Il ritratto veneziano dell’Ottocento

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L’Ottocento veneziano nei volti degli esponenti  del mondo dell’arte, della cultura e della società dell’epoca ritorna ad animare nei “suoi colori e tonalità”, le sale dell’antico edificio di Ca’ Pesaro. L’esposizione che si apre nel nobile palazzo, il 21 ottobre, restituisce la temperie sentimentale e ideale di un secolo nella sua declinazione veneziana, legando l’arte del periodo all’illustre tradizione figurativa del passato di quest’area geografica. Vesti, sguardi, espressioni e atteggiamenti dei personaggi raffigurati danno la misura di un tempo che sembra tornare presente.

Quasi potremmo, con un po’ di fantasia, far scendere quelle dame  e quei signori: nobili e borghesi, bambini e giovani fanciulle fuori dal quadro, fra noi, a raccontarci quello che stanno facendo mentre noi li osserviamo, curiosi di cogliere quell’attimo di vita racchiuso nel quadro che diventa cosi teca di un soffio di respiro. L’Ottocento è un secolo che vede avanzare e concludersi in Italia, come in altri paesi, il processo di unificazione ed è il tempo, nelle lettere e nelle arti, del Romanticismo, del Realismo e poi ancora di tutti i movimenti fin de siècle.

Un secolo popolato da liberali e patrioti, rivoluzionari e reazionari che la mostra Il Ritratto Veneziano dell’Ottocento, a cura di Elisabetta Barisoni e Roberto De Feo, ripercorre mostrandoci i volti e le opere dei suoi protagonisti. L’area interessata dall’esposizione è quella del Triveneto, del Friuli e del Trentino ed essa  rappresenta un’occasione per una valutazione delle collezioni ottocentesche presenti nei musei che sono stati coinvolti nel progetto. Padova, Vicenza, Bassano del Grappa, Pordenone, Trieste, Trento, Rovereto, Treviso e Belluno sono i luoghi delle istituzioni interessate dai prestiti e dagli studi, ma sono anche, nello specifico, i luoghi di provenienza degli autori esposti nella grande mostra che esattamente un secolo fa apriva a Ca’ Pesaro con la curatela del primo direttore della Galleria, Nino Barbantini e che trattava lo stesso tema e aveva lo stesso titolo.

Fu  una rassegna che ottenne un grande interesse da parte della stampa, della critica e del pubblico e, con un numero importante di opere esposte: 241 creazioni di 50 artisti, fra cui si contavano pittori, scultori e miniaturisti, vissuti un arco di tempo che decorreva da inizio di quel secolo con Teodoro Matteini e si concludeva con Giacomo Favretto.

Barbantini, scrive la curatrice Elisabetta Barisoni, nel catalogo della mostra edito da  Officina Libraria, si impegnava a costruire una «cosmogonia» ottocentesca che potesse ricucire il discorso dell’arte nel territorio veneto e legarlo alla grande rivoluzione pittorica francese. Anche lui, come i numerosi e autorevoli critici che si occupavano di Ottocento negli stessi anni, tra i quali Emilio Cecchi, Enrico Somaré, Ugo Ojetti e … Sarfatti, legava l’arte del XIX secolo alla modernità, cercando di interpretare l’Ottocento, talvolta con forzature, alla propria narrazione del presente, come atto di politica culturale, di schieramento critico.

 Questo impegno rivive nel prezioso e lungo lavoro di ricerca condotto dai curatori della rassegna oggi visibile e che ricostruisce l’allestimento e il catalogo della storica esposizione.  Sono state rintracciate ben 166 opere dei 52 artisti  della mostra originale, ora conservate in Musei e collezioni su tutto il territorio nazionale. A questo si aggiungono nuove scoperte che hanno permesso differenti attribuzioni, con 11 nuovi autori riconosciuti.

