La nascita dell'avanguardia. Il Futurismo 1910-1915

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Futurismo 1910 1915, è l’esposizione che si apre il primo ottobre a Palazzo Zabarella e  che racconta gli anni eroici di questo movimento, quando fra i suoi componenti si svilupparono e maturarono le convinzioni e la prassi del loro stile. Essa fiorisce sulle “ceneri” della grande mostra tenutasi, nel 1986 a Palazzo Grassi  che poneva a confronto i diversi Futurismi europei: dall’Italia alla Francia, dalla Russia all’Inghilterra e, come scrive il direttore culturale  della Fondazione Bano e curatore, Fernando Mazzocca, “si riallaccia a quella intitolata a “Boccioni prefuturista. Gli anni di Padova”, realizzata circa quindici anni fa. Nella città patavina, Boccioni giunse con la famiglia a sette anni e vi rimase stabilmente fino a sedici, ma vi tornava almeno una volta all’anno “perché qui vivevano le donne della sua vita, la madre e la sorella che amava profondamente”. Pietra miliare in questo percorso di progressiva “emancipazione” dell’arte figurativa del bel paese è l’incontro tra il Futurismo letterario di Filippo Tommaso Marinetti che, nel 1909 pubblica sul quotidiano parigino “Le Figaro” il suo Manifesto, e  un gruppo di cinque pittori che erano vicini alla Famiglia Artistica Milanese, nata con gli artisti della  Scapigliatura e di tendenze moderniste. Quando pensiamo al Futurismo ritorniamo con la memoria alle immagini evocate dalle parole di  Marinetti che invitano in maniera persuasiva a  spezzare le catene che legano l’intellettuale al passato. Luci,  velocità e rumore sono le parole guida della nuova poetica che raccoglie gli effetti di una rivoluzione scientifico e tecnologica che aveva cambiato in maniera vitale le coordinate spaziali e temporali. Rottura quindi, e per questo c’è bisogno di un nuovo linguaggio, anche pittorico. L’undici aprile 1910 è la data di redazione del Manifesto tecnico della pittura futurista che opta per un divisionismo, ribattezzato “complementarismo congenito”. I firmatari sono Boccioni, Carrà, Russolo, Severini e Bonzagni, che, l’ultimo, ha sostituito Romolo Romani del primo manifesto pittorico siglato un mese prima. “Ma affinché il Divisionismo – nella declinazione simbolista e antinaturalistica di Previati, come pittura di idee – giungesse a Boccioni nella seconda metà del primo decennio del Novecento quale linguaggio di ricerca per un’arte nuova, fu necessario il passaggio da Roma e l’affermarsi di una guida autorevole come quella di Balla” spiega Francesco Leone, uno dei curatori,  nel catalogo edito da Marsilio Arte. Sono le ricerche che gravitavano intorno ad un modo di osservare la realtà da diverse angolazioni e  a studi sulla luce di cui Balla si faceva anche interprete, fino a toccare aspetti  di un’arte sociale e di una  poetica simbolista che ambiva a superare il naturalismo e voleva  pervenire ad una dimensione spirituale che si avvicinasse alla percezione dell’ignoto. Le prime sezioni della mostra intitolate: Le radici simboliste del Futurismo,  Divisionismo e Spiritualismo ci fanno  comprendere alcuni di questi passaggi storici del Movimento e ci permettono di osservare opere di questa corrente raramente visibili al pubblico. Sempre nel Manifesto tecnico ci si esprimeva così: “Perché si deve continuare a creare senza tenere conto della nostra potenza visiva che può dare analoghi risultati a quella dei raggi X”? La prima uscita pubblica del gruppo che si dichiarava moderno non fu però all’altezza delle loro aspettative. E come spiega anche l’altro curatore Fabio Benzi: “nell’estate del 1910, Boccioni, e di risulta dobbiamo dedurre anche gli altri futuristi, non hanno ancora messo a fuoco il sistema per tradurre le idee innovative in immagini di pari novità”. L’esposizione di Padova ha il merito di evidenziare anche attraverso la produzione storico-critica presente nel catalogo, le battaglie combattute dai futuristi per giungere ad una nuova arte. Le recensioni dure della stampa in quegli anni nei loro confronti, in particolare di Ardengo Soffici che li stronca con la definizione “balorda istrioneria”, finiranno  in una spedizione punitiva del gruppo futurista nel Caffè fiorentino delle Giubbe rosse, dove si riunivano Soffici e i “vociani” e con un confronto nel commissariato, dove tutti vengono portati per “calmarsi”. Il guanto era stato lanciato: “la sfida era conoscere” quella che per Soffici era, come scrive sempre Benzi, la punta più incisiva dell’avanguardia europea: Picasso, Derain … La meta diventava Parigi. La storia del gruppo continua  nelle relazioni con le avanguardie d’oltralpe. Boccioni, pur non parlando bene il francese, rappresenta sempre una figura leader, a cui si rivolgono i giornalisti per notizie  sui Futuristi. Le ricerche degli anni successivi li  vedono   impegnati  nel dare concreta espressione alla teoria del dinamismo universale: bisogna dare il ritmo particolare di ogni oggetto o meglio la sua forza interna. La volontà di dare l’impressione di movimento interessò sia la scultura sia la letteratura, accanto alla pittura. I codici linguistici con cui esso trovava la propria esemplificazione individuavano il ricorso a cromie accese,  a flussi grafici e a sequenze di movimenti meccanici che li differenziarono inizialmente anche dai cubisti francesi con cui si confrontavano. Polimaterismo e tridimensionalità, perseguiti dal  Movimento, contribuirono infine  a scardinare il concetto tradizionale di opera d’arte. Boccioni dichiarò nel Manifesto tecnico della scultura futurista: “anche venti materie diverse possono concorrere ad una sola opera al fine dell’emozione plastica”  e nella volontà di compenetrare figure  e spazio e …  aria si  espresse affermando:” Proclamiamo l’assoluta  e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa. Spalanchiamo la figura e chiudiamo in essa l’ambiente”. La rassegna sarà visitabile  dal pubblico fino al 26 febbraio 2023.  

