Margherita di Savoia, regina d'Italia

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La filastrocca: la regina Margherita mangia il pollo con le dita è un’espressione allegra di un sapere popolare che si è conservato nel tempo. Giosuè Carducci, il primo italiano a ricevere il Nobel per la letteratura, dedicò a lei un componimento che l’ha consacrata come sovrana fra i posteri. Fra le righe leggiamo: Onde venisti? Quali a noi secoli sì mite e bella ti tramandarono? Fra i canti de’ sacri poeti dove un giorno, o regina, ti vidi. L’occasione dei versi è la visita di Margherita e del consorte Umberto nel novembre del 1878 a Bologna, dopo che da poco erano diventati regina e re d’Italia. Carducci filo repubblicano e filo garibaldino aveva omaggiato così Margherita, “prima regina d’Italia” che, era noto, amava conquistare i suoi interlocutori mostrandosi donna colta ed informata delle novità letterarie ed artistiche.

La sovrana aveva una grande considerazione del valore della regalità e un gusto per il fasto. Seppe costruire i suo ruolo attraverso una politica di relazioni, la valorizzazione dell’arte e dell’artigianato del paese e una capillare attività di beneficenza che si alimentava, in parte della sua fede religiosa. L’esposizione in corso a Palazzo Madama, a Torino, illumina la figura di questa regina che, in un difficile momento storico per le monarchie, esercitò un ruolo fondamentale nella ricerca del consenso e ne evidenzia insieme il carattere e le principali passioni fra cui ci sono la  montagna e la musica. Margherita è stata una donna con una personalità forte, elegante nei modi e che ha saputo dare alle persone con cui si relazionava la sensazione di uno spontaneo interesse nei loro confronti. Sposò, a soli sedici anni, nell’aprile del 1868, il cugino Umberto che aveva otto anni più di lei. Non si conoscevano più di tanto, fu un matrimonio legato alla ragione di stato, ma  che per Margherita significò comunque una crescita di rango. Il principe  aveva  dal 1862, fra  le mille avventure, una relazione duratura con la duchessa Eugenia Litta Attendolo Bolognini che si protrasse per tutta la vita. La liason non era  sconosciuta neppure alla futura regina.

Già nel 1871, non ancora sovrani, si erano trasferiti a Roma, al Quirinale, con l’intento di dare una nuova immagine della monarchia nella città dove risiedeva il Papato che si mostrava poco amico e, dove era vivace il conflitto fra  l’aristocrazia bianca e quella nera. Dopo Napoli, dove avevano abitato appena sposati, con l’intento di legare il Mezzogiorno alla Corona e dove era nato il figlio Vittorio Emanuele, a Roma lei si impegnò per ottenere l’approvazione sia dei ceti borghesi e aristocratici  sia del popolo.  Diede balli e ricevimenti al Quirinale per i primi e fece beneficenze verso i secondi. I viaggi in tutta Italia furono mossi dal desiderio di nazionalizzare il paese e dalla volontà di popolarizzare la monarchia, anche se le visite reali furono effettuate solo nelle grandi e medie città. Sono anni complicati per i sovrani di tutta Europa. Si moltiplicano i tentativi di assassinio dei monarchi e dei diversi rappresentanti del potere politico.

I giornalisti dell’epoca, come Ugo Pesci del giornale Fanfulla, vicino alla Destra, raccontò a distanza di oltre trent’anni, come invece la regina seppe fare il miracolo di conquistare Roma in brevissimo tempo. Lo capiamo dalla lettura delle cronache di quei primi balli dove lei, giovane e bionda, ancora principessa, si muoveva con eleganza e gentilezza fra le signore e le dame di corte. Dalla morte a Torino nel lontano gennaio del 1855 di Maria Adelaide D’Asburgo Lorena, madre di Umberto, a soli trentatrè anni, quel ruolo femminile rimasto vacante viene riempito dalla nuova erede al trono. Da subito essa si interessò alle istituzioni dell’educazione e dell’istruzione femminile e in generale a quelle di sostegno della donna. Questo contribuì a formare un’immagine assai positiva  di lei che ricevette doni simbolici da parte delle italiane e rafforzò il prestigio della Corona. Al suo confronto il re Umberto ebbe un’immagine pubblica assai meno luminosa, certamente fu meno amato.