Fino al 1° aprile 2024 il nostro sguardo potrà incrociare, attraverso le opere, quello di grandi artisti come Hayez, Matteini, Lipparini, Grigoletti, Molmenti e Schiavoni: autori che a Venezia avevano vissuto e si erano formati. I loro occhi hanno osservato e le loro dita hanno dipinto le persone che li attorniavano. Riemergono ora come patrimonio di immagini di famiglie, di intellettuali, di patrioti e di artisti fra cui ci scoprono anche donne. Fra di loro ricordiamo Giulia Schiavoni Sernagiotto ed Elisa Benato Beltrami.

Patrizia Lazzarin , 20 ottobre 2023

 

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Margherita Sarfatti, una donna celata dalla storia

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Sono aperte ben due mostre al Museo del Novecento, a Milano ed una al Mart di Rovereto, con protagonista Margherita Sarfatti: una donna del suo tempo, un’icona sfaccettata come appare nell’immagine simbolo della mostra che ne riassume la vita e i meriti culturali. La Sarfatti è  stata una figura  che ha disegnato come imprenditrice culturale e critica d’arte  nuovi ruoli  per il genere femminile, proprio quando  si stava delineando un  sistema dell’arte moderno. Margherita  vive in un  momento storico caratterizzato da grandi rivolgimenti sociali e da uno sviluppo economico straordinario. Un’epoca di  cambiamenti potremmo dire epocali come può ben essere evidenziato,  nei quadri degli artisti di quegli anni, dove vediamo come le innovazioni tecnologiche,  dai tram agli aeroplani, trasformino il paesaggio  non solo terrestre, ma anche la vista  del cielo ostacolata  ora anche dalle superfici estese degli edifici industriali, sempre più numerosi. Cambiano le città e i loro colori:  i grigi e i marroni contrastano con il verde degli alberi, soprattutto a Milano dove vive e opera la protagonista delle due nuove mostre che si sono aperte, in questi giorni, al Museo del Novecento, nel capoluogo lombardo e al Mart di  Rovereto. Esse costituiscono un’occasione  per comprendere l’importanza di questa intellettuale, poco nota  in rapporto al ruolo potremmo definire  caleidoscopico svolto come giornalista, critica,  curatrice di mostre d’arte e divulgatrice dell’arte italiana nel mondo.   La sua notorietà  come “l’amante del duce” l’ha condannata alla damnatio memoriae. La mostra nel capoluogo lombardo:  Segni, colori e luci a Milano, curata da Anna Maria Montaldo, Danka Giacon e con la collaborazione di Antonello Negri,  ha il merito di mettere in evidenza attraverso il percorso biografico della Sarfatti l’ambiente culturale dell’epoca e soprattutto  fa conoscere in modo più ampio, grazie ai novanta quadri esposti,  gli artisti del gruppo Novecento di cui  Margherita era  l’anima critica. La giornalista era nata  nel 1880 a Venezia da una ricca famiglia ebrea, i Grassini, e fin da giovane aveva frequentato Antonio Fogazzaro e Guglielmo Marconi, conosceva la regina Elena e il futuro papa Pio X. Segni colori e luci. Note d’arte è il titolo che compare sulla copertina della sua pubblicazione del 1925 in cui si leggono le sue idee sull’arte e le sue predilezioni.  C'è un invito nello scritto  alla sincerità dell’operato dell’artista che sacrifica  per questo l’orpello e ama la solidità delle forme e le costruzioni armoniose.  Sobrietà e rinunzia all’effetto facile dovrebbero essere gli strumenti e gli obiettivi dell’artista: belle le semplificazioni formali che non rinunciano alla monumentalità e alle citazioni classicheggianti.  Appartiene alla Sarfatti questa affermazione: più l’artista è classico e meno incapperà in classicismi. Buona parte delle correnti pittoriche nell’immediato primo dopoguerra si erano allontanate dalle dissacrazioni avanguardiste per un’arte più leggibile attraverso iconografie  tradizionali e forme più chiare. Nella sua abitazione di  Milano, in Corso  Venezia  al civico 93,  la critica d’arte riuniva letterati, come d’Annunzio e Ada Negri, futuristi come Marinetti, Carrà, Russolo e Boccioni e in particolare quei sette  pittori che faranno parte della prima  formazione di Novecento: Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Emilio Malerba, Piero Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi.

