Le difficoltà di Palazzo Chigi

Il premier ha davanti a sè diverse opzioni: potrebbe cercare l’accordo con la dissidenza interna del Partito democratico oppure un’intesa, circoscritta ma aperta, con Forza Italia, affrancando il berlusconismo dall’abbraccio mortale con Salvini e offrendo all’opposizione un patto stabile su alcuni punti qualificanti, dalle riforme istituzionali alla riduzione delle tasse, che garantiscano un’andatura meno singhiozzante ad un governo che per andare avanti non può più contare sulla propria orgogliosa autosufficienza. In fondo Angela Merkel, che nella sua visita all’Expo si è mostrata cordiale con Renzi e con l’Italia, è addirittura a capo di una compagine di unità nazionale, e nulla potrebbe eccepire su intese leali tra forze diverse. Compensare la debolezza di una maggioranza con espedienti tattici è un’altra illusione. Operare scelte nette e coraggiose non dovrebbe essere difficile per un leader di rottura come Renzi.

La navigazione a vista di Renzi

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Matteo dominus nel Pd e re a Palazzo Chigi

È il doppio incarico (leadership del partito maggioritario e premiership) il principale baluardo della stabilità di governo e del quadro politico complessivo. È il cosiddetto modello Westminster (in Inghilterra il doppio incarico è la regola) che il cattolico liberale Alcide De Gasperi (1881-1954) e il moroteo Leopoldo Elia (1925-2008) volevano rendere «strutturale» per l’Italia. Non a caso, finita la stagione degasperiana, il modello Westminster ha lasciato il campo al modello quarta repubblica francese, caratterizzato da una conflittualità permanente e da una ingovernabilità proverbiale. Un editoriale di Giuseppe De Tomaso su La gazzetta del Mezzogiorno.

La forza di Renzi, il doppio incarico

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Matteo pugnala alla schiena Enrico e conquista Palazzo Chigi

Il premier continua a sostenere che il Paese è con lui. Ma l’Italia non è il 40,8% dei votanti, specie in un’elezione europea dove vota appena il 57,2% degli aventi diritto. Se gli regalassero un pallottoliere, Renzi scoprirebbe che anche nel suo momento di massimo consenso – fine maggio – ha preso meno voti di Veltroni nel 2008, quando il Pd sconfitto da B. totalizzò il 33,2. Così Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano.

Il dietro front di Renzi

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