Liberi di sognare. Pop/Beat – Italia 1960-1979

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Attesa e curiosità per questa mostra annunciata a Vicenza che si apre sabato 2 marzo alla Basilica Palladiana. Liberi di Sognare nel titolo racchiude un tempo di crescita e di sviluppo e soprattutto una  voglia di cambiamento. Il periodo considerato dalla mostra, dal 1960 al 1979,  mette a confronto  e analizza le due esperienze Pop e Beat e guarda al percorso creativo  di artisti e letterati accomunati  dal medesimo sentire di quegli anni. All’interno del catalogo edito da Silvana editoriale coproduttrice della mostra assieme al Comune di Vicenza, il curatore e artista Roberto Floreani introduce e spiega  gli elementi che informano la rassegna.

L’anno-chiave, quello scelto per l’inizio di tutto il progetto è il 1960, quello della Dolce vita di Fellini, dove perfino la trama anche tragica del film verrà fagocitata dal fascino di Marcello Mastroianni e di Anita Eckberg … Il piano Marshall di ricostruzione del Paese conferirà a un’economia annientata dalla guerra nuove opportunità e nuovi modelli proponendo il suo modello di società apparentemente opulenta, dove la comunicazione, la società dei consumi e la stessa struttura sociale apparivano molto distanti da quella ancora arretrata dell’Italia.

Cento le opere in mostra, molte di grandi formato. Esse rispondono ai nomi di più di trenta artisti: Valerio Adami, Franco Angeli, Enrico Baj, Paolo Baratella, Roberto Barni, Gianni Bertini, Alik Cavaliere, Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Lucio Del Pezzo, Fernando De Filippi, Bruno Di Bello, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Pietro Gallina, Piero Gilardi, Sergio Lombardo, Roberto Malquori, Renato Mambor, Elio Marchegiani, Umberto Mariani, Gino Marotta, Titina Maselli, Fabio Mauri, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Concetto Pozzati, Mimmo Rotella, Sergio Sarri, Mario Schifano, Giangiacomo Spadari, Tino Stefanoni, Cesare Tacchi ed  Emilio Tadini.

Anche la scelta che il curatore, Roberto Floreani, sia una figura d’artista viene considerata proprio dallo stesso, un modo per ragionare diversamente all’interno del mondo dell’arte. Le sue parole prendono spunto da quelle dell’attore e regista Carmelo Bene: Per capire un poeta, un artista, a meno che questo non sia solo un attore, ci vuole un altro poeta e ci vuole un altro artista. E a rafforzare la bontà di questa istanza Floreani fa alcuni esempi eccellenti. Artista teorico era Courbet che nel 1885 curò personalmente il Pavillon du Réalisme e in Italia, Umberto Boccioni con i suoi Manifesti programmatici su Pittura, Scultura e Architettura e il suo saggio Pittura e scultura futuriste del 1914.

Il significato dell’esposizione di Vicenza  mira  dunque a valorizzare quel mondo, anche a volte sommerso o non ben definito da etichette e correnti che invece si vuole far rientrare nell’universo della Pop Art italiana. Nel catalogo e in mostra troviamo le spiegazioni di questo pensiero.

Curioso l’accostamento con la letteratura underground in Italia. L’Underground, in Italia, ha un inizio simbolico  nel 1965 con una frase: “non contate su di noi”. A partire da quella data gruppi di giovani si ritrovarono nei giardini pubblici e nelle metropolitane delle principali città italiane. Li univa sia l’insofferenza  per il sistema di vita nostrano, sia il desiderio di verità, di espressione, di pace, l’antimilitarismo, il rifiuto delle mode e l’anarchismo. Alessandro Manca un altro degli studiosi che hanno collaborato alla rassegna li chiama Beats.  Essi sono i poeti Aldo Piromalli e Gianni Milano e il prosatore Andrea D’Anna. Un’esperienza molto specifica è poi quella dell’Antigruppo siciliano che si distingue  per unire istanze  letterarie e politiche. Per tutti questi scrittori oltre ai Beats americani, un punto di riferimento furono l’azione e la scrittura di Arthur Rimbaud.

Fino  30 giugno 2024 Vicenza ospiterà un autentico laboratorio.
Eventi collaterali saranno proposti in alcuni dei principali luoghi monumentali della città, in collaborazione con la Biblioteca civica Bertoliana, il festival New Conversations – Vicenza Jazz, il Cinema Odeon, il Festival di poesia contemporanea e musica Poetry Vicenza, il Centro di produzione teatrale La Piccionaia, l’Associazione culturale Theama Teatro e il Conservatorio di musica di Vicenza “Arrigo Pedrollo”.

