Donne in trincea 2

-Donne medico, un bel momento nella tua storia professionale …

Questa pandemia, perché nonostante la tragicità dell’evento, è stata un’esperienza che ci ha fatto riscoprire l’importanza del sostegno reciproco, del lavoro di gruppo coeso e condiviso, dello spirito di abnegazione e dedizione che ha contraddistinto tutte le professionalità coinvolte

-Ad una donna da poco diventata medico quali consigli daresti?

Di camminare a testa alta, fiera della professione che ha scelto. Non dire mai “No” ad un nuovo lavoro, sperimentarsi, studiare, spendersi e a, fine giornata, leggere un buon libro, perché un buon medico ha la mente aperta.

-Tu rappresenti anche una delle poche eccezioni perché di solito le donne compaiono poco nei ruoli dirigenziali. Cosa manca, a tuo avviso, perché questo possa diventare più frequente?

Forse nel nostro paese, oggi, manca ancora un cambio di visione del ruolo dirigenziale. Ci sono numerosi esempi di donne manager e di donne ai vertici aziendali che hanno ottimi risultati. Nel mondo lavorativo odierno caratteristiche proprie delle donne, quali la trasversalità, la resilienza e la costanza fanno la differenza e permettono di ottenere risultati e riconoscimenti. Infine avere la responsabilità di una famiglia non toglie possibilità od energie, anzi in alcuni casi, amplifica le capacità e la visione d’insieme che una donna può giocarsi. Immagino non sia la sola preparazione perché spesso le valutazioni sullo studio e l’apprendimento delle ragazze superano quelli dei loro coetanei… 

-Cosa invece consigli?

Le ragazze dovrebbero imparare a fare più squadra. A volte sprecano parte delle loro energie nell’essere competitive tra loro mentre i colleghi sono più lucidi nel dividersi i compiti, possono anche avere confronti accesi, ma non portano rancore e beneficiano l’un l’altro delle loro competenze.

-La voce delle donne … dove o forse quando, dovrebbe farsi sentire e … quale “timbro” dovrebbe avere?

La voce delle donne c’è e si sente nella nostra quotidianità. Forse basterebbe ascoltarla. In periodi come questi è stata più che mai evidente la capacità che ha la voce di una donna di essere collante, rasserenante. Una donna è per natura addestrata a risolvere i problemi, a dare risposte e a trasmettere consapevolezza e serenità.

-Un pensiero sull’Italia, sulla sua gente e sulle, se vuoi, sue potenzialità.

L’Italia è un paese fatto di persone con un grande senso del dovere, del lavoro e della famiglia. Il nostro paese si è ripreso da mille momenti grigi grazie alla sua gente che ha solo bisogno di direttive chiare, di riconoscimento per le proprie fatiche e di trasparenza.

Patrizia Lazzarin, 28 maggio 2020

 

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Donne in trincea 1

I benefici dello spirito di squadra. Il direttore sanitario in Italia è, per definizione, un dirigente medico che deve garantire la guida, la supervisione e la qualità della struttura sanitaria. Compiti che richiedono intelligenza e dedizione. Ho scelto di intervistare una donna, Chiara Bovo, di origini padovane, che ricopre tale carica nella città scaligera perché rappresenta un buon esempio di determinazione e di volontà, ingredienti entrambi vitali in un’Italia che ha bisogno di ritornare a credere senza paura in se stessa, come dopo una malattia che ha lasciato strascichi nel corpo e nell’anima. Le sue sono parole che innervano e vivificano, come un fil rouge, le fatiche di una missione, quella del medico, che se vogliamo, si accosta, quasi con naturalezza, all’idea che tutti abbiamo della donna che si dedica alla cura delle persone.

Per iniziare le chiediamo di narrarci in un breve excursus, il suo percorso professionale: inizi e motivazioni.

Il mio percorso professionale inizia nell’ambito della ricerca biomedica e soprattutto della patologia clinica per poi scegliere l’igiene e la medicina preventiva che mi hanno portato prima alla direzione di ospedali e successivamente alla Direzione sanitaria. Ho svolto vari incarichi, dapprima come dirigente medico, poi dal 2001 al di Chioggia ed in seguito, fino al 2008, come Direttore medico dei presidi ospedalieri e come Responsabile unico della funzione ospedaliera dell’Azienda Sanitaria ULSS n. 17 di Monselice-Este. Dal 2008 al 2010 mi sono occupata invece della Direzione della struttura complessa per la realizzazione della programmazione ospedaliera, integrazione ospedale e territorio, e interaziendale dell’ULSS n. 20 di Verona. Ho ricoperto poi il ruolo di Direttore di Dipartimento Interdirezionale per l’Area sanitaria e, dal 2010 al 2015, ho svolto due incarichi consecutivi come Direttore Sanitario presso l’Azienda sanitaria ULSS N. 20 di Verona. Dal 1° febbraio 2015 porto invece avanti con onore e dedizione il mio compito di Direttore Sanitario dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona.

