Come l’Italia può fare la sua parte nella competizione fiscale

Adesso in Bending Spoons, startup milanese che si occuperà su incarico del governo italiano di tracciamento del “Covid19, a lavorare sono centinaia, ma qualche anno fa erano una manciata di giovanissimi, tra cui degli italiani, che avevamo cominciato a creare app durante il loro Erasmus in Danimarca. Nel 2015 questi ragazzi, all’epoca ventenni, si sono stabiliti a Milano, invece che a Londra come spesso accade, spinti delle misure di attrazione di capitale umano e startup che l’Italia si era data. Bending Spoons è oggi una PMI Innovativa ed è una realtà tra quelle di maggior successo mondiale nel mondo delle app. Questa storia, molto conosciuta nel mondo del digital, spiega bene come delle politichepro crescita e pro sviluppo siano fondamentali per attirare talenti, capitale umano e quindi business. L’Italia per attrarre persone ad alto potenziale in questi ultimi anni ha fatto molto e si è adeguata alle normative che ci sono in diversi paesi europei, però si può sempre migliorare e si potrebbe pensare, anche per aiutare la fase di ripartenza post Covid-19, a due interventi. Il primo potenziando e semplificando l’uso dei visti per startupper e investitori. E poi si potrebbe migliorare il regime di tassazione per i titolari di pensioni estere se decidono di trasferirsi in Italia. Il regime esiste già, ma nella formulazione attuale prevede che si debba eleggere residenza in una piccola cittadina nel Sud Italia. Una limitazione che non rende questa norma sufficientemente competitiva di fronte a diverse normative simili di altri paesi europei. Aggiungere qualche migliaio di contribuenti ad alto reddito in Italia ha una valenza strategica, anche ai fini del gettito; in Italia chi dichiara più di 300.000 euro sono circa 35.000 persone (lo 0,1 per cento dei contribuenti). E a proposito di competizione fiscale tra Stati – ed è da sottolineare – nessuna delle normative “pro attrazione” approvate in Italia in questi anni è menzionata nella relazione finale sui reati finanziari, l’evasione e l’elusione fiscale che il Parlamento europeo ha adottato, in sessione plenaria, nel marzo del 2019. La relazione sottolinea l’urgente necessità di una riforma fiscale per rafforzare la lotta contro i crimini finanziari e la pianificazione fiscale aggressiva e, tra altre cose, rileva che sette paesi dell’UE (Belgio, Cipro, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Olanda) facilitano una pianificazione fiscale aggressiva. L’Italia non è citata – giustamente – perché le norme italiane di competizione fiscale sono pensate per situazioni che abbinano al vantaggio fiscale una vera sostanza economica o un effettivo trasferimento in Italia e prevedono, come regola, lo scambio di informazioni fiscali tra Paesi. Come scrive bene (e con esempi concreti) Andrea Silvestri ne “Il fisco che vorrei” (Franco Angeli) la competizione fiscale, quando all’interno di rapporti in buona fede tra contribuenti e Stati e tra Stati è un elemento di dinamicità necessario in un mercato così grande come quello europeo; anche all’interno degli Stati Uniti c’è una qualche forma di competizione fiscale tra Stati. Rendere competitivo il nostro paese nel attrarre business (e mantenere in Italia gli headquarters) deve essere quindi una ossessione del governo. L’economia del futuro sarà sempre più legata alla tecnologia e alla ricerca, e bisogna premiare, quindi, chi investe in questi settori. Un esempio di partecipazione, intelligente efair, alla competizione per attrarre investimenti qualificati in ricerca e innovazione è il piano Industria 4.0, che ha sicuramente rappresentato un cambio di passo in Italia nelle politiche di attrazione a vantaggio delle imprese. Soprattutto nella sua fase di lancio e prima che un intervento di ridimensionamento, miope a parere di chi scrive, producesse un rallentamento sul recupero delgapdi investimenti e di produttività che si stava materializzando. Industria 4.0 grazie a misure incentivanti sugli investimenti più qualificati in ricerca, brevetti, proprietà intellettuale ha permesso di abbassare iltax ratedi imprese che investono in attività ad alto rischio nel nostro Paese. Queste misure insieme al credito di imposta alla ricerca e sviluppo (R&S), al super e iper-ammortamento, piuttosto che ilpatent boxo la già citata normativa su startup e PMI innovative, hanno reso l’Italia competitiva permettendole di scavalcare diverse posizioni negli indici di attrattività internazionale. In Italia, come visto sopra per le persone fisiche, anche gli incentivi fiscali alle imprese sono stati indirizzati verso situazioni reali e attività economiche concrete, non si è cercato di dare copertura a schemi elusivi o senza sostanza. Così purtroppo non è sempre in Europa. Uno dei casi più noti è quello dell’Olanda. Divenuta famosa per i generosi accordi concessi dal fisco locale a favore di una serie di strutture fiscalmente aggressive e prive di sostanza economica. Basti ricordare l’uso della loro normativa volta ad attrarre marchi e brevetti concedendo una tassazione di estremo favore senza alcun controllo sull’effettivo trasferimento di attività economiche sottostanti (laboratori, attività di ricerca, spese). Oppure il così detto “Dutch Sandwich” conosciuto a livello mondiale perché utilizzato da moltibigdell’economia digitale. Questa struttura prevedeva l’utilizzo di una società intermedia olandese (da cui, appunto, il nome di “sandwich”) per veicolare un flusso di pagamenti provenienti da uno Stato UE. Questa società intermedia era per lo più priva di qualunque sostanza economica (personale, uffici etc.), ma il suo utilizzo consentiva di evitare la tassazione che lo Stato UE da cui venivano pagati i flussi avrebbe imposto se i pagamenti fossero stati effettuati direttamente nei confronti dell’effettivo beneficiario, tipicamente una società residente in un paradiso fiscale. Per i contribuenti, quindi, un grande risparmio fiscale a fronte di un piccolo costo in termini di imposta olandese, grazie appunto al generoso accordo con il fisco locale. Per gli altri Stati come l’Italia, invece, una significativa perdita di gettito. Per l’Unione Europea nel suo complesso, un danno netto, perché a fronte del piccolo maggior introito fiscale dell’Olanda gli altri Stati subivano perdite di gran lunga più elevate. Nel mondo si assiste da molti anni a una competizione tra Stati anche sul piano fiscale, e non avrebbe senso che l’Italia non partecipi; avere delle norme di attrazione che funzionano bene e hanno successo, nel pieno rispetto competizione leale tra stati e con adeguati scambi di informazione, è l’unico modo che il nostro paese ha per poter incidere in Europa quando si parla di questi temi. Il punto di arrivo è che si realizzi, in un paio di lustri, una fiscalità europea più coordinata ed omogenea.

