Il pittore delle lune

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Il pittore delle Lune, lo definì simbolicamente Gabriele D’Annunzio, amico dell’artista, riferendosi a Mario De Maria di cui si è inaugurata ieri  la rassegna al Museo Ottocento Bologna, nella città delle Due Torri. Elena di Raddo, una delle curatrici dei testi del catalogo lo “racconta”, cogliendo uno dei temi centrali della pittura di questo artista, di cui lo stesso titolo dell’esposizione, Mario De Maria, “Marius Pictor” (1852-1924). Ombra cara, contiene l’ispirazione.

 Osservando l’intero corpus della sua pittura, Mario de Maria, … “il pittore delle lune”, potrebbe anche essere chiamato “pittore delle ombre”. L’ombra è un aspetto ricorrente nei suoi dipinti, sia nelle opere narrative, sia in quelle paesaggistiche che descrivono i dintorni di Bologna e la campagna romana, i paesaggi tedeschi della brughiera di Brema e gli scorci di Venezia.

 È nell’ombra che la pittura si anima, è qui che prende forma il significato nascosto dei suoi paesaggi. Nell’oscurità proiettata dalle fronde degli alberi, dai tavoli di un’osteria o dai muri spessi di antichi edifici si intravvedono personaggi, animali o oggetti inanimati, affiorano pennellate che danno corpo al pensiero dell’artista di fronte alla natura. L’ombra è nella pittura di De Maria la metafora del pensiero, dell’Idea, che sottende tutta la sua ricerca, in particolare quella più matura.

Il  ruolo di De Maria nel mondo dell’arte si definisce, in particolare, per essere stato uno degli istitutori della Biennale di Venezia che venne decisa dall’amministrazione comunale il 19 aprile 1893. Nel consiglio comunale del 30 marzo 1894 vennero assunte le prime decisioni tra cui riservare una sezione dell’Esposizione anche agli artisti stranieri (su suggerimento del nostro). L’artista fece parte della Sottocommissione artistica della istituenda Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, fu poi il creatore del primo Padiglione dei Giardini e vi  espose, ogni anno, fino alla morte.

La rassegna mette insieme per la prima volta un nucleo consistente di opere del pittore e architetto, circa 70, tra capolavori, inediti e opere ritrovate e appositamente restaurate dal Museo Ottocento Bologna. Esse provengono da prestigiose istituzioni museali italiane (Gallerie degli Uffizi di Firenze, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, Galleria d’Arte Moderna di Milano) e da collezioni private nazionali e internazionali.

È una mostra antologica  che osserva   la produzione di De Maria per  approfondire il singolare percorso dell’artista, uomo complesso e tormentato, sodale di Gabriele D’Annunzio e  padre del “Simbolismo italiano”.

Il percorso dell’esposizione si articola in sette sezioni che ripercorrono la sua vicenda artistica e biografica. Il pensiero dell’artista si ricava dalle sue lettere manoscritte inviate all’amico Vittore Grubicy de Dragon e oggi conservate presso l’archivio Grubicy del Mart di Rovereto e  nell’archivio De Maria presso la Biblioteca del Museo Correr di Venezia.

Attraverso esse, il visitatore potrà farsi un’idea della personalità dell’artista, sempre in conflitto con se stesso e con gli altri, ma al tempo stesso “raffinato e onesto critico della sua opera”,  scrive la studiosa e curatrice Francesca Sinigaglia nel catalogo. Il critico d’arte e artista Vittore Grubicy de Dragon nel 1909 dirà di lui:«Gli artisti “a lui solo dedicati”, anche con lustro di illustrazioni, si contano a decine con un accordo non solito nel nostro paese. Ne risulta in sostanza che al momento attuale dell’Arte Italiana non v’è nessun altro pittore che possa venir anteposto a Lui»

Sono trascorsi cent’anni dalla morte del pittore avvenuta nel 1924. Egli era nato nel 1852 a Bologna e qui frequentò l’Accademia di Belle Arti per poi trasferirsi a Roma, dove aprì uno studio in via Margutta, nel palazzo Dovizielli,  dove c’erano  gli studi di Nino Costa  e Vincenzo Cabianca. Fu tra gli animatori del gruppo In Arte Libertas, che aveva tra i suoi membri, gli artisti più conosciuti in ambito internazionale di quel periodo: Giulio Aristide Sartorio, Dante Gabriel Rossetti e Arnold Böcklin. All’esperienza romana  si lega la commissione dell’illustrazione dell’Isaotta Guttadauro di Gabriele D’Annunzio.

