I limiti dell'arroganza

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        Per quanto apparentemente estraneo alle vicende ucraine, il recente incontro indo-americano a Washington ha tradito il complesso di fondo che influenza pesantemente anche il disastro in Ucraina.

       Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha infatti sollevato il tema dei diritti umani, affermando che gli Stati Uniti “sono molto preoccupati per la situazione dei diritti umani in India”. Poco ci mancava che egli chiedesse al suo omologo indiano Jayshankar di fare una pubblica ammenda. In altre parole, Blinken si stava preoccupando della moralità altrui, senza esserne richiesto e senza averne titoli. In più, con una fedina nazionale niente affatto candida.

      Quasi che il fato volesse smentire la sua prosopopea, per una beffarda e agghiacciante coincidenza, qualche giorno dopo, in Michigan, un altro giovane negro di 26 anni, Patrick Lyoya, è stato sparato alla testa da un poliziotto a distanza di qualche centimetro, nonostante egli fosse disarmato, disteso per terra e incapace di nuocere. La facilità con cui un giovane inerme è stato freddato con un colpo alla nuca a qualche centimetro di distanza getta una luce istruttiva sul modo con cui la polizia americana gestisce l’ordine pubblico e, per estensione, i famigerati diritti umani. Chi insomma pensava che George Floyd fosse un caso sporadico e definitivo, era un ottimista.

      L’episodio serve a sottolineare, se mai ce ne fosse bisogno, l’arroganza che la classe dirigente americana, che ovviamente non rappresenta tutta la nazione, non manca di sfoggiare senza alcun pudore. La non richiesta e ormai annosa presenza e interferenza degli Stati Uniti in Europa e nel resto del mondo sono la deriva della suddetta arroganza. E’ stupefacente che nei commentari attuali sugli avvenimenti ucraini nessuno si chieda il perché della suddetta ingerenza, dell’intrusione violentatrice in Europa di una nazione lontana migliaia di chilometri. QUESTO è il vero problema dell’Europa. L’Ucraina è solo una delle conseguenze. Molti hanno già dimenticato i 78 giorni selvaggi bombardamenti in Serbia o quelli in Libia, per non parlare dell'Iraq da oltre un milione di morti. Dov'era allora il corale e pecorile j'accuse mondiale per tali barbarie? I chierichetti europei della morale accusarono Bush e Clinton di essere dei mostri e dei dittatori malvagi? Non risulta. Il contrasto è a dir poco un insulto alla reale parità degli esseri umani. Il fatto è tanto lampante che per dipingere adeguatamente l’omertà e l’apatia europee in proposito l’unico modello è quello di un docile zombi haitiano, marionetta manovrata dal suo stregone.

      Si spiegano così l’assenso e la complicità nei riguardi delle pressioni incendiarie americane, delle ripetute dichiarazioni di Joe Biden, secondo cui Vladimir Putin sarebbe “un criminale di guerra”, rinforzate dalla recente accusa alla Russia di “genocidio”. Quest’ultima accusa in particolare, oltre che essere palesemente falsa, proviene dal rappresentante di una nazione che nel XIX secolo provocò lo strisciante ma inarrestabile genocidio delle popolazioni indiane. Il colmo della spudoratezza. Per bocca del suo più alto rappresentante, una nazione che ha inoltre al suo attivo milioni di morti, di stragi e di massacri già solo negli ultimi 20 anni, diffonde accuse che dovrebbe rivolgere per prima a sé stessa. Il contagio di questa delirante retorica è stato quasi immediato, e già i pappagalli e gli imbecilli di turno hanno iniziato anch’essi a copiare il lessico relativo.