                                                                                                          Patrizia Lazzarin

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I grandissimi Van Gogh, Monet e Degas a Padova

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Piccoli scrigni e forzieri ricchi di gioie che emanano  luce e colore sono le opere che sono appese alle pareti  delle sale di Palazzo Zabarella  a  Padova, nella mostra VAN GOGH MONET DEGAS, visibili al pubblico dal 26 ottobre al primo marzo 2020, provenienti dalla Mellon Collection of French Art  del Virginia Museum of Art di Richmond, espressione del gusto raffinato dei coniugi  americani Paul e  Rachel Bunny Mellon, innamorati della natura e di una città che abbonda  di sfumature anche emozionali come è da sempre Parigi. Nella prima sala dell’esposizione i corpi in bronzo di due giovani ninfe scolpite, opera dello scultore francese Aristide Maillol, nella lucentezza della materia e nella proporzione morbida delle forme sono un annuncio alla bellezza che si respira attraversando gli spazi della rassegna che ospita, in esclusiva per l’Italia, oltre settanta capolavori di artisti eccellenti che hanno operato in un arco di secolo che comprende i primi decenni dell’Ottocento  per giungere agli anni Trenta del Novecento. Tante espressioni pittoriche che attraversano il Romanticismo per approdare alle sperimentazioni delle avanguardie che rovesceranno il nostro modo di guardare la realtà: Eugène Delacroix,  Thèodore Gèricault, Claude Monet, Edouard Manet, Edgard Degas, Henry Matisse, Pablo Picasso e molti altri artisti che hanno saputo rendere, usando le parole di George  Clemenceau, uno degli artefici del Trattato di Versailles e amico del pittore Monet, più penetrante la nostra percezione dell’universo. Il percorso espositivo che nasce grazie alla collaborazione fra la Fondazione Bano, che da alcuni anni mostra interesse ad episodi significativi del collezionismo  privato, poi confluiti in raccolte pubbliche di respiro internazionale, e il Virginia Museum of Fine Arts si articola in sezioni dove ogni quadro ci conduce ad un’altra visione, ci porta passo dopo passo dentro la gioia  del reale: sulle spiagge di sabbia battute dal vento  della pittrice francese  Berthe Morisot, lungo le vie di Parigi, in prossimità di  scorci e vie che si perdono in lontananza nelle tele di Maurice Utrillo e di Stanislas Lèpine: nel primo  nella vivacità del colore e nel taglio delle prospettive, nel secondo  nella lucentezza di pietre e acque che nella loro trasparenza, tinta di rosa, sembrano mostrare luoghi dove fermarsi per godere pace e  silenzio.  Il paesaggio e la natura   da sempre emblemi dei  nostri stati interiori, nelle marine di Eugène Boudin sembrano rivelare la loro forza e maestosità. Nella tela: Ingresso al porto di le Havre,  la nave,  al centro, si staglia nel biancore delle sue vele sulle onde increspate mentre  attorno tante imbarcazioni  nei loro colori  sembrano gareggiare con un cielo pieno di nubi, ma comunque luminoso. Mare e isole lontane, acque che recano il fascino dell’esotico nella tela Palme di cocco vicino al mare di Camille Pissarro  riflettono  l’amore dei due coniugi Mellon per i loro possedimenti in Antigua, nelle Piccole Antille. Un amore per la vita, per  la corsa, soprattutto per i cavalli  che della vita sembrano