Nel 1891 si trasferì a Venezia assieme a l’élite culturale italiana del circolo dannunziano con cui maturò l’idea della Mostra Internazionale d’Arte di Venezia. Nella città lagunare ebbe la possibilità di portare avanti le sue ricerche pittoriche legate al Simbolismo. De Maria si spostava spesso da Venezia a Brema, in Germania  poiché la moglie Emilia Voigt era tedesca ed ebbe così  l’occasione di approfondire la conoscenza dell’opera di Rembrandt da cui trasse suggestioni. In questo periodo si colloca inoltre la triste vicenda familiare della morte della figlia Silvia, di soli sei anni. De Maria non si riprenderà mai completamente dal lutto, arrivando a sperimentare, nelle sue opere un Simbolismo dai risvolti sempre più macabri e drammatici.

La declinazione di tale movimento artistico di Mario De Maria va comunque compresa  tenendo conto dell’ambiente culturale italiano proprio del periodo che va dagli ultimi due decenni dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento, che  stabiliva connessioni tra  le rievocazioni storiche e mitologiche e il divino.  Ricordiamo De Maria poi per la costruzione  della casa dei Tre Oci alla Giudecca,  dove si era  ispirato per il nome, al numero  dei suoi tre figli.

La mostra che sarà aperta al pubblico fino al 30 giugno,   è compresa  all’interno del progetto espositivo: La pittura a Bologna nel lungo Ottocento | 1796-1915, promossa da Settore Musei Civici Bologna |Museo civico del Risorgimento e a cura di Roberto Martorelli e Isabella Stancari, che coinvolge quattordici sedi oltre a quella del Museo Ottocento Bologna.

Patrizia Lazzarin, 23 mazo 2024

          

 

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Diva d'acciaio

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Tamara de Lempicka, l’artista polacca che ha saputo ritrarre con il suo pennello  donne dalle forme sensuali e conturbanti trasformandole in icone, una femminista ante litteram nelle scelte di vita e protagonista nella vivace Parigi degli anni Venti e Trenta del Novecento, è la protagonista del nuovo romanzo della storica dell’arte Valentina Casarotto. L’autrice aveva avuto modo di apprezzarla visitando alcune mostre che nello scorso decennio ne facevano conoscere la peculiare cifra stilistica che si era maturata anche grazie alla preziosa lezione del manierismo italiano di Bronzino e Pontormo. Allieva di Maurice Denis vicino ai Nabis, e di Andrè Lothe di formazione cubista, le sue opere, come La ragazza in verde che compare sul frontespizio del libro sono immediatamente riconoscibili nel disegno che definisce le linee dei  contorni.

Sono le donne nella maggior parte dei casi ad essere il soggetto privilegiato delle sue tele, dagli sguardi al tempo stesso curiosi e sfuggenti, tremendamente belli nei loro colori intensi. Sono figure monumentali, vestite o nude, uomini e donne con gli accessori adatti a catturare la nostra attenzione e a rivelare il momento storico in cui sono vissute. La pubblicazione dopo dieci anni dal precedente romanzo sulla pittrice veneziana Rosalba Carriera,  del libro Diva d’acciaio  che racconta di Tamara de Lempicka, prosegue l’intento della scrittrice di far emergere e di far conoscere l’arte femminile al grande pubblico. Una scrittura meditata che si è avvalsa di una costante ricerca per poter delineare un’artista dalla personalità sfaccettata, ricercata per le sue opere, ma anche  per la sua bellezza.

Indipendenza, tenacia e amore per la solitudine creativa emergono come elementi peculiari di Tamara che sapeva incuriosire e amava essere protagonista come ci rivela anche il dipinto Autoritratto sulla Bugatti verde, diventato simbolo dell’emancipazione femminile. Qui Tamara si ritrae al volante di una Bugatti, un modello di auto da corsa e indossa un caschetto da pilota. Intorno al collo porta stretta una sciarpa grigia, il suo colore preferito. Il volto è truccato in modo impeccabile. Le labbra sono carnose e di color rosso fuoco. Il suo sguardo determinato rivela subito la sua forza caratteriale. Romanzo e in parte saggio il libro di Valentina Casarotto, pubblicato da Gaspari editore, scava dentro l’origine dell’ispirazione artistica  della pittrice polacca. I suoi dipinti  diventano occasione di nuove rivelazioni sulla sua arte e sulla sua vita.

