La grafica delle avanguardie da Manet a Picasso

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Dopo i successi delle mostre dedicate ad alcuni importanti artisti incisori come Goya, Klinger, e Dürer e della più recente “Strade e storie” che ha svelato i capolavori dell’Ukiyo-e di Hokusai e Hiroshige, sabato 21 settembre alle ore 17.00 negli spazi del Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, apre al pubblico la mostra “La rivoluzione del segno. La grafica delle avanguardie da Manet a Picasso”.

La rassegna è curata da Davide Caroli e Martina Elisa Piacente e vede  la collaborazione di Marco Fagioli. L’esposizione promossa dal Comune di Bagnacavallo e organizzata dal Museo Civico delle Cappuccine conclude  la programmazione che ha caratterizzato nell’ultimo triennio le proposte delle istituzioni culturali bagnacavallesi, basate sul tema del paesaggio e che quest’anno è dedicata al paesaggio umano.

Parte da questa idea il percorso dell’esposizione, riprendendo il filo del discorso da dove si interrompeva l’ultima grande mostra dedicata all’Ukiyo-e, cioè al momento in cui si diffuse il  Japonisme tra gli artisti che vivevano a Parigi. 

La rivoluzione dell’arte tra Ottocento e Novecento ha modificato irreversibilmente i linguaggi artistici, cartina al tornasole  della ricerca di un nuovo senso dell’io e della costruzione di una nuova concezione del mondo.

La mostra intende ripercorrere questo viaggio di profonda revisione del sé e della rappresentazione della realtà attraverso le mutazioni dei segni nell’arte dell’incisione a partire da alcune grafiche di Goya, primo artista dalla sensibilità moderna e da una rarissima matrice xilografica di Doré, uno dei più noti incisori dell’800.  Passando poi attraverso l’iconico e ironico tratto di Daumier  arriva alle poco conosciute grafiche impressioniste, con fogli di Manet, Renoir e Degas e ai così detti post-impressionisti, quali Toulouse-Lautrec, Matisse, Wlaminck, Gauguin, Cezanne e Bonnard.

 In un momento di tale vivacità artistica moltissimi furono i movimenti che nacquero e nei quali gli artisti si unirono per sostenere le novità espressive di cui erano portatori: dall’espressionismo tedesco con Ensor, Grosz,  Kirchner, Kokoschka, Kollwitz, Masereel, Nolde, Pechstein e Schiele, al Simbolismo di Redon e Alberto Martini, dall’astrattismo di Kandinskij e Klee al Surrealismo di Ernst, Man Ray, Magritte, Dalì e Picabia.

 

Non vengono tralasciate poi, le esperienze di quegli autori che sono difficilmente circoscrivibili in movimenti codificati. Sono gli italiani Arturo Martini, De Chirico, Morandi, Wildt, Boccioni, Marini, Manzù, Carrà, Campigli e gli europei Chagall, Rouault, Giacometti e Léger, con una spazio importante riservato al lavoro di Picasso, l’autore che ha segnato in modo particolare l’arte del’900 e che ha utilizzato tutto lo spettro delle tecniche artistiche, comprese quelle calcografiche, per esprimere il suo pensiero.

In mostra, a fianco di quasi cento opere su fogli sciolti, saranno esposte anche diverse pubblicazioni, grazie alle quali si diffusero più rapidamente le nuove stampe. Sono  veri e propri libri d’artista, come quelli realizzati interamente ad esempio da Matisse, o riviste e volumi nei quali venivano pubblicate litografie di quegli artisti ritenuti i più grandi innovatori del segno grafico, a testimoniare come anche grazie alla comunicazione di massa le correnti più innovatrici e lontane dalle accademie si affermarono pian piano nell’immaginario collettivo.

Un’esposizione che attraverso l’analisi delle opere di alcuni tra gli artisti più importanti degli ultimi due secoli ripercorre fondamentali tappe della storia dell’umanità che hanno visto trasformazioni nella concezione del mestiere dell’artista e delle finalità dell’arte stessa, portandola da una dimensione più accademica ad una più intima e personale, che permette che ancora oggi queste opere appaiano ai nostri occhi contemporanee e vicine alla nostra sensibilità.