       Il caso di Joe Biden è ovviamente ancora più delicato e inquietante.  Chi si è preso la briga di seguirne le apparizioni pubbliche e i suoi discorsi degli ultimi mesi, non può non aver notato che il declino comportamentale e cognitivo dell’uomo peggiora a vista d’occhio di giorno in giorno. Un individuo visibilmente incapace di articolare discorsi senza confondersi, che urla, che stringe mani di persone inesistenti e cammina quasi inebetito. Ci sarebbe da compatirlo, data l’età, ma il problema è che l’uomo incita il mondo all’odio, mira a distruggere ed annientare un intero Paese con sanzioni sempre più estese, facendo false affermazioni, firmando inoltre decreti su decreti di forniture militari all’Ucraina sempre più massicce e sofisticate.

       Un crescendo di livore senza fine, un modo subdolo e protervo di fare la guerra alla Russia per interposta persona e senza un minimo di “esame di coscienza”, direbbe un tipico confessore. L’irresponsabilità è sempre grave, anche in una persona equilibrata e lucida. Quando però si manifesta in un individuo palesemente in declino psico-fisico, essa è doppiamente pericolosa e può avere conseguenze devastanti. E’ pertanto incomprensibile come in questo delirio guerresco il Presidente americano sia seguito da una folla di masochisti in Europa, che dovranno ospitare e sfamare milioni di profughi e spiegare inoltre alle masse silenziose e abuliche il perché di una profonda crisi energetico-alimentare (rincaro di petrolio e grano e a catena di tutto il resto) di cui si vedono ora solo gli inizi.

       Non meno incomprensibile, inoltre, che l’establishment di Washington e il Partito Democratico siano così stranamente apatici e silenziosi. Prevale un’interessata omertà - le previsioni per le elezioni di medio-termine non dicono nulla di buono per i Democratici – ragion per cui i palesi segni di declino cognitivo di Joe Biden sono eufemisticamente definiti come delle innocenti “gaffes”. In realtà, se le stesse fossero commesse da un modesto militare o un semplice funzionario, non vi è il minimo dubbio che quest’ultimo sarebbe stato già da tempo rimosso dalla posizione. Nel frattempo, l’inflazione che era all’1,4% a inizio mandato presidenziale, ora è arrivata all’8,5%. Tutta colpa di Putin, tuona Joe Biden, ma nessuno ci crede. Il basso livello (33%) di gradimento della sua gestione lo attesta.

      Cosa attendono quindi i due Partiti per arginare questa pericolosa escalation verbale, economica e materiale, questo aizzare gli animi anziché calmarli? Si dirà che, dietro le quinte, l’intramontabile Complesso Militare Industriale che governa gli Stati Uniti, chiamato anche “Governo Invisibile“ (vedi D. Wise and Thomas Ross, The Invisible Government, 1964), è in realtà il vero motore di questa follia. Ma ciò non ne diminuisce i rischi. Rimane il fatto che, non contenti di aver rinforzato e ampliato la NATO negli ultimi 20 anni e trasformato l’Europa in un aggressivo arsenale militare rivolto ad est, anziché promuovere il dialogo e farsi mediatori di una risoluzione pacifica della guerra, adesso gli Stati Uniti hanno iniziato ad inviare in Ucraina anche armi sempre più sofisticate e letali (vedi gli ultimi 800 milioni di dollari di questi giorni). Guarda caso, nello stesso periodo, la Russia non stava affatto potenziando le sue strutture militari ad ovest, finchè l’ostinata e spavalda espansione della NATO e il rifiuto di fornire reciproche garanzie di sicurezza non ha provocato l’invasione.

      Anche se i dilettanti e i Farisei hanno addossato tutte le colpe a Putin, non bisognerebbe mai stancarsi di ricordare che ciò che sta avvenendo adesso era già stato previsto molti anni fa. Negli Stati Uniti, e non in Europa, cosa che testimonia il livello di apatia e cecità di un’Europa sempre più degradata.    

