Il rebus che agita le acque del Pd: meglio Renzi o Gentiloni?

Si avvicina la campagna d’autunno e in casa demokrat incomincia il posizionamento di molti parlamentari. C’è chi sostiene senza se e senza ma, le tesi del segretario Matteo Renzi, stra-vincitore delle primarie del Pd: con una legge elettorale per il Senato  che non si riesce (o, forse, non si uole) approvare si rischia di avere una legislatura senza una maggioranza predefinita e solida e, perciò stesso, inconcludente con certa ingovernabilità.. C’è chi, all’interno del partito ormai renzianizzato, vorrebbe introduzione di un premio di coalizione, abbassandone la soglia dal 40 al 35%, onde renderlo più raggiungibile. Che significa? Il probabile vincitore sarà, quasi certamente, il centrodestra che vede uniti la Lega Nord di Salvini, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il Pd non ha chance di valicare questa soglia. Il problema è che Renzi non ha assolutamente intenzione di discutere, prima del voto, di coalizioni. Le carte le vuole distribuire lui. E siccome, in cuor suo, è sicuro di non raggiungere il 40% superato alle europee del 2014 (quanta acqua è passata sotto il ponte di Palazzo Chigi!), allora pensa di poter stabilire degli accordi segreti (un’altra specie di Nazareno bis) proprio con il suo avversario più temuto. Che non è il M5S di Beppe Grillo ma Forza Italia. Per poter neutralizzare la ri-ascesa del mai morto (politicamente parlando) Silvio Berlusconi, ecco che un nuovo patto con il Sire di Arcore lo potrebbe confermare a Palazzo Chigi per la prossima legislatura, a condizione che conceda al centro destra tutta una serie di regalìe che faranno infuriare il popolo Pd: Nessuna legge sul conflitto di interessi, non si parlerà più di allungare i termini prescrizionali (l’unica e vera causa della lunghezza dei processi nel nostro Paese, in particolare quando si tratta di giudicare malversazioni e ruberie dei cosiddetti colletti bianchi). Che in Germania finiscono in galera ed in Italia no. Anzi, per la verità, affinché i processi vadano a sentenza in tempi decenti occorrerebbe che i termini di prescrizione venissero interrotti dopo una sentenza di primo grado. E’ sotto gi occhi di tutti che la situazione legislativa vigente consente solamente alle persone facoltose di sfuggire ai rigori della legge, tant’è che innumerevoli volte (non ultimo il caso dei Mastella-Lonardi gate) un processo dura talmente a lungo che, inevitabilmente, finivano in una bolla di sapone. Con sprechi incredibili di pubblico denaro. Sì, perché se dopo tanti anni un iter processuale con sentenze contradditorie di primo, secondo e terzo grado (vedasi anche il processo sulla strage di Brescia) finisce in vacca  non si può parlare di è giustizia bensì di mala-giustizia. E le responsabilità sono a vario titolo distribuite tra magistrati incompetenti, avvocati che determinano ad arte la durata di un procedimento (sempre più sovente ad esclusivo vantaggio non della giustizia ma dei protagonisti, con il portafoglio gonfio di denaro, delle diverse vicende giudiziarie. Responsabilità anche dei politici che elaborano misure legislative che consentono interpretazioni sempre più favorevoli ai colpevoli di alto lignaggio. Vedrete che una decente legge elettorale non la faranno, perché nessuno vuole cambiare lo stato dell’arte. Così lorsignori potranno sempre sostenere che le responsabilità della mancata modifica di una legge elettorale, l’abolito senza che mai sia entrato in vigore Italicum, sia il M5S, sia il Pd, sia Forza Italia, che non piace né a Matteo Renzi, né a Silvio Berusconi né ai pentastellati.  