Gli eserciti della salvezza

Le Idi di marzo nell’anno di disgrazia 2020, saranno ricordate come il giorno in cui il mondo intero si è bloccato, messo sotto sequestro per difendersi dalle forze del male. E’ stato nel fine settimana tra il 14 e il 15 del mese, infatti, che tutti, anche i più riluttanti, hanno sbarrato le porte e alzato i ponti levatoi. Che altro si poteva fare? Siamo in guerra e bisogna mettere sacchetti di sabbia alle finestre. Ma in guerra non basta difendersi, per vincere bisogna contrattaccare, quindi ci vogliono grandi eserciti ben preparati. Il primo fronte è quello sanitario il secondo quello economico perché alla pandemia non segua una carestia. Le Banche centrali hanno cominciato a stampare moneta a più non posso, i governi la distribuiscono e si indebitano. Non ci sono scappatoie, lo ha scritto Mario Draghi sul Financial Times: “Fronteggiamo una guerra contro il coronavirus e dobbiamo mobilitarci di conseguenza… Livelli di debito pubblico molto più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato… l’alternativa sarebbe una distruzione permanente della capacità produttiva e della base fiscale”. L’ex presidente della Bce chiede “forza e rapidità” di intervento da parte dei governi e delle banche che debbono concedere crediti anche senza interessi garantiti dallo stato, quanto all’Europa deve sostenere una causa comune. Soprattutto invita a “cambiare mentalità”, l’armamentario ideologico e dottrinario del passato oggi non serve. L’articolo colloca Draghi in testa all’esercito della salvezza che si affanna a scongiurare la peggiore sconfitta del mondo civilizzato; è un altro “whatever it takes” destinato ad avere un effetto politico anche in Italia. La Ue ha sospeso il patto di stabilità, ma a questo punto bisogna chiedersi se serve così com’è. Il Meccanismo europeo di stabilità è davvero efficace e a quali condizioni? Occorre creare nuovi strumenti per indebitarsi ancora e indebitarsi meglio. Salvati dai debiti, sembra un paradosso, ma tutte le guerre sono state finanziate così. I governi non si sono mossi per primi. A far da avanguardie, ancora una volta, le Banche centrali, in Cina, in Giappone. L’Occidente ha perso tempo, poi si è svegliata la Federal Reserve seguita dalla Banca d’Inghilterra e dalla Banca centrale europea. Il costo del denaro è stato portato vicino allo zero, la Federal Reserve ha deciso di acquistare titoli pubblici e privati senza alcun limite, più timida la Bce ha messo sul tappeto mille miliardi di euro, poi si è corretta seguendo l’esempio americano. I banchieri centrali hanno abbastanza munizioni? Philipp Hildebrand, vicepresidente di BlackRock il più grande fondo di investimento al mondo, ed ex presidente della Swiss National Bank chiede “un approccio coordinato in cui i governi forniscono i fondi necessari a famiglie e imprese, mentre le Banche centrali saranno chiamate ad assicurare che i tassi di interesse non crescano in modo incontrollato. Parte di questo compito riguarda l’acquisto di titoli su larga scala direttamente dal mercato”. Christine Lagarde ha sbagliato nel dire “non siamo qui per combattere lo spread”, non solo per la sua ruvidezza e perché ha fatto uno sgarbo all’Italia, ma anche perché la presidente della Bce non ha colto la sostanza del problema: un aumento dei rendimenti e dei tassi di mercato, crea una stretta creditizia mai vista perché le imprese e le famiglie non sono in grado di restituire i prestiti né di ripagare immediatamente le imposte sospese. “Il mestiere di banchiere centrale deve essere reinventato in modo radicale”, insiste Hildebrand, “è tempo di coordinarsi con i governi di fronte a una espansione senza precedenti del debito pubblico”. Questo significa garantire direttamente i buoni del Tesoro. La Fed lo ha già annunciato e si sta muovendo, sulla scia della Banca centrale giapponese, verso un controllo della curva dei rendimenti. Secondo molti analisti “in sostanza sta nazionalizzando i mercati”. E la Bce che cosa farà? E’ la fine del divorzio come è stato chiamato in Italia? Il ritorno alla normalità richiede che i debiti vadano ridotti e i titoli rimessi sul mercato, ma la ritirata potrà avvenire una volta vinta la battaglia. La moneta serve per non far restare a secco le famiglie che perdono i loro redditi e le imprese che perdono le loro entrate. E’ lo choc da domanda, ma attenzione, siamo in presenza di un secondo choc che è la vera causa del primo: si è spezzata la catena della produzione, quella internazionale ormai essenziale, e di conseguenza quelle nazionali. Dunque, la crisi viene anche dal lato dell’offerta e contro questa bisogna far scendere in campo truppe diverse con armi diverse. Le Borse non hanno creduto alle Banche centrali, aspettando che scendesse in campo l’artiglieria e tuonassero i cannoni dei governi. Ancora una volta i mercati finanziari anticipano i movimenti profondi non perché manovrate da pochi lupi di Wall Street o dagli gnomi di Zurigo, ma perché mosse dalle aspettative, dagli interessi, dai desideri e dalle paure di milioni e milioni di persone, dal tolstoiano “movimento dei popoli” sia pur dentro la cornice del capitalismo. Gli americani hanno fatto partire gli elicotteri per gettare moneta non bombe al napalm come in “Apocalypse now”, rispolverando un’idea enunciata da Milton Friedman nel 1969 e rilanciata nel 2002 da Ben Bernanke anche lui convinto che la politica monetaria abbia una chance quando le politiche convenzionali falliscono. In realtà ha anticipato tutti Hong Kong fin da febbraio: diecimila dollari equivalenti a 1,270 dollari americani, a chiunque sia affetto da virus. Donald Trump per non restare indietro ha proposto di dare a ciascun americano almeno 1.200 dollari più 500 ogni figlio, in contanti, da spendere come si vuole. La misura è entrata in un mega pacchetto di spesa pubblica, il più massiccio mai fatto: ben duemila miliardi di dollari. Il Congresso, dopo qualche giorno di manfrina tenendo d’occhio le elezioni presidenziali, ha dato via libera. Il comandante in capo, recalcitrante, inebriato da tweet contraddittori e grotteschi, alla fine si è arreso alla evidenza. Il dubbio è se basterà. L’Economist dice di no, in fondo rappresenta solo il 10 per cento del prodotto lordo americano e secondo molti analisti ce ne vorrà il doppio se la crisi non si ferma. La scorsa settimana ben tre milioni e trecentomila lavoratori hanno chiesto l’indennità di disoccupazione, mai così tanti dal 1967.