Stefano Firpo e Andrea Tavecchio – Il Foglio – 22 aprile 2020

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Evitare l'infezione economica_1

Sfruttare al meglio un “contesto europeo favorevole”, utilizzando finalmente bene, e non come avvenuto in passato, la flessibilità. E’ questo l’appello che l’economista Veronica De Romanis lancia al governo italiano. “Che, prima di tutto, dovrebbe fare i conti. E ricordare che noi spendiamo circa 20 miliardi per quota 100, reddito di cittadinanza e 80 euro: tutte misure che non hanno un impatto positivo sul pil e sull’occupazione, e non vanno neppure alle categorie più penalizzate che sono i giovani e le famiglie con minori a carico”. Ebbene, “l’Europa dopo alcune gaffe si è mossa bene. La Commissione ha sospeso il Patto di stabilità, concedendo così ai vari paesi di spendere di più senza violare alcuna regola. La Bce ha lanciato un programma di Quantitative easing potenziato, che ammonterà nel complesso a circa mille miliardi. E poi c’è il Mes che, nel caso venisse attivato, può andare incontro ai paesi in difficoltà o magari a tutti gli stati dell’Eurozona, a seconda di come evolverà la discussione tra i vari governi. Ma del resto, già prima della crisi del Covid-19 c’era la possibilità di sforare il Patto di stabilità attraverso la concessione di flessibilità: e l’Italia ne ha chiesta più di tutti, circa 30 miliardi. Eppure non l’abbiamo utilizzata per fare investimenti intelligenti. Tre dati su tutti. In previdenza spendiamo il 16,3 per cento del pil, a fronte di una media europea del 13,1; in Sanità 6,5 per cento contro il 9 europeo; nella politiche sociali 5,3 per cento a fronte del 7. Insomma, una situazione favorevole già c’è stata in Europa e non abbiamo saputo sfruttarla al meglio. Ora che questa situazione è molto più favorevole, speriamo che il nostro governo sappia farne il miglior uso possibile”. Veronica De Romanis, economista

Riconvertire il lavoro e la produzione"

Tra i tanti pericoli che questa crisi sta producendo, Guido Tabellini ne sottolinea uno, in particolare. “E’ importante notare che il sistema bancario dovrà subire delle perdite in questa circostanza”, dice l’economista, già rettore dell’Università Bocconi di Milano. “Ed è dunque importante che il capitale delle banche venga preservato, e perciò sarebbe opportuno bloccare subito i dividendi delle banche, che devono tenere tutte le risorse al loro interno”. In secondo luogo, “in un’ottica di emergenza di breve periodo va facilitata una piccola o grande riconversione del lavoro e della produzione verso quei prodotti che oggi sono più scarsi e più importanti, dalla logistica ai materiali sanitari. E in questo processo, imprese e lavoratori vanno spinti sul sentiero della riconversione, laddove possibile, perché se si tratterà, come speriamo, di un’emergenza di non lungo periodo. E non è detto che ci sarà la convenienza immediata delle imprese o dei singoli lavoratori di spostarsi verso attività che però sono fondamentali per affrontare la crisi dei prossimi mesi”. E dunque, “non solo sostenere i redditi, ma anche spingere l’attività produttiva verso gli impieghi essenziali”. Guido Tabellini, economista