Il Pd non riesce a far emergere una proposta che possa mettere d’accordo un p’ tutti gli schieramenti politici. Questo perché pretende l’approvazione di una legge che possa privilegiare il partito di maggioranza relativa. Attualmente il partito di Matteo Renzi. Che però si trova ben lontano dalla soglia di quel 40% che gli consentirebbe di dettare ed imporre le regole del gioco. Quasi certamente il futuro governo non potrà su una maggioranza chiara, modello Macron, per l’incapacità di Matteo Renzi di coagulare intorno a sé una gruppo dirigente coeso e questo passaggio delicatissimo lascerà l’Italia in una situazione di stallo ancor peggiore di quella attuale.  Così sa bene. Anche non sta affatto bene al Paese. Ma molto probabilmente ai trafficanti del Palazzo C’è, a breve, l’appuntamento elettorale nell’isola di Angelino Alfano e quanto si sta prospettando (lo strano matrimonio d’interesse tra il centrosinistra ed il centrodestra) non presagisce niente di cristallino. Insomma, la confusione regna sia a Roma che a Palermo. L’Italia è nei guai. Seri. Serissimi. Ecco quanto scrive a proposito della crisi che attraversa il partito democratico su il Giornale Laura Cesaretti, solitamente ben informata delle trame dei palazzi romani:… “Renzi ha messo le dita negli occhi a tutti, si sta facendo terra bruciata all'interno, anche tra i suoi», assicurano gli avversari. Che non negano che l'obiettivo finale sia, al di là della legge elettorale, far saltare la segreteria di Renzi. «Bisogna mandarlo a casa prima delle elezioni». E si guarda alle elezioni regionali in Sicilia in novembre: Berlusconi punta a farne la prima tappa del percorso verso la vittoria alle Politiche, e il Pd teme di prendere una batosta. Che indebolirà inevitabilmente il Suo leader: è allora, si spiega, che potrebbe partire l'offensiva finale su legge elettorale e leadership, con sponsor di riguardo che potrebbero essere Prodi, Letta jr, Napolitano: «A quel punto molti si potrebbero svegliare, e cercare di salvare il salvabile. Se riuscissimo ad andare alle elezioni con un triumvirato Martina-Delrio-Gentiloni, con Paolo candidato premier, avremmo persino chances di vittoria», ragiona un parlamentare Pd. Il sogno, infatti, è quello di arrivare a staccare da Renzi pezzi da Novanta della sua maggioranza, a cominciare da Gentiloni. Per poi costruire un'alleanza con Pisapia: «Bisogna aiutarlo a staccarsi da D'Alema, dovrebbe essere il Pd a dargli una mano offrendogli la coalizione», ripetono gli orlandiani. Convinti che «Renzi vuole solo costruirsi un gruppo parlamentare di 120 fedelissimi nella prossima legislatura, sapendo che durerà pochissimo. E poi fare qualcosa di diverso dal Pd, come Macron». In casa renziana si attendono l'offensiva d'autunno, ma sono certi che «non avranno i numeri». Anche perché l'arma delle candidature è in mano al segretario, e a fine legislatura si trasforma in arma letale in grado di convincere i più riottosi. «E poi se tentano una manovra di Palazzo per far fuori, alla vigilia del voto, un segretario eletto da 2 milioni di cittadini, si suicidano», dicono.”  Visti i successi sul piano della crescita conseguiti dall’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni, che raccoglie tanti consensi, ebbene, la leadership del fiorentino Renzi è un po’ a rischio. Tutti fan buon viso a cattivo gioco, con il ministro dell’Interno che recita una sua parte, così il buon Gentiloni, mentre l’ex premier sta a guardare, preparando delle contromosse che non lo allontanino più .di tanto da Palazzo Chigi ma che gli consentano di riavvicinarsi quanto prima possibile. I successi del buon Paolo, purtroppo, lo tormentano assai. Avrebbe avuto più piacere acché il Paese ne invocasse il subentro subito. Così non è e così non sarà. L’Italia sembra abbia bisogno di una guida tranquilla non di un rottamatore che spara a salve e ha dimostrato un’evidente incapacità di far seguire alle parole (tante) i fatti, pochi. Anzi, pochissimi.

