Riunita Collezione Piccolomini Spannocchi

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Nel grande complesso museale di Santa Maria della Scala, in prossimità del  Duomo di Siena, torna a riunirsi la collezione Piccolomini Spannocchi, una delle più importanti raccolte d’arte senesi, espressione soprattutto delle preferenze e degli interessi culturali, in terra toscana, delle grandi famiglie  nobiliari dei secoli scorsi. Il catalogo della mostra, pubblicato da Pacini editore, ripercorre la storia di quella che potremmo definire una pinacoteca all’interno di un’altra pinacoteca, alla stregua di una matrioska russa che dona alla comunità senese, ma anche a tutti i visitatori, uno spaccato dei gusti e della sensibilità esistenti nell’antica città guelfa. Nel 1774 il matrimonio di Giuseppe Spannocchi e di Caterina Piccolomini di Modanella, ultima discendente del suo ramo nobiliare, unisce i due casati insigni ed i loro patrimoni. Giuseppe assunse nell’occasione anche il cognome e lo stemma  della moglie. Entrambe le famiglie godevano di grande considerazione, infatti  quando nel 1750  il granduca di Toscana, Francesco Stefano, promulgò la legge per regolamento della nobiltà e cittadinanza,  i Piccolomini di Modanella  e anche  gli Spannocchi di San Domenico vennero iscritti nel Libro d’Oro dei casati patrizi, riservato ai lignaggi nobili da oltre duecento anni. Racconta nel catalogo Rosanna Bogo: “Le due famiglie avevano radici e storie molto diverse, ma essere proprietari terrieri di origine magnatizia non poneva i Piccolomini su un gradino più alto rispetto agli Spannocchi, legisti, lettori dello Studio e funzionari pubblici provenienti dal popolo delle Arti minori: entrambe le famiglie, infatti, appartenevano ab antiquo al ceto dirigente cittadino e, di conseguenza, alla ‘nobiltà civica’, nata giuridicamente nel 1597 da una sentenza della Ruota senese che dichiarava cives nobiles i discendenti dei ‘riseduti’ nella ‘Suprema Magistratura”.  L’allestimento al quarto livello dell’antico ospedale di Santa Maria della Scala di questa collezione che finora si presentava divisa in diverse sedi ed era poco nota, è il frutto del grande  lavoro di collaborazione fra la Pinacoteca e le Università, e più nello specifico,  di molti studiosi riunitisi in un team creato con questa finalità, fra cui compare la ricercatrice Francesca Scialla In questo spazio sono stati ricongiunti centotrentasette dipinti che assieme ai ventiquattro provenienti dal Museo Civico, ai due della Provincia e ad altri due dagli Uffizi formano una raccolta di 165 opere, tra le quali si ammirano capolavori di Lorenzo Lotto, Giovan Battista Moroni, Paris Bordon e Sofonisba Anguissola. In questo spazio sono stati  ricongiunti centotrentasette  dipinti che  assieme ai  ventiquattro  provenienti dal Museo Civico, ai  due  della Provincia e ad altri due  dagli Uffizi  formano  una raccolta  di 165 opere, tra le quali si ammirano capolavori di Lorenzo Lotto, Giovan Battista Moroni, Paris Bordon e Sofonisba Anguissola, ed in particolare molti dipinti di artisti fiamminghi e tedeschi  che contribuiscono a darle  una precisa fisionomia. L’allestimento è stato preceduto nel 2018 dalla mostra Una Città Ideale. Dürer, Altdorfer e i maestri nordici dalla Collezione Spannocchi di Siena, che ha permesso di conoscere  uno degli aspetti più caratteristici  di questa raccolta, ossia  la forte presenza di opere di artisti del nord Europa. Attraverso i quadri rileggiamo la  storia di una delle collezioni senesi più originali per formazione e tipologia di generi, di scuole ed artisti in essa confluiti. Una  tappa fondamentale  è stata  la sua donazione nel  1835 alla Comunità Civica di Siena. La scoperta nel castello di Modanella, presso Rapolano, di un archivio familiare creduto fino ad ora disperso, ha permesso di ricostruire le vicende della raccolta. Fra queste 165 opere ora di nuovo insieme, alcune sono state messe in relazione per la prima volta con la collezione. Il risultato di questa ricerca è la conclusione fortunata di un progetto firmato nel 2017 tra l’amministrazione comunale di Siena ed il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Essa ci permette di entrare idealmente all’interno delle ville di campagna e dei sontuosi palazzi cittadini del Settecento, dove i grandi proprietari si lasciavano ispirare nella disposizione delle opere nelle sale, dagli stessi criteri della galleria granducale, e si mostravano in grado di apprezzare dipinti di scuola fiorentina, veneta, romana e fiamminga accanto  a quelli di scuola senese, come in modo paradigmatico viene esemplificato dalla raccolta Piccolomini Spannocchi. La quadreria Piccolomini  era formata  da un nucleo di opere provenienti dal Palazzo Ducale di Mantova che si univano a quelle  raccolte in ambito tirolese e trentino da Lidovino Piccolomini. Nella Pinacoteca Nazionale, incontriamo vicini, anche i cartoni preparatori di Domenico Beccafumi per il pavimento del Duomo, di proprietà Spannocchi fin dal Cinquecento. Nel 1774 l’abate Giovan Girolamo Carli redisse un inventario della collezione di opere d’arte nata dall’unione matrimoniale tra le famiglie Piccolomini e Spannocchi. Da qui si evince che gli acquisti della casata Spannocchi si erano indirizzati  in un primo tempo  e fino all’inizio del Seicento verso il mercato locale ed in seguito  si erano  aggiornati sulle nuove tendenze artistiche. Noti documenti hanno identificato Tiburzio Spannocchi nell’acquirente dei celebri cartoni preparatori del Beccafumi per il Duomo senese: il primo passo di un’operazione diretta alla creazione di un nucleo collezionistico a cui appartengono i maestri più noti dell’arte cittadina: la Santa Caterina del Sodoma, il Martirio dei santi Giovanni e Paolo di Marco Pino, i già ricordati cartoni di mano di Beccafumi, insieme a quello che Carli ha definito un «bozzetto» per la sua Natività della Vergine. Carli distinse i  nuclei collezionistici delle due casate, con  l’utilizzo dell’espediente grafico di una ‘S,’ posta a contrassegno delle opere già di proprietà Spannocchi, che permette di intendere  come la maggior parte dei dipinti, delle sculture e degli oggetti d’arte provenisse dalla famiglia Piccolomini di Modanella.  L’accurata descrizione analitica dei singoli pezzi fornita dal Carli costituisce,  ancora oggi, una imprescindibile base per la loro identificazione.

