Nomine, il rottamatore ha perso slancio

Matteo Renzi non ha quel tipo di sensibilità. Sembra selezionare i vertici di aziende, ministeri e istituzioni col criterio della fedeltà, possibilmente accompagnata da una propensione alla sudditanza. Anche i suoi slanci di rottamazione si sono fermati di fronte alla banale constatazione che non conosceva nessuno da mettere al posto dei rottamati. Nei cda di aziende partecipate dallo Stato con fatturati di miliardi ha piazzato uomini di fiducia, come il tesoriere della sua fondazione Alberto Bianchi, finanziatori tipo Fabrizio Landi in Finmeccanica, amici e sodali di vario genere. E ha ripescato pezzi di un establishment che, in teoria, il renzismo avrebbe dovuto cancellare, da Luisa Todini a Emma Marcegaglia a Gianni De Gennaro. I pochi elementi classificabili come “classe dirigente” tendono ad arrivare dalle relazioni internazionali di Marco Carrai, a sua volta amico, consigliere, privo di ogni ruolo pubblico (e dunque dei requisiti di trasparenza che ciò comporta). Un articolo di Stefano Feltri su il Fatto Quotidiano.

Renzi: rottamazione addio!

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