La mostra, realizzata grazie alla preziosa collaborazione di diversi musei e al prestito di generosi collezionisti, è accompagnata da un catalogo che include le fotografie di tutte le opere esposte.

Durante l’esposizione saranno organizzati eventi che approfondiranno diversi aspetti della cultura a cavallo tra i due secoli presi in esame e, workshop dedicati alle tecniche incisorie.

L’esposizione sarà aperta al pubblico nei seguenti giorni e orari: martedì e mercoledì: 14.30-18.00; giovedì: 10.00-12.30 e 14.30-18.00; venerdì, sabato e domenica: 10.00-12.30 e 14.30-19.00.

Dal 26 al 28 settembre, in occasione della Festa di San Michele, l’orario sarà ampliato dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 23.00. Domenica 29 settembre orario continuato 10.00-23.00.

Patrizia Lazzarin, 6 settembre 2024

        

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Palazzo Maffei: sulle tracce di Virginia Woolf

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Un luogo di delizie per lo spirito e la mente è il seicentesco Palazzo Maffei nel centro storico di Verona. Il suo affaccio su Piazza delle Erbe è uno sguardo sul presente e sul passato: nell’oggi, fra la gente che affolla le sue sale, le piazze e le vie tutt’intorno, nei secoli trascorsi per merito della sua architettura che, nella sua maestosità ed eleganza, richiama i fasti e la teatralità del barocco. E proprio guardando dalla terrazza, dove si arriva dopo aver visitato le collezioni d’arte del primo e del secondo piano, in cui la contemporaneità e l’antico affabulano in un dialogo  fatto di rimandi e di significati, che i nostri occhi rapiti dalle file delle finestre dei palazzi che formano una corolla e da un cielo che sembra avvicinarsi ai rossi tetti di tegole, colgono il senso della meraviglia che nasce da un’affascinante scoperta. Il paesaggio naturale appare legato ai palazzi della città, mentre sullo sfondo una luna del tardo pomeriggio autunnale, brilla nella sua lucentezza bianco-argentea. Viaggiando fra le opere, con la musica che proviene dalle cuffie che da poco abbiamo indossato, seguiamo i passi di una  danzatrice lungo le sale. Sul suo filo di Arianna, simbolicamente steso, percepiamo la bellezza dell’arte che in mille forme si presenta. Il libro, Una stanza tutta per se di Virginia Woolf è la trama su cui la coreografa Camilla Monga tesse, in maniera libera, i suoi fili e le sue mosse fatti di lievi passi  e veloci movimenti che abbracciano il mondo di cose meravigliose che la circonda. Le note che provengono dalle cuffie sono invenzioni di Federica Furlani che  prende ispirazione dalle riflessioni del primo grande compositore ambientalista Raymond Murray Schafer e da Brian Eno. Ammiriamo le opere, soli, anche se accanto ad altri, in una percezione molto particolare che ci fa avvicinare al senso della potenza della creazione. Una stanza tutta per se e cinquecento sterline annue di rendita sono le condizioni minime per una donna che scrive,  raccontava nel suo libro Virginia. Un luogo dove essa possa, senza remore, esprimere la sua intelligenza. Nella libera interpretazione andata in scena a Palazzo Maffei l’energia creatrice degli artisti che, sulle pareti restituiscono una loro visione del mondo, entrava in relazione con i presenti, ora anch’essi registi di una nuova storia di pensiero e di immaginazione. Le pareti restituivano brani della vitalità dell’essere che straordinariamente rimanevano, anche se possedevano un antico linguaggio, leggibili e vicini. Statue greco-romane, dipinti cinquecenteschi, sculture novecentesche, quadri di futuristi, scene sacre e opere cinetiche, solo per citare alcuni stili  e generi, si posano sugli spazi pieni di luce,  come se il