Gli eserciti europei della salvezza hanno il loro avamposto a Bruxelles. Dovrebbe essere lì il quartier generale. Ursula von der Leyen ha dato buona prova: tenuta, stile, capacità diplomatica e senso della realtà, è la presidente della commissione europea ad aver anticipato la sospensione del patto di stabilità. Ma a decidere sono sempre i governi nazionali e la Ue è divisa sulle scelte di fondo: mutualizzare i debiti, emettere titoli speciali, i cosiddetti corona bonds (come chiedono Italia, Francia, Spagna e altri sei paesi), aprire il portafoglio del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, che mette a disposizione mezzo miliardo di euro, ma alle sue condizioni: troppo rigide secondo l’Italia, troppo lasche secondo l’Olanda spalleggiata da Austria e Finlandia. Angela Merkel media tra nord e sud, tra est ed ovest, ma a lei tocca scegliere. La chiave di tutto, come dice Draghi, è il debito: la Germania sosterrà quello italiano e degli altri paesi in sofferenza? Intanto il governo tedesco si è mosso e come. Berlino ha deciso di investire 350 miliardi di euro, pari al 10 per cento del prodotto lordo (la stessa quota americana) per le misure d’emergenza e rifinanziare con 100 miliardi la Banca di stato, KfW; più un fondo per salvare le imprese pari a 650 miliardi, in grado anche di intervenire nella proprietà, ma il ministro delle finanze Olaf Scholz si dice pronto a estendere le garanzie dello stato per mettere al sicuro la metà del pil, circa 1.500 miliardi di euro.

L’Italia finora non ha speso molto, anche se quando è scoppiata la pandemia si trovava già in recessione. I vincoli europei sono troppo stretti, si dice, ma anche ora che il patto di stabilità è stato sospeso siamo bloccati da un debito pari a duemila e rotti miliardi di euro, il 135 per cento del prodotto lordo. Si stima che i paesi esposti pesantemente al virus tra spesa pubblica diretta e prestiti garantiti dovranno mettere in conto il 20 per cento del loro prodotto lordo in pochi mesi, il che vuol dire 340 miliardi e rotti nel caso italiano. Il debito sta già salendo verso il 150 per cento, dove potrà arrivare e chi comprerà i nuovi buoni del tesoro, sotto qualsiasi forma e in quantità necessaria? La Bce ha messo in campo mille miliardi di euro, poi ha allargato i cordoni non ponendo più limiti. La quota dell’Italia nel capitale è pari al 17 per cento complessivo, i nuovi buoni del Tesoro per quest’anno superano i 300 miliardi, ma cresceranno ancora. Quanta parte delle nuove emissioni sarà assorbita dalla banca centrale? L’Italia, sostenuta da Francia e Spagna, chiede di introdurre titoli europei, i cosiddetti corona bonds, e potrebbe ricorrere alla linea precauzionale prevista dal fondo salva stati: pro quota si tratta di 70 miliardi di euro. Lo scontro è sulle condizioni: spingeranno l’economia verso un’altra lunga recessione quando l’emergenza sarà finita? L’Italia è solvibile, lo ha detto la Banca d’Italia che se ne intende, lo ripetono tutti a cominciare dalle società che danno i voti ai debiti pubblici e privati. Ma non sappiamo fino a quando.

