Achille Funi. Tra storia e mito

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Il pennello di un artista può essere capace di cogliere la plasticità o meglio può essere abile ad operare con la materia di un colore in grado di plasmare, costruendo forme umane, oggetti e paesaggi, mostrando di essi la loro fisicità e al contempo la loro astrazione e, consegnando al termine del suo percorso creativo, il suo universo figurativo ad un Olimpo apollineo. Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito, la rassegna che apre al pubblico sabato 28 ottobre e sarà visibile fino al 25 febbraio 2024, a Palazzo dei Diamanti a Ferrara, racchiude la parabola artistica del pittore emiliano che, nato in questa città nel 1890 e morto agli inizi degli anni Settanta del Novecento, ha saputo farsi interprete della temperie culturale del suo tempo ed esprimere con originalità la sua concezione del reale.

Achille Funi è un pittore statuario. Lo possiamo capire sin dai suoi esordi e l’esposizione nella città degli antichi Estensi ha il merito di far emergere durante tutta la sua vita questa attenzione verso la monumentalità delle figure e le loro forme scultoree. Qui possiamo ammirare anche alcune delle rarissime opere giovanili dell’autore realizzate negli anni che vanno dal 1905 al 1910, quali Nudo femminile seduto e Nudo maschile di forte consistenza plastica. Nel 1906 egli si iscrisse all’accademia di Brera. Negli anni Venti del Novecento spiegando tale scelta, cosi racconta: nel 1906 venni a Milano per completare i miei studi all’Accademia di Brera. Avevo allora un grande amore per l’arte antica e specialmente per quella di Leonardo che è sempre stato il mio maestro spirituale.

In seguito,negli anni del Futurismo egli si avvicinò a tale movimento, ma non ne fece propri gli estremismi del suo “inventore”, Filippo Tommaso Marinetti e dell’artista e amico Umberto Boccioni. Per trovare il suo linguaggio Funi elaborò anche la lezione cubista e di Cezanne, maestro riconosciuto da molte avanguardie, e “volle costruire architettonicamente” l’idea di  movimento e velocità. Dirà di lui Boccioni: “Achille Funi era, fra tutti, il pittore più solido, più sincero, l’unico preoccupato di dare, attraverso pure forme e puri colori, un’ emozione plastica”.

Nei suoi disegni e acquarelli realizzati durante la prima guerra mondiale, mentre era al fronte, si raccontano i giochi tra coscritti, anche amici, la gavetta, i soldati a riposo, la lettura delle missive da casa. Sono momenti di una quotidianità che appare autentica, anche se nasconde il dramma di una guerra particolarmente dura per chi la vive sui campi di combattimento. Il riferimento a Cezanne torna in diverse occasioni nei primi anni Dieci, in tempere, gouache e inchiostri ispirati a tematiche familiari come in Bimbe alla finestra del 1913.

In anticipo rispetto al movimento Novecento, di cui fu uno dei principali interpreti, vediamo lo statuario e splendido Autoritratto in riva al mare del 1918. Sono gli anni in cui emerge la vicinanza anche a pittori come André Derain, come si nota in Ragazza dormiente del 1920. Cosa troviamo all’origine della sua invenzione? La passione come per gli antichi maestri per il disegno che è anche alla base del suo magistero verso i numerosi allievi. Negli anni Venti soggiorna a Rovenna, sul lago di Como, con Arturo Martini e  matura una nuova consapevolezza. Tra il 1920 e il 1923 la sua vicinanza alla corrente del Realismo magico lo porta a prediligere un impianto del quadro neorinascimentale dove spicca il primo piano la figura umana e la scelta cade su  colori che appaiono smalti.

In Novecento, il movimento che vede la luce nel 1923, guidato da Margherita Sarfatti egli si distingue per un’adesione all’ideale classico assai più evidente rispetto agli altri artisti. Parliamo naturalmente di una moderna classicità che trae spunti dal Quattrocento e dal mondo greco romano e che unisce il quotidiano alla monumentalità del Picasso classico  e al sintetismo di Derain. Tra la fine degli anni Venti e Trenta i suoi viaggi in Liguria, in Versilia, a Trieste e a Roma lo conducono a tornare al genere del paesaggio ed egli dipinge litorali pieni di luce come Marina con barche del 1927. Funi è un inventore. Giorgio De Chirico, artista e amico, lo definirà sognatore agnostico e cantore di miti. Amerà le favole antiche e i miti senza tempo, vagheggiando una lontana Età dell’oro, popolata di eroi, di dei e ninfe. Il dato è tratto …