Patrizia Lazzarin, 1 marzo 2024


                                             

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Pop/Beat - Italia 1960-1979. A Vicenza un'inedita mostra

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Pop Art e Beat Generation sono una combinazione alla roulette insieme mai giocata. Quando parliamo di Pop Art e Beat generation l’immaginario si collega al boom economico degli anni ‘60 e alla valanga di elettrodomestici, televisori e automobili che modificarono lo stile di vita delle persone. Pensiamo all’arte che seppe condensare i cambiamenti sociali e culturali  in emblemi e icone e  alla musica che nella declinazione italiana e popolare accese il jukebox per farci ascoltare le canzoni e i motivi di Patty Pravo, Mina, Gianni Morandi e Celentano …  

La parola Beat in particolare si sposa a quello spirito di ribellione e desiderio di cambiamento delle nuove generazioni negli Stati Uniti, a partire dagli anni Cinquanta. Quello che è mancato finora e per questo possiamo parlare a buon diritto di inedito è un accostamento di ciò che significa Pop Art e Beat Generation nel nostro paese. In Italia la nuova espressione artistica si legherà infatti alla tradizione nazionale, all’avanguardia futurista e al paesaggio. Pop e Beat, qui da noi, si contraddistinguono per una visione ottimistica del futuro.

La rassegna che è stata annunciata, oggi, alla stampa nella Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino, a Vicenza e che sarà visibile a partire dal 2 marzo fino al 30 giugno nella Basilica Palladiana, è un progetto scientifico che mostrerà l’unicità della Pop Art e della generazione Beat italiana. L’esposizione che ha la curatela dell’artista Roberto Floreani, è stata promossa dal Comune di Vicenza e da Silvana Editoriale.

La sezione dedicata alla Beat generation, i famosi Capelloni, ci mostrerà che questo  sentire comune non era solo ristretto alle due città di Torino e Milano, ma farà emergere il ruolo significativo avuto dall’Antigruppo siciliano guidato dalla figura carismatica di Nat Scammacca.  Torino, la capitale del giovanilismo alternativo, divenuta meta di quei randagi agnelli angeli fottuti, come ha scritto Gianni De Martino, uno dei protagonisti di quegli anni, è anche il luogo dove si concentrano illusioni e speranze di cambiamento di una generazione.

Nel 1964, il libro curato di Fernanda Pivano, Poesia degli ultimi americani sposta l’interesse dei giovani su scrittori  che  mostrano una volontà di ribellione rispetto al passato. Sono i famosi Jack Kerouac, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso e Allen Ginsberg che dirà a Gianni De Martino “che il Beat è morto e che quelli come lui sono i loro nipotini”. Libertà di sognare, che è il sottotitolo dell’esposizione, spiega invece come verranno declinati allora  in Italia tutti quei nuovi fermenti culturali, politici e sociali che si erano sviluppati.

Sarà l’Antigruppo siciliano di Nat Scamacca, in particolare, ad arricchire la Beat italiana di un respiro nazionale. La sua Estetica Filosofica Populista sarà in chiaro contrasto con la Beat salottiera ed egemonica del gruppo ’63, legata ai grandi editori del Nord e ai concorsi letterari e meno attenta alla componente popolare.  

La musica dei protagonisti di quel periodo, durante la mostra,  sarà messa in relazione, amplificata in loop, con gli spazi espositivi. Vedremo le prime edizioni dei poeti Beat, alcune delle autentiche rarità, firmate in buona parte anche dagli autori. Sarà data voce ai testimoni che allora si sono distinti diventando dei personaggi iconici. Essi saranno invitati nei palazzi simbolo della città, quali il Teatro Olimpico, quello Comunale e Palazzo Thiene.

La mostra realizzerà quindi  un progetto di pittura, scultura, video e letteratura mai visto in Italia. La sezione Pop comprenderà un centinaio di opere di trentacinque artisti e saranno preferiti i grandi formati. “Una mostra viva, comprensibile, popolare che riporti nella collettività la leggerezza e la propositività sociale di quegli anni, attualizzando quella “Libertà di sognare …” ha commentato il curatore Floreani.