L’intervento dello stato è fondamentale in caso di calamità. Ciò vuol dire che il Leviatano risorge dalle acque profonde? Calma ragazzi, perché la doppia crisi, sanitaria ed economica, mette sotto pressione l’intero sistema pubblico, proprio quello che dovrebbe salvarci. Prendiamo la Sanità, in sofferenza proprio nei suoi punti più alti. Colpa dei tagli? Secondo Francesco Longo, osservatorio della spesa sanitaria dell’università Bocconi, l’Italia spende 115 miliardi l’anno, 1.850 euro per abitante. L’Inghilterra con un sistema sanitario simile al nostro spende 2.500 euro pro capite, la Francia 2.800, la Germania 3.200. Spendiamo meno e nei ranking mondiale di efficacia in rapporto ai costi siamo tra i migliori. Non manca la qualità, ma semmai la quantità. Intendiamoci, lo choc è stato improvviso e inatteso: i ricoveri medi mensili in terapia intensiva in Lombardia sono stati circa 680 tra il 2013 e il 2017, mentre solo per Covid- 19, sono ricoverati due volte tanto. Tuttavia il numero di posti letto ospedalieri ogni mille abitanti in Italia è più basso rispetto a Francia e Germania, vicino al Regno Unito e alla Spagna, molto lontano dal Giappone e dalla Corea del sud. Quattro ricercatori – Marta Angelici, Paolo Berta, Francesco Moscone e Gilberto Turati – hanno calcolato che tra il 2010 e il 2018 la riduzione media complessiva delle dotazioni di posti letto dei dipartimenti medici è stata di poco inferiore rispetto a quella registrata nei dipartimenti chirurgici: 11,4 per cento contro 12,8 per cento. Sono aumentati, però, i posti letto in terapia intensiva. Forse anche per questo il sistema ospedaliero per il momento continua a garantire cure a tutti.

C’è un’altra questione sollevata da Laurie Garrett, che da decenni scrive sulla nostra eterna vulnerabilità ai microbi: nel suo ultimo libro Betrayal of Trust: Collapse of Global Public Health, spiega che in un’èra in cui la minaccia percepita viene dalle malattie non trasmissibili (cancro, ipertensione arteriosa, diabete) ci si è concentrati su queste, trascurando la minaccia collettiva proveniente dalle epidemie che mettono in primo piano la necessità di antibiotici e vaccini. Anche gli ospedali, come le imprese manifatturiere hanno ragionato con il come le imprese manifatturiere, svuotando i magazzini, riducendo al minimo indispensabile le scorte, scommettendo sulla efficienza della catena produttiva globale. Adesso lo stato deve far fronte, ma nessuno stato è in grado di assicurare la protezione totale contro la pandemia. Raghuram Rajan, influente economista che dopo il Fondo monetario internazionale è diventato governatore della Banca centrale indiana sottolinea la necessità di coinvolgere il settore privato per aumentare la capacità della filiera sanitaria, la domanda c’è non devono mancare i finanziamenti.

Qui entrano in gioco le imprese ed è la loro sorte a rendere incerte le Borse che pure sono sobbalzate di fronte alla potenza di fuoco americana. I mercati finanziari non sono terrorizzati dal fallimento degli stati, ma dalla catena di fallimenti privati. Le fabbriche si stanno riconvertendo a una economia di guerra: quelle tessili fanno mascherine, quelle meccaniche ventilatori, la Michelin distribuisce cibo, le aziende farmaceutiche non ce la fanno a tener testa agli ordini, i laboratori di Big Pharma come delle start up lottano per trovare un vaccino; il mondo digitale è sotto pressione perché è attraverso di esso che tutti noi possiamo tenerci in contatto con il mondo reale. E’ fondamentale che dove si può il lavoro prosegua senza interruzione, ma è essenziale che venga fornita la liquidità necessaria e le banche facciano credito a costo zero, come propone Draghi. Finora, a parte poche eccezioni, il sistema bancario è rimasto alla finestra. Il bollettino di guerra ci dice che i generali hanno tentennato, gli eserciti si sono mossi in ritardo anche se stanno combattendo con tutte le loro forze, le armi attuali non sono sufficienti. Non bastano quelle monetarie, non bastano quelle economiche, non bastano quelle sanitarie. Ogni conflitto fa compiere un salto al complesso militar-industriale, alla ricerca, alla scienza e alla tecnica, ma sono tecnologie che portano la morte. Anche questa guerra può far compiere un balzo, ma saranno tecnologie che portano la vita. just in time