tempo fosse saltato, per restituire a noi valori senza limiti di spazio e cronologia. Ogni espressione si completava nell’insieme, mentre le dita della danzatrice mostravano alla fine della coreografia, una delle frasi simbolo del palazzo: l’Arte è la forma più alta della speranza: un aforisma del pittore Gerhard Richter. Incisioni, miniature, disegni, libri antichi, maioliche, bronzi, avori, oggetti di uso quotidiano, come  mobilio e manufatti decorativi e affreschi completano l’excursus nella casa-museo. La Collezione Carlon, qui raccolta, venne iniziata più di cinquant’anni fa. Ogni suo luogo definisce coordinate di forme, colori e significati che  azionano come una molla la nostra immaginazione. L’interesse per la storia artistica veronese si evidenzia nelle opere, fra gli altri, di Altichiero e Liberale da Verona, Bonifacio de’ Pitati, Antonio e Giovanni Badile, Felice Brusasorci, Antonio Balestra e Giambettino Cignaroli. Nella prima sala, capolavori della pittura veronese, tra la fine del XV e l’inizio del XVII secolo, si ammirano accanto a manufatti tardogotici di pregevole fattura e a preziose tele di tema mitologico che si ispirano alle Metamorfosi di Ovidio, alla Teogonia di Esiodo e alle gesta dei poemi omerici. Nella stanza dei Mirabilia i fondi oro di epoca trecentesca e quattrocentesca alludono a uno spazio oltre il visibile come  i tagli sulla tela rossa di Lucio Fontana che ricercano la terza dimensione spaziale. Accanto ai fogli miniati del XIII e del XIV secolo appaiono sulle parete  affreschi di paesaggi con architetture. Ci sono  i panorami e gli sguardi  sulla Verona del Seicento come nella Veduta dell’Adige nei pressi di San Giorgio in Braida dell’olandese Gaspar van Wittel o l’immagine di Piazza delle erbe di Giovanni Boldini, riletta in chiave Belle Époque. Nell’Antiquarium che ricorda le origini del palazzo Maffei, edificato sui resti del Capitolium, il tempio romano del I secolo dopo Cristo, i manufatti lapidei con raffinate decorazioni a punta di trapano a violino sono accostati alla statua di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo, e al Testimone di Mimmo Paladino. Qui la limpidezza dei materiali e delle linee sembra acquistare voce silenziosa, mentre sulle pareti ci guardano i Gladiatori di De Chirico. E’ una sinfonia di colori, dove il bianco e l’avorio condensano l’essenza e la forza dell’esistere. Incontriamo nella passeggiata opere inedite delle avanguardie storiche come il quadro: Canal Grande a Venezia di Umberto Boccioni.  Particolare attenzione viene riservata al Movimento del Futurismo, attraverso le opere dei suoi  principali  “firmatari, o se vogliamo protagonisti: Giacomo Balla, Gino Severini, Carlo Carrà e naturalmente Boccioni. Ci sono i colori di Modigliani, di Casorati, Schifano e  Warhol, in un viaggio dal Realismo Magico alla Pop Art. Ci muoviamo  dalla pittura informale di Georges Mathieu all’astrattista Carla Accardi, da Alberto Burri, a Piero Manzoni e Enrico Castellani che, negli anni Cinquanta e Sessanta  esprimono nuovi valori  nati  dalla consapevolezza di essere una generazione scampata agli orrori della guerra. Nel percorso tra realismo e astrazione sostiamo con stupore davanti al surrealista Renè Magritte, all’incredibile Renato Guttuso e a Pablo Picasso per immergerci infine nelle grandi tele di Emilio Vedova, Piero Dorazio e Giuseppe Santomaso. Si pone attenzione anche  alle creazioni di figure d’artisti più giovani come Chiara Dynys, Leandro Erlich, Giuseppe Gallo, Dan Roosegaarde e Arcangelo Sassolino. L’allestimento museale ha avuto la direzione della storica dell’arte Gabriella Belli.

Patrizia Lazzarin, 7 novembre 2022

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