L’incontro Calenda-Meloni è un raro caso di buona politica

Terzo Polo parla con Giorgia Meloni. Dov'è lo scandalo?

Siamo una democrazia parlamentare e il Parlamento dovrebbe servire, come dice la parola, a parlarsi. A dichiarare la propria linea politica e a confrontarsi sul merito delle questioni con l’obiettivo di convincere alleati e avversari della bontà delle proprie proposte legislative (...) Luigi Einaudi, che dall'esilio, nel 1939, agognava una democrazia parlamentare basata sulla "discussione" e sul "compromesso" in cui le forze di opposizione onorano la propria funzione se e quando riescono anche solo a "modificare la dizione di un articolo" o a "far introdurre un nuovo comma" in una leggeIl commento di Andrea Cangini su Formiche.

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Facciamo le riforme istituzionali

È chiaro che abbiamo un problema strutturale che pregiudica la capacità dei governi di governare e che rende ingestibili per via ordinaria le periodiche crisi congiunturali (...) Si presenta in questa fase al Parlamento e a Mario Draghi un'occasione storica simile, e potrebbe essere l'ultima: l'occasione di modernizzare lo Stato italiano. Non coglierla sarebbe imperdonabile. Le proposte di Andrea Cangini su Huffington Post.

Per una rinascita necessarie alcune riforme

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Meglio distante che latitante

C’è spazio per una democrazia senza partiti? Può sopravvivere una Repubblica senza il suo Parlamento? Yes, we can, direbbe Obama. E questa crisi ce ne sta offrendo la prova. Perché i partiti sono scivolati dietro le quinte della scena pubblica, hanno perso via via ogni capacità d’elaborazione e di proposta, mentre risuona la voce del premier, dei governatori, dei sindaci, di tutte le istituzioni monocratiche. E perché il Parlamento si è messo in quarantena: prossima seduta il 25 marzo, uno stop di due settimane.

Diciamolo: è una brutta notizia. Qualcuno, in futuro, potrebbe trarne spunto, trasformando il precedente in un dato permanente. Ma siamo poi così sicuri che l’emergenza giustifichi l’eclissi delle assemblee parlamentari? E dei Consigli regionali, provinciali, comunali, perfino delle assemblee di condominio?

Davvero l’amministratore può decidere senza consultare i propri amministrati? Nella Costituzione di Weimar, stracciata poi da Hitler, c’era una norma di questo tenore: l’articolo 48, che consegnava al presidente del Reich il potere di sospendere le libertà fondamentali.

Anche la Costituzione francese (articolo 16) permette al presidente d’adottare «le misure richieste dalle circostanze», nessuna esclusa. Ma quella italiana no, non lo consente. La nostra Carta custodisce l’ambizione, o forse l’illusione, d’assoggettare lo stato d’eccezione alle regole dello Stato di diritto. E la prima regola è proprio questa: il primato delle assemblee legislative. Presidio di democrazia anche durante le fasi emergenziali, come ha detto il presidente Fico, ieri su Repubblica.

Da qui la riserva (assoluta) di legge, che protegge un po’ tutte le libertà costituzionali. Significa che è lecito, ad esempio, restringere la libertà di circolazione e di soggiorno per motivi sanitari; però la decisione spetta al Parlamento, l’unico luogo delle nostre istituzioni abitato dall’opposizione, oltre che dalla maggioranza. Da qui, in secondo luogo, lo speciale trattamento del decreto legge, ossia dello strumento normativo concepito per fronteggiare le emergenze. È il governo a scriverlo, poiché l’urgenza reclama soluzioni rapide; tuttavia le Camere devono convertirlo in legge entro 60 giorni, altrimenti il decreto perde ogni efficacia. Da qui, infine, la responsabilità della scelta più estrema, dell’emergenza più drammatica: la guerra. Il capo dello Stato la dichiara, il governo ne gestisce l’andamento, ma la scelta fra pace e guerra ricade sulle assemblee parlamentari, dice l’articolo 78 della Costituzione.

Sennonché il paesaggio normativo di questi giorni è di tutt’altro stampo. Gli interventi che hanno murato gli italiani dentro casa sono giusti, però viaggiano su un veicolo sbagliato, a guardarlo con gli occhiali dei costituenti: il Dpcm. Significa decreto del presidente del Consiglio dei ministri, dunque un regolamento, un atto solitario del premier, sia pure circondato da una serie di pareri. Eppure fin qui ne sono stati adottati 7 (e 3 decreti legge). Mentre il Parlamento è zitto, muto come un pesce. Non una mozione, una risoluzione, una direttiva per orientare le decisioni del governo. Autoriduzione del numero dei votanti, quando c’è stato da approvare lo sforamento di bilancio. Infine tutti a casa: Camere chiuse per coronavirus.

Ma la democrazia non è un negozio, ha osservato Luigi Zanda (Pd). E i parlamentari — ha aggiunto Andrea Cangini (FI) — non danno il buon esempio disertando, bensì continuando a lavorare. Hanno ragione, tutti e due. Anche perché le Camere dovranno quantomeno convertire in legge i decreti varati dal governo. Qualcuno suggerisce tuttavia di lasciarli decadere, tanto il Consiglio dei ministri può sempre riproporli tali e quali, rispolverando una vecchia prassi castigata poi dalla Consulta. Altri consigliano d’accorparli in un superdecreto, in modo che il Parlamento venga scomodato una volta soltanto. Mezzucci, espedienti di bassa lega. Se messi in opera, finirebbero per certificare l’irrilevanza delle Camere.

C’è uno strumento, viceversa, che anche in questo tempo eccezionale può rinvigorirle: il voto telematico.

Vero, la Costituzione (articolo 64) richiede la «maggioranza dei presenti» per la validità delle delibere di Camera e Senato. Però già adesso i parlamentari in missione vengono conteggiati fra i presenti. Sono presenti — sia pure dietro lo schermo d’un computer — gli studenti che ricevono lezioni online, così come i parrocchiani che ascoltano la messa in streaming. Il voto a distanza è in uso, per esempio, presso il Parlamento catalano. E l’ultimo decreto legge del governo permette ai Consigli comunali e provinciali di riunirsi in videoconferenza. Faccia lo stesso pure il Parlamento: meglio distante che latitante.

Michele Ainis – la Repubblica – 19 marzo 2020

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