     Già Noam Chomsky osservava nel 2015 che nessun Russo avrebbe mai accettato un’Ucraina nella NATO, evento considerato una minaccia strategica per la Russia. Nello stesso anno, anche John Mearsheimer, dichiarava che “l’occidente sta conducendo l’Ucraina verso la rovina e l’Ucraina corre il rischio di essere ridotta in macerie.” Fatale e profetica profezia!  Ma assieme a costoro anche altri – una legione – predissero le stesse cose. Lo aveva già predetto  Ted Galen Carpenter, addirittura nel lontano 1994, in un libro intitolato “Beyond Nato: Staying out of Europe’s Wars”. Lo avevano intuito e denunciato personaggi come Stephen Cohen, Professore Emerito di studi russi a Princeton; Madeleine Albright e Strobe Talbot, rispettivamente Segretario e Sotto-Segretario di Stato sotto Bill Clinton; George Kennan, padre dei sovietologi americani; Robert Gates, Segretario alla difesa sotto Bush e Obama; Steven Pifer, ambasciatore americano in Ucraina dal 1998 al 2000;, Thomas Friedman, uno dei più noti commentatori americani di politica estera; Patrick Moynihan, uno dei più autorevoli e colti membri del Senato; John Matlock, ambasciatore in Unione Sovietica dal 1987 al 1991; William Perry, Segretario alla difesa sotto Clinton e Obama, etc. etc.

     Come dire che “tutti” lo sapevano ed erano stati avvertiti ad abundantiam che la Russia avrebbe considerato l’avanzata della NATO come una minaccia alla sua stessa esistenza e avrebbe reagito militarmente. Tuttavia, le Amministrazioni, inclusi il sorridente Bill Clinton (promotore della spinta della NATO ad est) e il quasi compunto Barak Obama, andarono avanti con imperturbabile ostinazione, armando già da allora l’Ucraina. Quanto le orecchie furono e siano sorde al buon senso lo dimostrano le parole del già menzionato Blinken, che agli inizi del 2022 ha spavaldamente reiterato che “le porte della NATO sono aperte, rimangono aperte, e questo è il nostro impegno.” Frase che, ridotta alla cruda sostanza, significa: “Si fa così. Punto e basta”. L’arroganza non muore e Antony Blinken può dare la mano al suo degno collega incendiario, l’inespressivo e acido predicatore anti-russo, e cioè, Jens Stoltenberg.

        Le suddette caratterizzazioni personali possono sembrare fuori luogo, ma servono in realtà a focalizzare eventi e persone in termini più realistici e oggettivi di quanto la retorica convenzionale e l’illusoria aridità della geopolitica non vorrebbero far credere. Checchè ne pensino gli economisti, i moralisti, i predicatori religiosi o i cosiddetti Filosofi della Storia, guai a trascurare il peso e il ruolo degli individui nelle vicende storiche. Guai quindi a trascurare la possibilità che queste ultime vengano influenzate da degli stupidi e da decisioni stupide. Chi è lo stupido? Banalmente, chi non applica il buon senso, è miope, non usa la prudenza, persegue con arrogante ostinazione i suoi scopi, non riesce a guardare lontano, si accontenta dei benefici immediati, non riflette sugli effetti negativi delle sue azioni e insomma manca di equilibrio e moderazione. Ecco perché individui come Mussolini sono stati prima di tutto dei pericolosi stupidi. L’immoralità o la malvagità vengono dopo. Sono le derive ed etichette supplementari della stupidità. Essa è il peccato più grave e devastante. In altre parole, quando si cerca di capire e interpretare molte vicende storiche, e il disastro ucraino è una di queste, non bisognerebbe mai trascurare le deficienze psichiche e mentali di individui e gruppi che si trovano in posizioni di potere. Come dire che sempre più le pretese egemoniche degli Stati Uniti sono diventate una patetica ma anche pericolosa arena per gli stupidi.