Potresti, per calare le tue mansioni in un contesto ben preciso, fare una breve presentazione degli ospedali che rappresenti?

L’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, comprendente i due presidi ospedalieri di Borgo Trento e di Borgo Roma, per un totale di circa 1400 posti letto, è una realtà riconosciuta come Centro di servizi sanitari di rilievo nazionale e di alta specializzazione. Ogni giorno garantiamo attività di ricovero e di specialistica ambulatoriale. Le prestazioni in regime di urgenza e di emergenza sono erogate 24 ore su 24 con numeri importanti. Per darvi un’idea, ad esempio, abbiamo circa 360 accessi in Pronto Soccorso ogni giorno; effettuiamo quasi 40.000 interventi chirurgici in un anno; ogni giorno abbiamo più di 1000 ricoverati in regime di degenza ordinaria e 200 in regime di ricovero programmato, in Day Hospital. La nostra Azienda è sede di 40 Centri di riferimento regionale e di numerosissime attività d’eccellenza, fra cui tutte le chirurgie specialistiche, la Breast Unit, l’oncoematologia e i trapianti d’organo e di tessuti. È stato eseguito il primo trapianto di rene nel 1968. La presenza della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Verona, fa sì che assistenza, didattica e ricerca siano inscindibili ed i processi diagnostici e terapeutici siano costantemente aggiornati. L’impegno assistenziale è inoltre da sempre svolto ponendo al centro dell’organizzazione il malato, al quale il personale assicura le prestazioni promuovendo lo spirito solidaristico ed umanitario che contraddistingue la relazione paziente-operatore. Insomma, l’AOUI di Verona è un’Azienda importante, solida, spinta all’innovazione e con un capitale umano straordinario: medici, infermieri, amministrativi, tecnici e specializzandi, circa 7000 persone di grandissimo valore, ed io sono veramente onorata di dirigere questa azienda.

Cosa faresti emergere di positivo nei contesti dove operi?

Il senso del dovere. Ognuno ha dato tutto quel che poteva dare. Ci siamo reinventati il lavoro, l’organizzazione dell’ospedale, i rapporti personali. Abbiamo lavorato in fretta e siamo riusciti a dare ai cittadini le risorse di cui avevano bisogno. Ci siamo presi cura del nostro personale attivando fin da subito una sorveglianza a loro dedicata.

Cosa si poteva fare meglio … sempre nel tuo luogo di lavoro nella lotta al Coronavirus?

Ci è mancata la possibilità di anticipare, di pianificare prima, di avere le informazioni utili a prevedere e ad organizzare per tempo questa battaglia.

In futuro riusciremo ad essere pronti per eventuali emergenze?

L’esperienza in medicina è un elemento fondante tanto quanto il debriefing e l’analisi di ciò che è accaduto.  Negli anni abbiamo reso la politica per la qualità un nostro modus operandi che ci permette di raccogliere il buono dagli eventi che affrontiamo come persone e come azienda e di identificare i settori di miglioramento. Questa emergenza ha toccato da vicino ognuno di noi, esperienze così imponenti lasciano sempre un segno ed un insegnamento da applicare.

Errori da evitare … in generale.

L’indecisione: i ruoli di responsabilità richiedono presenza, coraggio e ricerca delle evidenze disponibili. In contesti come quello che abbiamo vissuto, in mancanza di dati certi e di precedenti da analizzare è possibile commettere errori. Tuttavia, ritengo che l’errore più grave e meno perdonabile sia l’indecisione. Penso che non scegliere, non dare indicazioni, non sporcarsi le mani sia una resa a tavolino. Un altro errore da evitare è l’agire in solitudine. In emergenza la squadra fa la differenza. Avere la possibilità di avere più punti di vista e più professionalità attorno ad un tavolo ci ha sempre aiutato a distinguerci per efficienza e performance.

La ricerca scientifica: obiettivi e priorità …

Ritengo che gli obiettivi della ricerca dovrebbero essere quelli di poter mantenere in salute il maggior numero di persone possibile. Ancor prima di studiare nuovi farmaci od attrezzature più performanti è importante spiegare alla popolazione i pilastri della salute e della prevenzione. Avremmo più persone consapevoli e più salute.

Quanto e come si dovrebbe investire nella ricerca? Quali mete? È solo un problema di denaro?

La ricerca, per definizione, non può sempre garantire risultati tangibili a breve giro. Essa necessita di tempo, persone motivate e risorse

Patrizia Lazzarin. 27 maggio 2020

(continua)

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