Stefano Cingolani - Il Foglio - 28 marzo 2020

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Eurobond, si allarga il fronte. In quattordici contro Merkel

Si allarga il fronte in favore degli Eurobond. Ai nove della lettera guidati da Giuseppe Conte, Emmanuel Macron e Pedro Sanchez, si aggiungeranno nelle prossime ore altri cinque Paesi: i tre baltici, la Slovacchia e Cipro. Diventeranno così quattordici i leader che si oppongono ad Angela Merkel e Mark Rutte. Un accerchiamento, in questa corsa contro il tempo per salvare la moneta unica. E d’altra parte, dopo il fallimento del vertice di giovedì notte, al termine del quale i capi di governo si sono lasciati alle spalle macerie, servirà un negoziato ancora più duro. Senza un finale già scritto. Tanto che in queste ore inizia a circolare anche l’impensabile, quello che tutti vorrebbero evitare, ma che potrebbero diventare l’arma negoziale per far crollare la diga eretta tra Berlino e L’Aia: l’emissione di Eurobond a quattordici, senza gli ortodossi del Nord. La definitiva spaccatura dell’Unione.

Sono frenetici i contatti tra le Cancellerie dell’eurozona. E l’asse dei quattordici considera vitale lo strumento degli Eurobond, l’unico giudicato in grado di mobilitare almeno mille miliardi di liquidità e rispondere alla crisi da Covid-19. Uno scenario da incubo, che giovedì Christine Lagarde ha tradotto in numeri a beneficio dei leader. Secondo la presidente della Bce, racconta chi ha assistito al vertice, una pandemia fino all’autunno farebbe sprofondare la zona euro in una recessione del 10%.

Un quadro talmente drammatico che ha spinto ieri cinque nuovi Paesi a mostrarsi informalmente pronti ad aderire al gruppo degli Eurobond. Manifestazioni di interesse gradite, visto che Lituania, Lettonia, Estonia e Slovacchia sono da sempre schierate con i super rigoristi di Angela Merkel.Contatti anche con Malta. Il clima è ormai così aspro che il premier socialista portoghese Antonio Costa si è spinto a definire «ripugnante» la proposta del ministro olandese Wopke Hoekstra di aprire un’indagine contro i paesi del Sud, accusati di non avere risparmiato in tempi di vacche grasse.

L’ex premier e presidente della Commissione Ue Romano Prodi definisce il summit di giovedì notte «terribile ». E chiede gli Eurobond: «Se non c’è solidarietà adesso, che Europa è?». Un concetto che Giuseppe Conte rende ancora più esplicito in i queste ore: «Se non troviamo una soluzione, rischia di chiudere l’Europa ». Quasi profetico. Basta ascoltare l’attacco frontale di Matteo Salvini, pronto a cavalcare la crisi in chiave sovranista: «Questa Unione è una schifezza, andate a cagare».

Ma quali sono le prossime tappe? L’altra sera i leader hanno dato mandato all’Eurogruppo di avanzare proposte entro due settimane. Già ora però appare quasi impossibile che i ministri delle Finanze, spaccati tra falchi e colombe, possano trovare un accordo sugli Eurobond. Le aspettative politiche si concentrano invece sul Piano di rilancio dell’economia che leader hanno affidato a Charles Michel e Ursula von der Leyen, presidenti di Consiglio e Commissione. Che, su richiesta di Conte e Sanchez, saranno affiancati da Lagarde, Centeno e Sassoli.

Ma il rischio è che i tempi di lavoro di questo format si allunghino ancora. Ecco perché si cerca di allargare il fronte, che da ieri conta anche il capo della banca centrale olandese, Klaas Knot: «I Coronabond – dice sono una strada, la politica monetaria non può fare tutto da sola». Non è il solo a ritenere che lasciare il peso della crisi esclusivamente sulle spalle di Francoforte possa indebolire la Bce. Lo pensano i quattordici, pronti a minacciare di andare avanti da soli con bond condivisi, contando sul fatto che la Bce dovrebbe comprarli per evitare un crack dell’euro. Nascerebbe la temuta Europa a due velocità. Per questo, al momento si tratta soprattutto di una minaccia che punta a convincere Merkel a un’emissione di Eurobond una tantum, gestito dallo stesso fondo salva-Stati (Mes) o dalla Banca europea degli investimenti.