        Ecco perché non si saprebbe che altro aggettivo usare per le annunciate probabili intenzioni di Svezia e Finlandia di chiedere l’ingresso nella NATO. Un’ulteriore provocazione e una clamorosa irresponsabilità. L’ostinazione nell’ostinazione. Quando e dove l’Unione Sovietica post-bellica e poi la Russia post-1990 hanno mostrato ambizioni territoriali nei confronti della Svezia e della Finlandia? Agli occhi della Russia, l’ingresso delle due nazioni nella NATO vorrebbe dire completare la tenaglia. Perché stupirsi, se i Russi minacciano di posizionare armamenti nucleari lungo il Baltico? In situazioni simili,  Stati Uniti, Cina, India e altre nazioni reagirebbero allo stesso modo o peggio. Questo per dire che chi è senza peccato, scagli la prima pietra. Se Putin è oggi (costretto ad essere) brutale, come sostengono gli altoparlanti mondiali, una cosa è certa: i suoi avversari non sono meglio di lui, con la differenza che sono travestiti da agnelli.  

       Anche se tutto ormai mostra un’’Europa diventata, salvo rarissime eccezioni, un Protettorato di docili cortigiani, l‘arroganza americana rischia questa volta di giocare col fuoco. Forse confondono la Russia con l’Iraq. Lo suggerisce la lettera recentemente inviata dalla Russia al Dipartimento di Stato, dove si avverte che la fornitura di armi pesanti e di lunga gittata all’Ucraina avrà imprevedibili conseguenze. Se si ricorda, per lungo tempo la Russia tenne ammassate le sue truppe al confine ucraino, in attesa di positive risposte americane  riguardo al futuro dell’Ucraina e alla necessità di garanzie territoriali. L’invasione iniziò puntualmente quando Mosca ricevette un rifiuto.

       Sotto molti punti di vista, la situazione è adesso assai simile. Solo degli irresponsabili possono sottovalutare le possibili reazioni di una nazione sempre più accerchiata e sente minacciata la sua sicurezza. Gli Stati Uniti stanno scivolando in una trappola che essi stessi hanno caparbiamente costruito negli anni. I confini fra un conflitto russo-ucraino e un conflitto russo-americano si stanno facendo sempre più labili. Un nonnulla può condurre a uno scontro diretto.

        Non ne vale la pena.

        Fra l’altro, in questo caos che sta costando migliaia di vite umane da una parte e dall’altra, molti fanno finta di dimenticare che, con la loro annosa intromissione, Europei e Stati Uniti hanno acuito le tensioni di una nazione già divisa al suo interno, di un’Ucraina occidentale filo-europea e di una parte orientale, il Donbass, filo russa. Di un’Ucraina dove – come già osservava Stephen Cohen vari anni fa – esiste un significativo 30% di neo-fascisti ultra-nazionalisti al governo. Di un’Ucraina dove anche i filo ucraini parlano il russo più dell’ucraino e dove la regione etnicamente più russa ma anche la più ricca e industrializzata è proprio quella orientale. Come dire che se il Paese aveva già dei problemi strutturali ed etnici, il dissennato pungiglione dei presunti amici europei li ha esasperati ancora di più.

       Qual è il risultato? Un disastro, di cui i primi a rimetterci sono stati gli Ucraini. Gli altri, i presunti amici ed alleati - vedi il battagliero Stoltenberg e tutti gli altri – non rischiano nulla, neanche la poltrona. Al disastro si unisce anche uno scenario surreale. Lo suggeriscono le apparizioni di Zelensky in perenne teatrale maglietta, che chiede sempre più armi, chiama l’Europa a raccolta (ovvero a fare la guerra), snobba il Presidente tedesco che vorrebbe visitarlo, ma passeggia sorridente con l’istrionico Boris Johnson, che impudentemente invia istruttori militari a Kiev e non perde insomma un’occasione per far dimenticare i suoi party con birra e champagne in periodi di clausura covid.

       Tragedia e assurdità.