 

                                

Marco Ilapi, 19 settembre 2017

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Cresce la sfiducia nei nostri politici

Lo sguardo degli italiani è pervaso da sfiducia, verso un passato che non passa. E non cambia. Leader, partiti e anti-partiti. Sono tutti là in fondo. Salvini e la Lega, poco sopra il Pd. Vicino al M5s c’è Fi. In fondo a tutti, come sempre, Silvio Berlusconi. L’Uomo Nuovo degli anni Novanta. Il Capo. Oggi sfiora i confini dello spazio politico percepito dagli italiani. Quasi in-visibile. Non lontano, incombe Beppe Grillo. Ieri, il Nuovo contro tutti. L'analisi del politologo Ilvo Diamanti su la Repubblica.

Gli italiani non credono più ai politici

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Matteo 2, il ritorno del guerriero

Era ora che Renzi tornasse a far sentire la sua voce. Senza alcun tono polemico (l’abbiamo criticato numerose volte) il Paese aveva bisogno di una sua rentrée. Prima che lo colpiscano al cuore per davvero. La politica non perdona e PaoloGentiloni sta facendo di tutto per rimanere inchiodato a Palazzo Chigi fino alla naturale scadenza della legislatura, come gran parte dei parlamentari desidererebbe, non foss’altro per garantire a 608 baldi colleghi alla Camera ed in Senato al primo turno il diritto al vitalizio. Che spetta a chi abbia almeno 4 anni, 6 mesi e un giorno d legislatura alle spalle. Il bene dell’Italia non interessa a nessuno di lorsignori. Altrimenti avrebbero fatto  altre scelte. A Montecitorio ed a Palazzo Madama non c’è nessuno che possa ritenersi all’altezza di Matteo Renzi. Questo va detto. Il buon Mattarella non si sogna di combinare la sere di errori commessi dal suo infausto predecessore, Giorgio Napolitano. Autore di un colpo di stato ignorato dai media, ma stigmatizzato dai vertici del movimento berlusconiano. Silvio Berlusconi dava fastidio a tedeschi e francesi. La lettera della Bce a firma Jean Claude Trichet e Mario Draghi, gli ordini da seguire pedissequamente e senza discutere, lo spread che nell’estate del 2011 incominciava la sua corsa impazzita, tanto da far tremare i polsi a mezza Italia, l’inopinata ascesa a capo dell’esecutivo di Mario Monti, i primi provvedimenti lacrime e sangue del professore bocconiano, un Parlamento-tappezzeria, con responsabilità di tutti gli schieramenti politici del tempo, ebbene, on hanno portato a soluzione i problemi del Paese. Che si sono aggravati, con il debito pubblico che è schizzato a livelli insopportabili. Tanti sacrifici, Paese sempre più in ginocchio. La sciagurata prima presidenza di Napolitano aveva già nel 2010 costretto al rinvio delle elezioni che avrebbero potuto recare una nuova maggioranza, visto che il governo Berlusconi era in situazione di pre-collasso. E questo per approvare la legge finanziaria del 2011. Cosa nel frattempo è accaduto lo sappiamo fin troppo bene. Cambi di casacca, salti della quaglia, nuovi raggruppamenti politici che si formano e, poi, si disfano. La lite Fini-Berlusconi, il passaggio di esponenti del’Italia dei Valori nel gruppone dei “responsabili”. Per non parlare dell’incarico di governo prima ad Enrico Letta, poi al fiorentino Matteo Renzi. Ricordate “Enrico stai sereno?” Ancora Napolitano infausto protagonista. Sono trascorsi tre anni e l’Italia è sempre più in difficoltà  A nessuno viene in mente che se il governatore della Bce Draghi non avesse deciso (contrariando i tedeschi di Jens Weidsmen, titolare della Bundesbank) di procedere all’acquisto di titoli di stato italici non staremmo qui a discorrere né di Renzi, né di Boschi, né della Madia, perché l’Italia con lo spread a 500/600 avrebbe già dovuto portare i libri in Tribunale. Proprio come i greci di Alexys Tsipras.e subire la presenza della Troika a Palazzo Chigi. Queste considerazioni non dovrebbero sfuggire ai nostri governanti. Si chiamino Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi di Rignano sull’Arno e Paolo Gentiloni. Purtroppo la memoria dei parlamentari italici è molto corta ed essi fanno finta che “tutto va bene, madama la marchesa”. Ma non è così. Gli errori di Silvio Berlusconi. Avere cacciato di malo modo prima Marco Follini, poi Pier Ferdinando Casini ed, infine, Gianfranco Fini. Con il risultato meraviglioso di sfasciare il centro-destra. Che non si è più ripreso. La bulimia del potere ha colpito Silvio di Arcore. Con risultati non proprio esaltanti. Gli errori di Mario Monti. Avere inventato un partito, un suo partito, che si è miseramente sciolto dopo qualche tempo. Il professore aveva l’Italia in