Patrizia Lazzarin, 20 giugno 2021

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Luigi Magnani, il signore della Villa dei Capolavori

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L’ultimo romantico, Luigi Magnani il signore della Villa dei Capolavori. La mostra alla Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo nei pressi di Parma. Colori e figure nei  quadri appesi alle pareti di un’antica dimora si legano  insieme  in un ritmo di arcani rimandi  e originano  vibrazioni nell’animo di chi li osserva. Quelle oscillazioni  si traducono, alla velocità di  un battito d’ali,  in accordi musicali  che  vengono tracciati  sul bianco dello spartito della nostra anima  e, come note di una sinfonia,  interpretano  e disegnano le  nostre emozioni. Dal colore nascono sensazioni  che a loro  volta creano una musica dentro di noi. Si può leggere cosi: L’ultimo romantico, Luigi Magnani, il signore della villa dei capolavori,  il  titolo della mostra che si apre oggi alla Fondazione Magnani - Rocca, a pochi chilometri da Parma, nella verde campagna di Mamiano di Traversetolo. La dimora raccoglie le opere di un grande collezionista nato nel primo decennio del Novecento  e che nella sua parabola esistenziale ha cercato e ha amato il senso del bello nell’arte figurativa, nella musica e nella letteratura. Scrittore, musicologo e  con grosse disponibilità finanziarie, alla stessa maniera di Beethoven che egli adorava e  che componeva catturato dal demone dell’ispirazione, egli cercava nelle opere d’arte un’armonia di suoni, misurata sull’accordo  di linee e di colori.  Viaggiare fra le opere da lui riunite nella Fondazione istituita nel 1977, arredata con pezzi del primo Ottocento che possono gareggiare con una residenza napoleonica, e aperta  al pubblico negli anni Novanta, è precipitare quasi con leggerezza dentro la Bellezza. Nella collezione permanente si possono ammirare, fra i tanti capolavori, la grande tela con La famiglia dell’Infant don  Louis, fratello cadetto del re Carlo III di Spagna,  eseguita negli anni 1783-1784 dal pittore Francisco  Goya, l’Enigma della Partenza di Giorgio De Chirico del 1914 o le atmosfere che annunciano l’alba nel dipinto Falaises à Pourville (Soil Levant) dell’impressionista Claude Monet. Larassegna riunisce accanto alle opere appartenute a  Magnani,  ritratti e autoritratti, provenienti da altri importanti musei   e che raffigurano  letterati, filosofi, studiosi, musicisti,  musicologi e artisti che erano stati suoi ospiti  nella villa di Mamiano  o che aveva conosciuto durante la sua permanenza a Roma.  Diventa un’occasione speciale per veder ripopolate e animate le stanze della signorile dimora con i tanti personaggi appartenuti al  mondo culturale del Novecento, in particolare  di quel momento storico fra le due guerre mondiali. Siamo curiosi di far conoscenza diretta con quei volti che quadri e fotografie restituiscono a noi  nei loro caratteri.  Sono figure  quali Alberto Burri, Carlo Mattioli, Leonardo Leoncillo, Giacomo Manzù, Renato Guttuso, Milton Gendel, Arturo Tosi, Carlo Carrà, Gino  Severini e Giorgio De Chirico. Egli  conosceva beneanche gli artisti Filippo De Pisis, Fabrizio Clerici, Toti Scialoja, Orfeo Tamburi, Arturo Tosi, Fausto Melotti, i critici d’arte Roberto Longhi, Palma Bucarelli e Cesare Brandi, lo scrittore Mario Praz e quello che sarà di lì a poco, nel 1948, unNobel della Letteratura: Thomas Stearns Eliot.  