Pittori con diverse esperienze: Dudreville, Funi e Sironi avevano sperimentato le tecniche dell’arte futurista, Oppi e Marussig portavano nella loro pittura la ricchezza del mondo mitteleuropeo e il marchigiano Bucci, anche scrittore,  era una personalità complessa ricca di spunti differenti provenienti  dalla relazione con correnti artistiche diverse.  Lo stile  Novecento avrà il suo battesimo ufficiale  a Venezia alla Biennale del 1924 che sarà anche l’occasione per una teorizzazione critica del programma artistico da parte di Margherita Sarfatti. L’esposizione di Rovereto che, come quella di Milano rimarrà aperta dal  21 settembre 2018 al 24 febbraio 2019, è nata su progetto di Daniela Ferrari  a cui hanno collaborato Ilaria Cimonetti e i ricercatori dell’archivio del ’900 del Mart e  pone, in primis, sotto la lente d’osservazione  il   ruolo di Margherita come divulgatrice all’estero dell’arte di Novecento italiano.  Le mostre curate in Francia, Germania, Olanda, Ungheria, Svizzera, Scandinavia, Argentina e Uruguay hanno un eco temporale  nei quadri esposti  ora,  in mostra a Rovereto e che erano stati esibiti allora nelle grandi città europee. La mostra della Biennale del 1924 segna la fine del gruppo di Novecento e apre alle nuove vicende di Novecento italiano che esporrà alla Permanente  e a cui sarà dato ampio risalto nella stampa. E’ significativo l’invito di partecipazione inviato a centottanta artisti per comprendere le dimensioni dell’iniziativa. Sarà proprio questo successo a spingere Margherita Sarfatti e i membri del Direttivo di Novecento Italiano che comprendeva personaggi di spicco del mondo politico e culturale, a progettare una serie di mostre all’estero negli anni dal 1926 al 1932, con la finalità di individuare e consolidare lo stile di questo movimento artistico inteso come quello italiano per eccellenza. Molti critici ed intellettuali a partire da Ojetti   e  da Lino Pesaro, sostenuto quest’ultimo  da Farinacci nelle pagine di Critica Fascista, mireranno però a demolire questo mito. Contrasti  innumerevoli che portano progressivamente ad emarginare la Sarfatti dai ruoli direttivi e di prestigio e culminano con il suo esilio  dopo la promulgazione nel 1938  delle leggi razziali in Italia. La figura di Margherita Sarfatti evoca un’età drammatica della storia d’Italia. Come una falena che ha corteggiato pericolosamente il fuoco, il rapporto con il fascismo e la vicinanza a Benito Mussolini sono state – per usare un suo stesso titolo – la colpa – che però le ha garantito di esercitare i propri talenti  e di rimanere al centro della politica culturale del Paese in un’epoca in cui difficilmente si è potuto distinguere una dimensione dall’altra.  Queste parole di presentazione  al catalogo della mostra del direttore del Mart, Gianfranco Maraniello, sintetizzano in maniera efficace la parabola di questa donna che è stata amica di Anna Kuliscioff, di Ersilia Bronzini, fondatrice de L’Unione Femminile e di Angelica Balabanoff: donne di spicco per i loro meriti sociali e politici nel panorama italiano. E’ stata una madre che  ha perduto il figlio Roberto di diciassette anni nel primo conflitto mondiale. Lo scultore Adolfo Wildt, che aveva ritratto nel marmo il marito Cesare da giovane, fu il disegnatore del monumento funebre di Roberto. Importante è stato per la costruzione della mostra l’acquisto da parte del Mart di Rovereto dell’intero Fondo di Margherita Sarfatti , che era stato conservato con cura dalla stessa critica d’arte e poi dalle eredi. Un unico catalogo edito da Electa ha seguito il progetto unitario delle due istituzioni il Mart di Rovereto e il Museo del Novecento di Milano. L’architetto Mario Bellini che ha curato il particolare allestimento dell’esposizione milanese ha elogiato nel corso della conferenza stampa l’opera significativa delle due istituzioni citate, nell’attività di ricerca, obiettivo questo primario perché i musei siano realtà vive.

Patrizia Lazzarin

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