Scuola: diversi da chi?

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Un seminario all'Ius Rebaudengo di Torino. Il tema, assai attuale: Diversi da chi? è un agile documento del Ministero dell’Istruzione dello scorso anno, che affronta la questione interculturale delle nostre classi da un nuovo punto di vista: gli alunni di origine non italiana possono diventare occasione di cambiamento in una scuola “a colori”, laboratorio di convivenza e di cittadinanza.  Se ne è parlato nel corso dell’affollato convegno “Prospettive interculturali all’alba del Terzo Millennio” organizzato dall’Istituto Universitario Salesiano di Torino, il 17 settembre scorso.

Vinicio Ongini, da anni impegnato al MIUR in questo settore,  ha illustrato i 25 anni di documenti e politiche ministeriali, ricordando che nell’anno scolastico 2013-14 gli alunni con cittadinanza non italiana erano più di 800.000 (il 9% del totale della popolazione scolastica),di cui più della metà  di loro nato in Italia. Il 10,7% dei minori residenti in Italia è straniero, per cui è urgente capire a fondo quali siano le difficoltà che devono affrontare questi “nuovi cittadini”, come è emerso da un’indagine Istat sull’integrazione della seconda generazione: lingua italiana parlata solo dal 27% dei ragazzi in famiglia, scarsa frequentazione dei compagni italiani  fuori dalle aule, un indice di ripetenza maggiore rispetto ai coetanei italofoni, mancato senso di appartenenza all’Italia, frequenza delle superiori ridotta prevalentemente agli Istituti professionali  e tecnici.

Che fare? Diverse le proposte emerse dai vari relatori.

Da quelle più ‘pedagogiche’ e provocatorie di un pedagogista come Raffaele Mantegazza: educare al silenzio, alla passività (lasciare che le cose ti vengano addosso), alla solitudine, al non fare (non voler risolvere tutto, non fare a tutti i costi) per accettare la debolezza dell’uomo contro le violenze degli integralismi. A quelle più operative di Roberta Ricucci, docente di Sociologia dell’Islam: rafforzare l’orientamento scolastico, in ingresso e in uscita, rivedere i percorsi di accompagnamento per le famiglie sin dalla prima infanzia, implementare un’educazione interculturale quotidiana; in sintesi, leggere la nuova realtà non  come emergenza, ma come il futuro che è già presente. A quelle emerse dalle buone pratiche della città: teatro, laboratori sulla cittadinanza, preparazione di mediatori culturali,e dai progetti ministeriali che prevedono l’accoglienza di studenti stranieri in scuole di zone che vanno spopolandosi (il 25% dei territori italiani è abbandonato).  Senza dimenticare che anche la letteratura può avere un suo ruolo importante per mostrare lingue e culture diverse a confronto, per rispondere alle grandi domande esistenziali che interessano tutte le culture.

E se la misericordia può essere un anello di congiunzione fra le diverse religioni e culture, dobbiamo stare attenti al rischio- che ha denunciato  Olivero dell’Ufficio Pastorale per Migranti di Torino - della violenza insita nelle religioni, di per sé integraliste. Solo Gesù ha fondato una religione “laica”, perché una religione non può essere di parte se non vuole essere violenta. Tante testimonianze, attraverso le parole dei testi e attraverso le esperienze di vita reale, hanno mostrato che la convivenza interreligiosa e interculturale è possibil: non nel senso di fare la carità, ma come difesa dei diritti di ciascun individuo, diritto al lavoro, alla casa, ecc.. Basta volerlo!

Clara Manca, Cidi Torino, 6 ottobre 2016

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In piazza gli studenti, non i professori!

I docenti delle scuole italiane scendono in piazza. Non si richiede di «rottamare» le scuole, né di privatizzarle, ma di inserire un po’ di vera meritocrazia. Ma per partire, devono mobilitarsi gli studenti. Che purtroppo quando manifestano si lamentano di vecchi stereotipi come l’assenza del «diritto allo studio» invece di chiedere più «diritto al lavoro » grazie a una scuola migliore. Se anche si iniziasse domani, ci vorrebbero però almeno 10 anni. Che fare nell’attesa? La risposta c’è. Darsi da fare per scoprire le ottime scuole e università che ci sono anche da noi, avvicinarsi prima al mondo del lavoro durante gli studi con esperienze valide anche all’estero e accettare la concorrenza fortissima di tanti che cercano di entrare nei 300 mila neodiplomati e neolaureati che comunque ogni anno anche in Italia trovano lavoro.

Scuola, i professori bocciano il premier

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Miur nel caos, negli atenei mancano i docenti

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Per i prossimi tre anni (fino al 2018), gli atenei possono far ricorso anche ai docenti a contratto per attivare corsi. La normativa vigente, infatti, prevede che ci sia un numero minimo di professori per svolgere un corso di laurea triennale o magistrale, rispettivamente 9 per il primo livello e 6 per il secondo. Fino ad oggi questi dovevano essere di ruolo, con unasoglia massima del 5% di precari. Il decreto dilata (e non di poco) tale quota, fino a un terzo del totale. E questo permetterà di alleggerire i parametri attuali, riducendo in media del 30% il numero di docenti a tempo indeterminato indispensabili. Un articolo di Lorenzo Vendemiale su il Fatto Quotidiano.

Università, la rivolta dei docenti

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