che consideri una visione più fluida del territorio, dell'identità e della stessa epistemologia e che sappia mettersi in relazione utile con le altre discipline. Architettura e visione del mondo si stringono a braccetto e dalla loro alchimia ogni giorno nascono nuovi mondi possibili e differenti interpretazioni. Il presidente Cicutto ha alla fine voluto ringraziare il Ministero della Cultura, il Comune della città lagunare, la Regione Veneto, la Soprintendenza di Venezia, la Marina Militare e Rolex partner alla Biennale per la quinta volta consecutiva.

Patrizia Lazzarin, 1 giugno 2022

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Il latte dei sogni

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Il latte dei sogni che richiama nell’elemento bianco e dolce una mitica età dell’oro, quando questo nutrimento esisteva in abbondanza assieme al miele e  ci ricorda,  allo stesso tempo il calore materno, è il titolo dedicato  alla Biennale Arte 2022 che apre al pubblico domani 23 aprile, a Venezia, negli spazi del Padiglione Centrale ai Giardini e in quelli delle Corderie, delle Artiglierie e negli spazi esterni delle Gaggiandre e del  Giardino delle Vergini nel Complesso dell’Arsenale. Il latte dei sogni, come ha spiegato la curatrice Cecilia Alemani, durante la conferenza stampa del 20 aprile, è una frase carpita da un libro di favole dell’artista surrealista Leonora Carrington, dove la fantasia e l’immaginazione reinventano il mondo. La trasformazione che muta i corpi e la stessa definizione di ciò che riteniamo comunemente  umano è la lente  per leggere la Biennale Arte 2022, dove creature ed oggetti fantastici, nati dalla mente degli artisti, diventano i compagni  di viaggio, dentro un universo che è fonte di stupore e  che ci conduce, come Alice nel Paese delle Meraviglie attraverso altri mondi possibili. Nel suo studio a New York,  Cecilia Alemani assieme al  suo team di collaboratori ha steso il progetto dell’esposizione e dialogato e  visto,  grazie a zoom, artisti ed opere.  Sono sorti così più interrogativi a cui la Biennale con i suoi “artefici” ha voluto offrire delle risposte. I quesiti principali dibattuti erano: quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? Quali sono le principali differenze che dividono il regno vegetale, animale, umano e il non umano? Come sta cambiando ciò che per antonomasia riteniamo umano? Molte di queste domande interessano anche le scienze, e sono diventate sempre più attuali  anche per la recente pandemia ed i frequenti disastri ambientali, causati dall’inquinamento. La stessa tecnologia ha rivoluzionato il concetto di umanità evidenziandone i vantaggi ed i limiti. In queste riflessioni sono stati importanti gli scritti sul post umano della filosofa Rosi Braidotti. Le opere in mostra alla Biennale esemplificano con espressioni che non ci lasciano indifferenti, ma coinvolgono i nostri sentimenti ed i nostri pensieri, una nuova comunione con la Terra, con l’essere animale e anche con il non organico e rendono visibile la fine possibile dell’antropocentrismo, dove  l’uomo è stato ed è misura di tutte le cose. Partecipano a questo dialogo più di duecento artiste ed artisti che giungono da 58 nazioni e  per centottanta di loro è la prima volta che espongono in questo luogo d’incontro e di confronto tra culture, quale è da molti anni la Biennale di Venezia. Nel suo lungo percorso che compie quest’anno centoventisette anni, la mostra presenta una maggioranza di donne segnando così  un ribaltamento o meglio un ridimensionamento del ruolo maschile nella storia dell’arte e nella cultura in generale. Ogni artista è poi  un mondo di ricchezza inventiva e meriterebbe un discorso speciale per capire le motivazioni della sua arte e apprezzarne in modo ancor più pregnante la  bellezza intrinseca e/o estetica. Le poetiche degli autori si confrontano poi con lavori storici che datano dall’Ottocento fino all’età contemporanea. Cinque capsule storiche o, come potremmo chiamarle, capsule del tempo, negli spazi del Padiglione Centrale e delle Corderie affrontano temi essenziali di questa Biennale 2022 offrendo occasioni di approfondimento e costruendo rimandi e  confronti tra le opere del Passato e quelle attuali degli artisti. Sono opere storiche che provengono da grandi musei e vengono affiancate in accostamenti inusuali. La prima delle cinque capsule La culla delle strega riunisce in una sala sotterranea del Padiglione centrale le realizzazioni di donne delle avanguardie storiche tra cui Leonora Carrington, Claude Cahun, Leonor Fini, Carol Rama, Dorothea Tanning  e Remedios Varo. Nel XX secolo grazie alla diffusione di concezioni psicoanalitiche che rivelano l’influenza dell’inconscio, l’emergere di nuove tecnologie che allentano i confini tra umano e macchina e l’apparire di una Donna Nuova, sulla scia dell’ideale femminista, si spezza il netto dualismo fra maschile e femminile e tra animato e inanimato a favore di un ibridismo e differenti modelli di relazione. Si sovvertono i luoghi comuni della femme fatale e della femme enfant. Appaiono come  marionette, manichini, bambole e maschere, dentro quadri, disegni e sculture nuove immagini della donna e  nuove visioni della sua soggettività. La metamorfosi è lo strumento per eccellenza,  declinato in modi diversi: dalla parodia della donna eroicizzata all’androginia o la riproposizione di antichi miti  come la sfinge, la strega, donne insieme umane ed animali,  macchina e/o mostro. Molte delle creazioni  mettono poi in evidenza i rapporti che legano esseri umani e macchine come nella capsula dedicata all’Arte Programmata  e all’astrazione cinetica degli anni Sessanta, chiamata  Tecnologie dell’Incanto. In Corpo Orbita le relazioni si giocano invece fra corpi e il linguaggio, ispirandosi alla Mostra di Poesia Visiva e Concreta, Materializzazione del linguaggio, curata da Mirella Bentivoglio nella Biennale Arte del 1978. Nella sezione o capsula, che incontriamo all’inizio delle Corderie, intitolata Una foglia, una zucca, un guscio, una rete, una borsa, una tracolla … un contenitore,  ciò che muove l’invenzione proviene dagli scritti dell’autrice di fantascienza Ursula K. Le Guin  che individua lo sviluppo della civiltà nella costruzione di oggetti utili alla raccolta, al sostentamento e alla cura e non nell’invenzione delle armi. Nella parte finale delle Corderie, La seduzione del cyborg, incontriamo anche le artiste che nel Novecento hanno inventato gli avatar di un futuro post umano e post gender combinando umano ed artificiale, storia e mito, organico e tecnologico. Questa biennale che giunge alla sua 59 edizione come ha specificato, il suo presidente Roberto Cicutto, ci si augura ci possa immergere nel “re-incantesimo del mondo”, forse un sogno, che rappresenta uno degli altri momenti costitutivi della rassegna  che sarà visitabile fino al 27 novembre. I Leoni D’Oro alla carriera quest’anno saranno consegnati, sabato 23 aprile a Ca’ Giustinian,  alla scultrice tedesca Katharina Fritsch e a Cecilia Vicuña, artista, poetessa e attivista cilena.

Patrizia Lazzarin, 22 aprile 2022

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