 

Scrive Silvia Cavicchioli, nel catalogo edito da Marsilio: In un paese dove le donne erano rimaste escluse da ogni forma di rappresentanza e partecipazione politica, a cominciare dai plebisciti di annessione, la figura iconica della regina rappresentò proiezioni antitetiche. Da un lato il patronato filantropico di Margherita rafforzò il modello stereotipato della donna nell’Italia liberale, confermando il disciplinamento domestico quale suo unico orizzonte. Dall'altro la sovrana rappresentò comunque, nella costante presenza pubblica, un modello concreto di savoir-faire, di concreta intelligenza, di spirito di intraprendenza. Ma soprattutto, attraverso la poliedricità delle sue attività, alcune delle quali eccentriche all’universo propriamente femminile (basti pensare alla passione per le auto; o per la montagna, con la celebre ascensione, nel 1893, ai 4554 metri della Punta Gnifetti sul Monte Rosa, in visita al rifugio a lei intitolato), ella aprì, anche se solo idealmente, il ventaglio delle possibilità. La regina divenne un modello delle italiane da fare … Il suo essere regale  nel vestire si tradusse nella scelta delle grandi linee della moda corrente, con continui richiami al passato come testimoniano anche i ritratti ufficiali dove esibisce magnifici e sovrabbondanti gioielli.  Scrive Silvia Mira: seguendo l’esempio di altre sovrane, riuscì a proporsi come regina d’Italia anche nella moda, offrendo un’immagine di sé in grado di collegarsi alla cultura popolare della fiaba e a quella del teatro. Come faceva notare Tissot, Margherita ai balli di corte, con quindici giri di perle al collo, i grossi orecchini a forma di pera, il corpino disseminato di spille e di nodi di diamanti appariva adorna come una statua votiva. Il fiore della margherita venne da subito associato alla figura della giovane principessa assurgendo ad una delle specie botaniche più riprodotte nei ricami, nei merletti, come guarnizione di copricapi e protagonista di ghirlande di fiori di seta per completare abiti eleganti. Nacque un vero e proprio fenomeno di costume: il cosiddetto «margheritismo», esteso ad ogni ambito dell’esistenza, dall’abbigliamento alla cucina.

Di lei rimane anche una cospicua raccolta di libri: una biblioteca che alla sua morte contava oltre 12.000 volumi che sono ora conservati in gran parte alla Biblioteca Nazionale di Torino. In ricordo della sua passione per la montagna il suo nome ricorre dal massiccio del Monte Bianco alla catena del Monte Rosa lungo i percorsi alpini e le principali località della Valle d’Aosta. Le opere esposte, oltre settanta tra ritratti, dipinti, sculture, abiti e gioielli, strumenti musicali, manoscritti, tappezzerie e mobili, provengono da importanti collezioni pubbliche, in particolare dal Musée d’Orsay di Parigi, dalle Gallerie degli Uffizi – Palazzo Pitti, dal Palazzo del Quirinale e dal Museo di Palazzo Boncompagni-Ludovisi di Roma, dal Palazzo Reale di Napoli e dalla Reggia di Caserta, dai Musei Civici di Venezia, dai Musei Reali e dalla Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, dal Polo Museale del Piemonte. L’esposizione, visibile fino al 30 gennaio 2023, coordinata da Maria Paola Ruffino, restituisce un ritratto completo della prima regina d’Italia, e fin dal nostro ingresso veniamo accolti da immagini, filmati e musiche del tempo che definiscono la sua fisionomia e il suo abitare in quei luoghi. Esemplare anche la collezione privata di Mara Bertoli, costituita da dieci splendidi abiti che ammiriamo  nelle sale del piano nobile e che raccontano del gusto e dello stile dagli anni Cinquanta dell’Ottocento fino alla metà del secondo decennio del Novecento.

                                                                                                       Patrizia Lazzarin

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