Tommaso Ciriaco e Alberto D’Argenio - la Repubblica – 28 marzo 2020

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Su Eurobond e Mes non si trova l’intesa. Ora tocca ai leader

Dopo due ore di video conferenza sulla crisi da Covid-19, i ministri delle Finanze della zona euro si salutano senza sottoscrivere un testo condiviso. Tra loro non c’è accordo. L’utilizzo del Fondo salva-Stati (Mes) contro il coronavirus non passa. Per l’Italia sarebbero 36 miliardi per tamponare la crisi. Tutto fermo anche sugli Eurobond, lo strumento per Roma, Parigi e Madrid vitale per uscire dalla pesante recessione che la pandemia si lascerà alle spalle. «Resta lavoro da fare», spiega al termine dell’Eurogruppo il presidente Mario Centeno. Domani saranno i leader a riprendere il dossier nel loro terzo vertice in tre settimane. Con la speranza di un avvicinamento tra i due schieramenti: Macron, Conte e Sanchez opposti a Rutte e Kurz, per ora accompagnati dall’ambiguo silenzio di Merkel.

Si litiga sulle condizioni per sbloccare i 410 miliardi del Mes. Per accedere alle sue linee di credito (Eccl) è necessario sottoscrivere un programma con forti impegni sulla riduzione del debito, comunemente identificati in austerità e Troika. Il vantaggio è che il suo intervento sblocca anche l’Omt, il programma di acquisto illimitato di titoli da parte della Bce utile ad abbassare i tassi e liberare risorse. Austria, Olanda, Finlandia e Germania vogliono mantenere questi pesanti vincoli per paura che nazioni altamente indebitate, come l’Italia, un domani possano finire in mano ai sovranisti.

I mediterranei vogliono invece accedere al Mes senza vincoli: la crisi – argomentano – questa volta non è dovuta agli errori di un singolo governo, colpisce tutti e mette in discussione la stessa tenuta dell’Unione. E, tra l’altro, ritengono che firmare un memorandum sarebbe il modo migliore per far vincere i nazionalisti. Le istituzioni Ue sono della stessa opinione. Ieri il numero uno del Mes, il tedesco Klaus Regling, ha presentato all’Eurogruppo una proposta che prevede un prestito del Mes fino al 2% del Pil (per l’Italia 36 miliardi) da spendere contro il virus (sanità, imprese e ammortizzatori sociali) e con una vaga condizionalità futura: giusto il rispetto delle regole del Patto di Stabilità. Troppo poco per i nordici, compreso il tedesco Olaf Scholz. Centeno in conferenza stampa ha cercato di smussare parlando di un «impegno alla stabilità».

Nel chiuso dell’Eurogruppo il ministro Gualtieri ha fatto capire che l’Italia non chiederà l’intervento del Mes se ci sarà una qualsiasi forma di condizionalità. Reperire 36 miliardi sui mercati costerebbe 600-700 milioni al Tesoro. Non uno sforzo impossibile. L’importante, ha notato ancora Gualtieri, è che la rete di protezione del Fondo sia solo il primo passo verso gli Eurobond. Quella del Mes infatti sarebbe una risposta alla crisi immediata. Così come le due nuove azioni messe in campo ieri su pressione del commissario Ue Paolo Gentiloni sostenuto dallo stesso Gualtieri: la Banca europea degli investimenti con 20 miliardi ne mobiliterà 200 di liquidità per le imprese e l’uso da parte della Commissione degli 11 miliardi rimasti nel suo bilancio per smuoverne 80-90 da riversare in un Fondo Ue contro la disoccupazione.

Tasselli della risposta immediata alla crisi che si aggiungono alla sospensione del Patto di Stabilità e ai 750 miliardi della Bce. Ma non risolvono il vero problema: come ripartirà l’Europa? Come faranno i Paesi che ne usciranno ancora più indebitati? «Avremo bisogno di un grande piano per la ricostruzione», afferma Gentiloni citando gli Eurobond. È dall’emissione di titoli comuni che l’Europa potrà mobilitare almeno 1000 miliardi per ripartire. Ma la Germania non ci sta: «È un dibattito fantasioso», afferma il ministro dell’Economia Peter Altmaier. I colloqui proseguiranno, ma il rischio è che questa volta un insuccesso metta la parola fine alla Ue.

Alberto D’Argenio – la Repubblica – 25 marzo 2020

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