E se la Storia individuale e collettiva è sempre protagonista nel suo fare artistico, come Publio Orazio uccide la sorella del 1932, vicenda narrata dallo storico Tito Livio,  nelle ultime sale dell’esposizione, si rivela la sua epica grandiosa, nutrita di valori sociali. Nelle forme gigantesche che si fronteggiano davanti ai nostri occhi capiamo che Achille Funi assieme a Sironi può essere  considerato a ragione  uno dei pittori murali più originali del XX secolo. La summa pittorica dell’artista si condensa nel ciclo intitolato Il Mito di Ferrara, realizzato nella Sala dell’Arengo della Residenza municipale. Qui l’artista coadiuvato anche da Felicita Frai e da altri artisti,  trae ispirazione inventiva dai poemi di Ariosto e Tasso e da episodi mitologici legati alla città. Le figure di Ercole, Marte, Mercurio e Apollo e La città assediata sono il contraltare della sua poetica che oscilla ora tra lirismo e monumentalità.

L’esposizione che è organizzata da Fondazione Ferrara Arte e Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara, con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, nasce da un’idea di Vittorio Sgarbi e ha la curatela di Nicoletta Colombo, Serena Redaelli e Chiara Vorrasi. Il catalogo è pubblicato da Silvana Editoriale.

Patrizia Lazzarin, 28 ottobre 2023

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Dal futurismo all’arte virtuale

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Il fil rouge della rassegna si dipana nel tempo, alla ricerca di luoghi e di definizioni, di parole e immagini capaci di spiegare i cambiamenti di significato di una delle espressioni più  paradigmatiche degli esseri umani: l’arte figurativa e non, negli anni a cavallo tra il secolo del Novecento e la nostra contemporaneità.  Lo spazio e il momento della narrazione sono la  mostra che si è aperta nel mese di settembre e che si protrarrà fino al 7 gennaio 2024, alla  Vaccheria, nella città di Roma.

La Vaccheria, come spiega  Di Titti di Salvo, Presidente e assessora alla Cultura del Municipio Roma IX, a un anno dalla sua fortunata inaugurazione, è il fulcro del distretto naturale di arte, cultura e innovazione rappresentato dall’Eur e dal suo polo museale, dalle gallerie ipogee di 19 km di fibra ottica che l’attraversano, dalla Nuvola, da “Più libri più liberi”. Il bilancio di questo anno di apertura è positivo con  quattro mostre, da quella di Andy Warhol a quella  odierna “Dal Futurismo all’Arte virtuale”.

 Le parole di Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del Futurismo, la prima avanguardia italiana del Novecento, che troviamo in apertura del catalogo della rassegna, spiegano il senso del percorso artistico seguito per la sua realizzazione. Si legge: “L’arte, questo prolungamento della foresta delle vostre vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell’infinito dello spazio e del tempo.” Gli artisti, di cui vediamo le opere in mostra, sono tra i più grandi del Novecento.

Essi hanno saputo ribaltare attraverso la critica ai canoni e ai metodi tradizionali di fare arte, la stessa visione e concezione di essa. Rivoluzione che è poi continuata nella nostra contemporaneità con altri suggerimenti e apporti come la digitalizzazione. Dal Futurismo all’Arte Virtuale, la rassegna che ha la curatela di  Giuliano Gasparotti e Francesco Mazzei, vuole quasi  riunire quelle novità e unicità in capsule, a testimoniare quei cambiamenti storici che sono stati dirompenti nella consueta percezione del mondo.

Spiegano i curatori: L’intensità e l’originalità dei lavori di questo gruppo eterogeneo di artisti dimostra come essi abbiano voluto e saputo creare vere e proprie correnti di pensiero trasformando l’arte, grazie alla spinta dei propri sentimenti più intimi. L’innovazione e la propensione al cambiamento è il tratto distintivo che accomuna i singoli e diversissimi autori. Un rapporto tra arte, scienza ed applicazioni tecniche e tecnologiche che diviene spunto di riflessione costante e poliedrico, che si tratti di elaborazioni computerizzate, di aerei o dell’elettricità piuttosto che la dimensione onirica e psicoanalitica.