pugno. Deputati e senatori approvavano ogni suo atto, anche il più sciagurato, come la riforma Fornero. E’ assai probabile che se non si fosse presentato alle elezioni del febbraio del 2013, a maggio dello stesso anno sarebbe stato proclamato presidente della Repubblica in luogo di Giorgio Napolitano. Può essere anche che il M5S non avrebbe avuto quel grande successo che ha avuto. La musica, oggi, sarebbe stata suonata da altro direttore d’orchestra. Gli errori di Pierluigi Bersani ed Enrico Letta. Aver trattato il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio come dei parvenus della politica e non avere accettato le loro proposte con condivisione degli affari di governo, riconoscendo loro la dignità di parter di governo. Insomma, volevano i loro voti ma senza concedere nulla in cambio. Inaccettabile. Gli errori  di Matteo Renzi. Essere entrato a Palazzo Chigi da una porta secondaria, avendo pochi giorni prima garantito al premier Letta un fantastico “Enrico, stai sereno!”. Renzi, poi, una volta a capo dell’esecutivo ha incominciato a promettere cose meravigliose per tutti. Da bravo venditore di scatole vuote. In questo surclassando Silvio Berlusconi. Ovviamente non è riuscito nel proposito, mezza Italia lo ha sempre intuito, ma lui è andato avanti come se nulla fosse. Avesse improntato la sua linea di governo a combattere la corruzione, l’evasione fiscale (si calcola dai 120 ai 180 miliardi di euro che ogni anno sfuggono al signor Padoan), a diminuire conseguentemente  il peso del fisco e degli oneri previdenziali che rendono gravoso oltre ogni limite il costo del lavoro per le imprese, avesse aiutato le piccole e medie imprese italiche con programmi pluriennali anziché regalare pochi spiccioli a milioni di persone (ossia, a pioggia), probabilmente la situazione economica del Paese sarebbe stata un po’ meglio. Infine non avrebbe dovuto associare al governo il centro-destra di Angelino Alfano e, soprattutto, non avrebbe dovuto cercare di annientare la minoranza de suo partito. Con il risultato, alla Berlusconi (ricordate Fini a Silvio: “che fai mi cacci?), che il partito democratico non è più un partito democratico, ma un partito del capo che si è circondato di ex bersaniani e di ex dalemiani che hanno fatto il classico salto della quaglia. Pensate ad Alessandra Moretti, ai giovani turchi di Orfini e Orlando. Oggi Renzi pensa che si giunto il momento di rientrare in partita, prima che sia troppo tardi e finisca nel dimenticatoio della politica. Rischio che a suo tempo corse lo stesso Amintore Fanfani negli anni settanta. Fa bene Matteo a riprendersi la ribalta, però deve meditare sui suoi errori del passato recente. Se è (o sarà) uno statista vero, deve circondarsi di collaboratori capaci e non di yes men. Come purtroppo ha fatto fino al 4 dicembre. Incapponendosi su una riforma costituzionale pur necessaria ma pasticciata, facendo una riforma del lavoro che lascia i giovani in condizioni di estrema precarietà. Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato creato con il suo Jobs act è una bufala grande come una casa. Se il datore di lavoro ti può licenziare non appena cessano gli effetti delle contribuzioni, non sembra poi una grande trovata. Senza toccare l’argomento dei voucher, cresciuti a dismisura. Non è così che si governa. Come sarà il nuovo Renzi? Avrà capito la lezione che gli elettori italiani gli anno inferto? O vorrà seguire le orme di Silvio Berlusconi e dare un contributo decisivo per sfasciare il maggior partito del Paese, il partito di cui è ancora segretario? Il rischio è che a governare l’Italia possano per davvero essere i Salvini ed i pentastellati. Il successo di Donald Trump negli Stati Uniti, quello probabile di Geert Wilders in Olanda, di Marine Le Pen in Francia e con la prevedibile crescita di consensi in Germania del movimento di estrema destra Alternative für Deutchlanddi Frauke Petry. Il mondo è in subbuglio e solo leader credibili possono governarlo. Intanto la speculazione finanziaria gode nell’incertezza, perché è risaputo che chi detiene grandi capitali (i fondi di investimento, gli hedge fund) guadagna sempre, sia che i mercati finanziari siano effervescenti sia depressi. Pensate a quel che è accaduto quando c’è stata Brexit, con i titoli di banche e assicurazioni in flessione anche del 30% in pochi giorni (leggi Unicredit che ha segnato un - 23,79% e il giorno dopo un - 8,09%). Da suicidio per un povero risparmiatore, ma non per i finanziari d’assalto.

Marco Ilapi, 20 febbraio 2017

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