Scopriamo così committenti e ragioni da un lato e come si muoveva e operava la pittrice nel suo atelier, sempre alla ricerca di quegli elementi capaci a catturare “l’anima” del soggetto da raffigurare. In compagnia di una giornalista investigatrice di New York, incaricata per conto dell’FBI, di scoprire eventuali segreti di Tamara, sospettata di essere una spia al servizio dei russi, la scrittrice ci fa attraversare le principali città europee in un momento storico, tra l’agosto del 1938 e il dicembre del 1939, dove si profilava pauroso l’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale.  

Fra le righe del libro, scopriamo la suggestione dei luoghi e anche approfondiamo il carattere forte dell’investigatrice. Devonshire, ottobre 1938. Il paesaggio scorreva serrato all’orizzonte dall’altopiano del Dartmoor, si allargava nella brughiera collinare e prendeva un respiro ampio con il verde ipnotico dei pascoli. Un miglio dopo l’altro, questa calma innaturale mi ha permesso di esercitare un certo distacco dalle vicende della politica internazionale e concentrarmi sull’inizio dell’indagine che si presagiva ricca di prospettive … 

Nel seguire il percorso della giornalista Clare Bryce e grazie alle interviste a chi ha conosciuto la pittrice, entriamo nei palazzi dei ricchi e dei potenti e come in un palcoscenico si presenta nella sua vivacità e alterità la mondanità dell’epoca. Un mondo che ci appare estremamente libero e dove si confrontano gli amori saffici di Romaine Brooks e della stessa Tamara, entrambe pittrici, entrambe attratte da Gabriele d’Annunzio, anche se con esiti e intenti differenti. Un tempo popolato di donne eccentriche come Luisa Casati che sbarcava sull’isola di Capri con al suo seguito ghepardi e pappagalli e si faceva immortalare da numerosi artisti.

 Clare Bryce  personaggio d’invenzione  che trae ispirazione dalla giornalista e politica Clare Boothe Luce (1902-1987), realmente esistita, si mostra simile per il suo fascino a Tamara de Lempicka e  nel farsi raccontare dai conoscenti della pittrice pezzi della sua vita, ci immerge nella temperie culturale di un’epoca, fra  i suoi umori e  dentro le sue aspettative.  La scrittrice  ci restituisce così la modernità di un personaggio e di un periodo storico. Incontreremo all’inizio Tamara nell’aristocratica San Pietroburgo, quando ancora fa parte di quel mondo dorato,  vicino allo zar, la vedremo in fuga, vestita di stracci dalla Russia zarista, con la piccola Kizette e il marito nelle prigioni bolsceviche.

La conosceremo poi nel bel mondo parigino, in Italia e ancora negli Stati Uniti. Fra i mercanti d’arte, i collezionisti, nelle gallerie, nei caffè e night club  avremmo la misura dell’effervescenza e delle complicazioni della vita dell’artista polacca.  

Patrizia Lazzarin, 30 ottobre 2023

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Allarme a Palazzo Chigi, voltagabbana in azione

«Questa Donatella Conzatti, già passata con Renzi, era stata eletta coi voti del centrodestra e della Lega e ora si sveglia renziana. A me queste persone mi fanno schifo. Bisogna intervenire sul vincolo di mandato quando avremo i numeri. Non voglio le gabbie, ma quando passi da un lato all’altro…». Il secondo: «Dobbiamo metter fine al mercato delle vacche sia dei parlamentari che passano nei gruppi sia dei gruppi che li fanno entrare. Credo sia giunto il momento di introdurre in Italia il vincolo di mandato. Come e con quale formula costituzionale vedremo, ma è arrivato il momento di dire che, se vieni eletto con una forza politica e poi passi in un’altra forza politica, te ne vai a casa» Le considerazioni di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera.

Di Maio ed il vincolo di mandato dei parlamentari

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