Adesso che siamo tutti keynesiani, proviamo a essere keynesiani intelligenti

“Siccome quando la casa brucia diventiamo tutti keynesiani, proviamo almeno a essere keynesiani intelligenti”, dice Andrea Tavecchio, imprenditore ed esperto di politiche fiscali, tema su cui è stato in passato anche consulente del governo italiano. “E allora propongo due esempi: uno di best practice, americano, l’altro, di segno opposto, italiano. Quello positivo, per primo. Il sindaco di Chicago e il governatore dell’Illinois capiscono che sta arrivando lo tsunami del Covid-19, e capiscono anche che nelle loro équipe non ci sono competenze adeguate per reagire all’emergenza. Allora chiamano a collaborare col comune e con lo stato alcuni professori, degli esperti e dei think tank affidando a ciascuno un compito specifico: dalla riorganizzazione del lavoro pubblico, riducendo al minimo i contatti sociali, a quella del market place che possa funzionare anche in caso di lockdown. E poi, tra le altre cose, si sono chiesti come evitare che i senzatetto diventassero dei diffusori involontari del virus. E così hanno deciso di fornire dei voucher alle Ong che aiutano queste persone, permettendogli di comprare così delle notti tramite Airbnb o Booking.com, comunque in un’ottica di mercato”. Poi c’è l’esempio negativo. “Ed è il caso del dpcm emanato il 22 marzo, dove è stato utilizzato il codice Ateco per definire quali attività chiudere e quali mantenere aperti. E questo ha creato per gli addetti ai lavori una serie di dubbi incredibili, anche perché quei codici Ateco sono nati decenni fa per puri fini Istat, e molto spesso non hanno una vera correlazione con le attività che vengono svolte dalle imprese, e soprattutto non sono in grado di mappare le varie filiere, che dovevano essere salvaguardate nella loro integrità. Sarebbe stato molto più facile ed efficiente, anziché usare i Codici Ateco, utilizzare i dati che l’Agenzia delle entrate ha già. Perché, grazie alla fatturazione elettronica, le filiere sono già perfettamente conosciute, perché chi emette e chi riceve fattura viene mappato. Per cui, con una precisione granulare straordinaria, si sa già quali sono le catene del valore in Italia”. Andrea Tavecchio, libero professionista

Valorizzare il sistema scolastico, anche nell’emergenza

Di “scienza e coscienza”, ha voglia di parlare Elsa Fornero. Che ammette: “Sì, io ho paura, per questo virus”. E però, “di fronte alla paura”, l’economista torinese, già ministro del Lavoro, dice di “cercare sempre, ogni giorno, di alimentare un po’ la fiducia con quell’ottimismo della ragione che oggi è quanto mai necessario. E la trovo, questa fiducia, nella grande abnegazione di tutti coloro che si occupano di salvare vite umane, qualche volta senza i necessari dispositivi: medici, infermieri, tutto il personale sanitario. E poi la Protezione civile e le forze dell’ordine. Ma anche la grande generosità degli italiani che continuano a donare per sostenere questo sforzo. Tutto ciò nasce da quello che possiamo chiamare coscienza, civica o religiosa che sia”. Venendo invece alla scienza, “qui le note si fanno dolenti”, dice Fornero. “Senza scienza e conoscenza non è possibile alcun progresso. Ma forse noi, in questi ultimi anni, non ci siamo sufficientemente convinti del valore della scienza, ma ci siamo anzi avvicinati a quella società di scienziati improvvisati alimentata da quegli slogan del tipo ‘uno vale uno’ oppure ‘questo lo dice lei’. La scienza e la conoscenza riconoscono il valore della prudenza e della lungimiranza, sanno la difficoltà di trovare soluzioni a problemi complessi”. “Mi ha fatto molto piacere sentire il ministro Gualtieri dire che nessuno verrà lasciato solo di fronte al rischio di perdere il lavoro. Ma avrei voluto sentire la stessa determinazione, da parte del governo e del ministro dell’Istruzione, nel garantire che nessuno scolaro sarà lasciato solo in questa circostanza, rispetto a quello che è il dovere della continuità pedagogica e didattica che uno stato ha. E allora non è possibile che a più di un mese dall’inizio dell’emergenza ci siano ancora un milione e mezzo di bambini che non sono stati raggiunti dall’insegnamento a distanza. E sappiamo tutti che questi sono i figli delle famiglie più disagiate, emarginate e povere. E sappiamo anche che l’origine della disuguaglianza comincia dai primi anni della vita, e non si può pensare di risolverla solo con rimedi più tardi. Bisogna cercare di realizzare il livellamento del terreno di gioco, ma ciò avviene solo quando il sistema scolastico è davvero valorizzato”. Elsa Fornero, ex ministro del Lavoro del governo Monti

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