                                                           Patrizia Lazzarin

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Il ritratto veneziano dell’Ottocento

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L’Ottocento veneziano nei volti degli esponenti  del mondo dell’arte, della cultura e della società dell’epoca ritorna ad animare nei “suoi colori e tonalità”, le sale dell’antico edificio di Ca’ Pesaro. L’esposizione che si apre nel nobile palazzo, il 21 ottobre, restituisce la temperie sentimentale e ideale di un secolo nella sua declinazione veneziana, legando l’arte del periodo all’illustre tradizione figurativa del passato di quest’area geografica. Vesti, sguardi, espressioni e atteggiamenti dei personaggi raffigurati danno la misura di un tempo che sembra tornare presente.

Quasi potremmo, con un po’ di fantasia, far scendere quelle dame  e quei signori: nobili e borghesi, bambini e giovani fanciulle fuori dal quadro, fra noi, a raccontarci quello che stanno facendo mentre noi li osserviamo, curiosi di cogliere quell’attimo di vita racchiuso nel quadro che diventa cosi teca di un soffio di respiro. L’Ottocento è un secolo che vede avanzare e concludersi in Italia, come in altri paesi, il processo di unificazione ed è il tempo, nelle lettere e nelle arti, del Romanticismo, del Realismo e poi ancora di tutti i movimenti fin de siècle.

Un secolo popolato da liberali e patrioti, rivoluzionari e reazionari che la mostra Il Ritratto Veneziano dell’Ottocento, a cura di Elisabetta Barisoni e Roberto De Feo, ripercorre mostrandoci i volti e le opere dei suoi protagonisti. L’area interessata dall’esposizione è quella del Triveneto, del Friuli e del Trentino ed essa  rappresenta un’occasione per una valutazione delle collezioni ottocentesche presenti nei musei che sono stati coinvolti nel progetto. Padova, Vicenza, Bassano del Grappa, Pordenone, Trieste, Trento, Rovereto, Treviso e Belluno sono i luoghi delle istituzioni interessate dai prestiti e dagli studi, ma sono anche, nello specifico, i luoghi di provenienza degli autori esposti nella grande mostra che esattamente un secolo fa apriva a Ca’ Pesaro con la curatela del primo direttore della Galleria, Nino Barbantini e che trattava lo stesso tema e aveva lo stesso titolo.

Fu  una rassegna che ottenne un grande interesse da parte della stampa, della critica e del pubblico e, con un numero importante di opere esposte: 241 creazioni di 50 artisti, fra cui si contavano pittori, scultori e miniaturisti, vissuti un arco di tempo che decorreva da inizio di quel secolo con Teodoro Matteini e si concludeva con Giacomo Favretto.

Barbantini, scrive la curatrice Elisabetta Barisoni, nel catalogo della mostra edito da  Officina Libraria, si impegnava a costruire una «cosmogonia» ottocentesca che potesse ricucire il discorso dell’arte nel territorio veneto e legarlo alla grande rivoluzione pittorica francese. Anche lui, come i numerosi e autorevoli critici che si occupavano di Ottocento negli stessi anni, tra i quali Emilio Cecchi, Enrico Somaré, Ugo Ojetti e … Sarfatti, legava l’arte del XIX secolo alla modernità, cercando di interpretare l’Ottocento, talvolta con forzature, alla propria narrazione del presente, come atto di politica culturale, di schieramento critico.

 Questo impegno rivive nel prezioso e lungo lavoro di ricerca condotto dai curatori della rassegna oggi visibile e che ricostruisce l’allestimento e il catalogo della storica esposizione.  Sono state rintracciate ben 166 opere dei 52 artisti  della mostra originale, ora conservate in Musei e collezioni su tutto il territorio nazionale. A questo si aggiungono nuove scoperte che hanno permesso differenti attribuzioni, con 11 nuovi autori riconosciuti.

Fino al 1° aprile 2024 il nostro sguardo potrà incrociare, attraverso le opere, quello di grandi artisti come Hayez, Matteini, Lipparini, Grigoletti, Molmenti e Schiavoni: autori che a Venezia avevano vissuto e si erano formati. I loro occhi hanno osservato e le loro dita hanno dipinto le persone che li attorniavano. Riemergono ora come patrimonio di immagini di famiglie, di intellettuali, di patrioti e di artisti fra cui ci scoprono anche donne. Fra di loro ricordiamo Giulia Schiavoni Sernagiotto ed Elisa Benato Beltrami.

Patrizia Lazzarin , 20 ottobre 2023

 

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