In altri casi sono i documenti e le lettere a rivelarci relazioni come quelle con Bernard Berenson o con Margherita, la sorella della regina Elisabetta.  Luigi Magnani ebbe poi un rapporto speciale con  Giorgio Morandi, ricambiato allo stesso modo dalla stima del pittore bolognese che  aveva appeso  sulle pareti della villa parmense più di cinquanta delle sue opere. Chiacchierate culturali mescolate alla buona cucina allietavano quei luoghi dove erano familiari Eugenio Montale, il critico d’arte Francesco Arcangeli e lo scrittore Giuseppe Ungaretti. Alcune opere raccontano le suggestioni e gli incanti di un’arte che diventa quasi ragione di vita come attraverso le superfici morbide e levigate delLa ninfa nel deserto di Lorenzo Bartolini, o nei rossi e nei blu delle vesti della Madonna delLa sacra conversazione di  Tiziano  o ancora nella classicità senza tempo della Tersicore di Antonio Canova. Il gusto  del Magnani che guardava alla lezione racchiusa nell’antico  e ai messaggi della modernità sono testimoniate dalla qualità delle opere di pittori che da Gentile da Fabriano a Filippo Lippi, da Carpaccio, Durer, Rubens e Van Dick giungono a Renoir, Cezanne, Matisse fino a Burri dando cosi forma concreta alla collezione permanente che possiamo oggi ammirare.  Non amava essere definito un collezionista come riporta anche Stefano Roffi,    uno dei curatori della mostra assieme a Mauro Carrera: dico soltanto che studio, che leggo, che scrivo e improvvisamente non c’è chi non voglia regalarmi quest’immagine di mezzo-antiquario, che non mi corrisponde. Magnani fu un intenditore e un mecenate, che s’incantava solo ai valori della vera pittura, commenta lo stesso curatore. La rassegna esibisce il pianoforte appartenuto all’antico proprietario e anche un’arpa, ma mette insieme anche altri strumenti musicali che giungono da differenti istituzioni museali. Quegli oggetti che riempivano lo spazio mentale di Luigi Magnani, le serate a Villa Nibby a Roma e a Mamiano di Traversetolo e  che ritroviamo,  nel misurare  un tempo, costruito sull’equilibrio  degli spazi di colore, nelle opere che aveva inseguito e cercato. Violini appaiono  ne l’Odalisque di Henri Matisse, strumenti musicali come soggetti ideali nella Natura morta con strumenti musicali di Gino Severini, in quella famosa  di Giorgio Morandinel Citaredo e la Tromba sulla spiaggia di Filippo de Pisis, nella  Natura morta con pianoforte di Renato Guttuso e nei tre Orfeo di Giacomo Manzù: opere a volte  da lui commissionate ai suoi amici artisti. A volte le creazioni tanto inseguite non davano buoni esiti   come con  il ritratto di Giovan Battista Moroni proveniente dal Palazzo omonimo  di Bergamo e che  ora possiamo invece ritrovare nell’occasione della mostra. Il serico tessuto  rosato   che vira al rosso  veste il  giovane uomo e lo stesso colore  sembra spandersi sulle sue gote, e anche al contrario, in un movimento inverso: i  toni  risaltano   di luce accesa a cui fanno da contralto, insieme,  le sfumature grigie e marmoree del fondale e l’ombrosità del paesaggio.  Qui come in uno spartito   le note acute fanno risaltare quelle basse e costruiscono significati.  La mostra  rimarrà aperta fino al  13 dicembre 2020.

Patrizia Lazzarin, 12 settembre 2020

 

 

 

 

 

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