I contenitori scelti per la narrazione artistica: le  quattro Capsule, sembrano conservare fuori dallo spazio e dal tempo, le ricerche espressive degli artisti, permettendo ad ogni opera di raccontare la sua storia. L’ambientazione a volte appare onirica, ma al tempo stesso ci consente di avvicinarci all’invenzione attraverso le emozioni che sa suggerire.  Sono stati  modificati con questo scopo i consueti schemi espositivi che si arricchiscono  anche di suoni.

La Capsule “Infinity” che è dedicata al fiore futurista di Balla, dall’esterno assomiglia a un caleidoscopio costruito con  luci, suoni e colori e trova richiami anche nelle opere di tutti gli autori delle differenti avanguardie in esposizione. Le geometrie di Giacomo Balla e l’arte “cinetica” di Alexander Calder si contrappongono alle linee morbide di Modigliani e ai maestri del Surrealismo come Salvator Dalì. Una  video opera, all’interno della installazione mirror room, ha come protagonista il movimento, tema che come sappiamo è stato trainante tra i  futuristi, rivisitato ora  grazie alle tecnologie  dell’arte digitale.

La Capsule “Avangard” è riservata ad artisti come Manzoni, Burri, Boetti, Fontana, Dalì, Magritte, Duchamp, Klein e Rauschenberg che negli anni Cinquanta, hanno espresso le mille sfumature dell’avanguardia artistica e poi della transavanguardia, all’interno di un dibattito sullo stesso pensiero dell’arte che assumeva sempre più caratteri rivoluzionari.

La Capsule “Pop” si scopre in un “giardino segreto”, nel quale le opere di Niki De Saint Phalle, veri e propri esseri viventi, animano questo angolo verde con colori assai vivaci. Intorno il  giardino ci sono le opere degli inventori della Pop Art: Warhol e Lichtenstein, che hanno saputo ispirare in seguito  artisti come Indiana, Lodola, Schifano, Zanca.

Nelle Capsule “Metafisica” le Piazze d’Italia di Giorgio de Chirico diventano ora, con differenti accorgimenti, più reali ed evidenziano la ricerca di una sostanza, oltre quella fisica. In tutte le capsule  l’innovazione creativa digitale consente di far vivere le opere di questi grandi artisti del Novecento nella contemporaneità, suggerendo anche per esse gli interrogativi tipici del nostro tempo. Rimangono  centrali oggi come nelle vecchie avanguardie, le domande  sul rapporto tra Uomo, Natura, Scienza e Tecnologia.

Ogni creazione racchiude un significato in sé e in relazione alle altre con cui si confronta. La rassegna che è costituita da più di cento opere ed è stata realizzata dal Municipio IX con il supporto di Roma Capitale e con la collaborazione di Zètema Progetto Cultura,  prevede l’ingresso gratuito. In essa si potranno ritrovare  i punti di contatto dei movimenti più significativi della grande arte del Novecento.

Patrizia Lazzarin, 14 settembre 2023

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Il fascino della luce: Previati tra futurismo e simbolismo