la proiezione veloce del divenire, nei dipinti o sculture in mostra, tra cui sono da segnalare i piccoli bronzi di Degas, espressione degli interessi specifici di Paul Mellon. I fiori, quasi colti dal campo, che con le loro tinte sembrano rifrangere la vivacità dei colori di un arcobaleno nato  sull’azzurro del cielo  dopo un violento temporale, rivelano gli interessi di Bunny innamorata dall’infanzia della botanica. Le margherite di Van Gogh, Il vaso di fiori di Odilon  Redon o il Bouquet di zinnie di Henry Fantin-Latour sono quadri di piccole dimensioni, come molte altre opere in mostra, ma quel piccolo spazio racchiude l’essenza di visioni che si traducono in poesia. I luoghi siano essi marine con poche o tante presenze umane, paesaggi estesi  o vedute ravvicinate concentrano il sentire del poeta-pittore e riflettono la capacità di sintetizzare in un tocco di pennello la bellezza anche delle cose semplici. La materia sia essa grani di sabbia o onda che si frange sulla battigia, brina che diventa ghiaccio come  Sul lago di Marly di Alfredo Sisley oppure  ancora colore che è  sostanza vivente, oggetto, animale  suona le corde della nostra anima come uno straordinario  arpista. Una musica sembra riempire le stanze della mostra con note melodiose.  La  bellezza dei  luoghi  e il loro  eco  sull’animo erano infatti anche  la gioia  dei coniugi Mellon e che ritroviamo nel gusto per gli interni delle  dimore curate e progettate  da Bunny. Paul e Bunny erano una coppia accogliente e riservata che annoverava fra le sue amicizie la regina d’Inghilterra, il principe del Galles e Jacqueline Kennedy. I due coniugi collezionarono molte opere d’arte soprattutto francese che rivelano la loro sensibilità e che sono parte di quelle esposte in mostra a Palazzo Zabarella. I  quadri  di loro proprietà furono poi donati a grandi musei come la National Gallery di Londra, lo Yale Centre for British Art di New Havene  e il Virginia Museum of Fine Arts di Richmond. Il presidente della Fondazione di Palazzo Zabarella, Federico Bano ha citato i molti sostenitori di questa prezioso progetto che accresce il ruolo della città di Padova quali sono BPER Banca, Porsche, Despar, Antenore Energia, Studio Casa e Studio Terrin. Una mostra che ha la direzione culturale di Fernando Mazzocca e la curatela di Colleen Yarger e ci trasporta nei luoghi della vita parigina ma anche nella campagna francese. Un viaggio nei luoghi a volte, in altre occasioni vicino ai volti e alle espressioni del cantore delle anime belle Pierre- Auguste Renoir, come nel Ritratto del figlio dell’artista, Jean, mentre disegna o nelle Giovani ragazze che guardano un album. Chiude la mostra La piccola ballerina di  quattordici anni di Degas, nella sua gonna di tulle trasparente, lungo un corpetto che nella gradazione dei toni dei nocciola giunge al volto brunito concentrato, gli occhi chiusi, assorto nell’attimo che precede il passo di danza. In essa si concentra la magia di un attimo di vita. Quella vita cosi bella di cui sembra brillare l’essenza nei chicchi d’uva di Henry Fantin Latour, anche nei grani  un po’ troppo maturi, più rossi e in alcuni parti tagliati  che come negli uomini  nel trascorrere del tempo  conservano comunque il colore  o meglio  la vivacità dell’esistere.

Patrizia Lazzarin, 25 ottobre 2019

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