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Il rinnovarsi e il mutare dell’arte italiana tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento lo possiamo comprendere attraverso la mostra che ha riaperto i battenti in questi giorni a Ferrara: Tra Futurismo e Simbolismo: Gaetano Previati, all’interno dell’antica dimora degli Estensi: il castello che con la sua presenza, fatta di pietre e di storia, è una delle icone  di questa città. In questo scrigno che, come molti altri monumenti è ora visitabile dopo la forzata chiusura per l’emergenza sanitaria, si può conoscere la parabola artistica di questo pittore ferrarese, per molti aspetti rivoluzionario, di cui ricorre quest’anno il centenario della morte, e che fu capace di  confrontarsi con le tendenze culturali d’oltralpe nello sperimentare le possibilità espressive del colore e delle linee. Il percorso della rassegna, che ha la curatela della studiosa Chiara Vorrasi, inizia con  un bozzetto dell’artista: La resa di Crema, che è il racconto emblematico di una vicenda ambientata nel Medioevo, dove i corpi scolpiti dalla luce e quasi irriconoscibili, essi stessi fotoni di una materia corpuscolare, raccontano il finale dell’assedio più lungo  che ci sia stato  in Europa, in quelli che per antonomasia sono detti i secoli bui della civiltà: il Medioevo dei manieri espugnati con sanguinose e cruente battaglie a corpo a corpo. Questa tela che è quasi un’evocazione del dolore, che risuona attraverso le scaglie di colore e tocca  la nostra sensibilità divenne il trampolino di lancio del pittore ferrarese che vinse nel 1879 il prestigioso Premio Canonica per la pittura di storia. L’opera di Gaetano Previati è di una vastità e di un valore che sconcertano, affermava nel 1916 Umberto Boccioni, uno dei maggiori esponenti  del movimento futurista, quella corrente culturale dei primi  del Novecento che aveva recepito nella sua ideologia i cambiamenti dovuti all’enorme sviluppo della tecnologia e che aveva posto tra i suoi principi  il culto della velocità. L’arte di Previati precorreva i tempi e sembrava metter fine all’epoca del verismo. Dentro la mostra, promossa dal Comune di Ferrara e dalla Fondazione Ferrara Arte e che rimarrà aperta fino al 27 dicembre, noi possiamo osservare il processo evolutivo della storia  di Previati che diventa anche la cartina al tornasole della temperie culturale italiana. Cento opere fra dipinti ad olio, a pastello e disegni provenienti da raccolte ferraresi e da collezioni pubbliche e private, a cui si aggiungono documenti ancora inediti, illustrano le ricerche artistiche a lui contemporanee: dagli scapigliati, ai divisionisti e  ai simbolisti e, che riemergono nelle sue tele e disegni, nuove e di sapore diverso, come dopo un’immersione. Nel dipinto Hashish o Le fumatrici di oppio, dove belle fanciulle rimandano ad un harem, Previati si avvicina alle tematiche di Charles Baudelaire, il poeta maledetto francese che aveva evidenziato  il potere delle sostanze oppiacee di esaltare il senso dell’immaginazione e di inventare e costruire un’altra realtà. Sulla scia dei tempi I’artista sperimenta. Fondamentale sarà il viaggio a Parigi e  la sua amicizia con il  mercante di quadri  Vittore Grubicy che era in contatto con l’avanguardia belga ed olandese. Saranno importanti per lui la lettura degli articoli pubblicati su L’Art moderne, la rivista dell’associazione artistica belga Les XX a cui era abbonato Grubicy, che parlavano delle tecniche di divisione del colore, dove tocchi di materia colorata  venivano accostati senza essere mescolati, riuniti dall’occhio dello spettatore che veniva  affascinato dagli effetti luminosi. Nel PratoMattino i giochi di luce  e i tratti filamentosi traducono le emozioni del pittore poeta che ad esse ricorre, come soprattutto in Maternità, per svelare epifanie. Luce dorata, filamenti di colore e suggestioni diventano una triade che concentra i significati del sentire e sono il riflesso di una sensibilità attenta che inventa nuovi moduli espressivi. Nel 1889 il quadro Maternità, assieme all’opera Due madri  di Giovanni Segantini e ad Alba di Angelo Morbelli, annunciano la nuova arte, ideista o divisionista, che diventa dirompente nella società di allora per la sua carica di novità. Il piacere di comunicare il senso della bellezza diventa un compito del pittore – profeta che si avvale di alcune tecniche fornite dagli effetti della luce e da schemi circolari per riprodurre come, nella Madonna dei gigli, nella Danza delle Ore o nella prima Assunzione, l’idea dell’armonia universale. È lo svelarsi ancora una volta di qualcosa di straordinario, dove veniamo quasi trascinati sulle scie disegnate nel suo movimento da uno strumento musicale: un violino le cui corde sinuose   mutano in fili di un colore  che ci avvolge nel racconto del quadro. Con il ciclo della Passione Gaetano Previati raggiunge il culmine del suo rapporto di empatia con l’osservatore, grazie ai tagli ravvicinati e ai contrasti cromatici. La sua progettualità e i suoi studi si leggono nei suoi scritti. Nei Principi scientifici del divisionismo  egli spiega il suo alfabeto di segni e di colori capace di tradursi nel linguaggio delle emozioni. L’ultima creazione del ferrarese, nel salone di ricevimento della Camera di Commercio di Milano, si confronta con l’immaginario globale suggerito  dalle future vie di comunicazione. Le opere, quattro tele monumentali, intitolate le Vie del Commercio, come ad esempio, in Ferrovia del Pacifico, sembrano annunciare attraverso il senso di vertigine dovuto all’altezza e alla velocità, dentro una luce solare che riempie di scaglie d’oro le nostre pupille, la modernità capace di trasformare noi e il mondo che ci circonda.

Patrizia Lazzarin, 15 giugno 2020

 

Patrizia Lazzarin, 15 giugno 2020

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