       Quest’incredibile arroganza da gendarme del mondo che non accetta altre comparse, questa generalizzata incoscienza, questi supposti leader inappropriati al loro ruolo valevano la rovina dell’Ucraina e di tante vite? Valgono davvero il rischio di un conflitto allargato e con spettri nucleari? No. Però, ogni giorno che passa, le erratiche intemperanze di un uomo dal dubbio equilibrio psichico, le velleità della classe dirigente ucraina e gli show di istrioni e carrieristi stanno sempre più avvelenando l’atmosfera con conseguenze del tutto imponderabili.

Antonello Catani,  17 aprile 2022

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Dalle Salomone all'Ucraina

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        Il bombardamento di notizie sull’attuale guerra in Ucraina sempre più offusca e distorce il suo scenario di fondo e le sue vere ragioni.

        Per quanto ciò a prima vista possa apparire paradossale, le vicende che ruotano attorno a un signore chiamato Manasseh Sogavare e che vive a 13.500 chilometri dall’Ucraina offrono una lente più attendibile della dilagante ipocrisia e demenziale irresponsabilità che sta affliggendo l’Europa.

        Il suddetto signore è in realtà il Primo Ministro delle Isole Salomone (fra cui la famosa Guadalcanal), sperdute nel Pacifico e abitate da circa 700.000 anime. Nel 2019 il minuscolo Stato interruppe il suo rapporto diplomatico con Taiwan e stabilì relazioni ufficiali con la Cina. Le notizie del progetto di un patto di sicurezza e di concessione di scali costieri per rifornimenti e provviste della marina militare cinese – la stipulazione dell’accordo è nelle sue fasi finali – hanno mandato in tilt ben tre capitali, da Washington a Canberra a Wellington, preoccupatissime per “la sicurezza della regione” (sic). Tale fu la preoccupazione di Washington che il servizievole Mike Pence – a questo servono i Vice-Presidenti – fu inviato immantinente alla capitale Honiata per far presente al signor Sogavare che gli Stati Uniti non gradivano la mossa. Il viaggio di Mike Pence non diede i risultati sperati e adesso le Isole Salomone e la Cina si apprestano a siglare il malvisto accordo. Nel frattempo, il Ministro della difesa australiano, Peter Dutton, ha dichiarato che pur rispettando la sovranità delle Salomone, l’accordo tradisce “le mire aggressive della Cina nella regione”(sic). Per concludere sul signor Sogavare, è bene ricordare che le Salomone distano 3300 chilometri dall’Australia e 7500 dagli Stati Uniti.

       Trasportiamoci adesso in Europa.

       Gli Stati Uniti, che si preoccupano della concessione di alcune stazioni di rifornimento alla flotta cinese in isole distanti ben 7500 chilometri dalle loro coste, hanno 100.000 soldati in Europa, inviano mastodontiche quantità di armi all’Ucraina e possiedono un centinaio di super-agguerrite basi militari nel solo continente europeo - bombe atomiche incluse - senza contare le basi in Turchia e in Gran Bretagna e le altre centinaia nel resto del mondo. Da notare che la distanza fra New York e Mosca è di 7.500 chilometri. In quanto all’Australia, che dista ben 14.500 chilometri dalla Russia, il Premier Morrison tuona contro Putin e  si è precipitato ad inviare anche lui armi all’Ucraina.

       Cosa si deduce da queste clamorose contraddizioni? Non contenti di considerare l’intera America del sud off-limits (vedi la dottrina Monroe), gli Stati Uniti sembrano considerare anche il Pacifico (che è piuttosto grande) come un loro lago privato e sono anche riusciti a trasformare l’Europa in una docile fantesca, a cui prescrivono con chi può tenere relazioni, da chi può comprare le cose che le servono per sopravvivere e per di più obbligata ad ospitare per l’eternità la loro ingombrante presenza.

       Il preambolo potrà sembrare inusuale, ma è di certo di gran lunga più realistico e ancorato alla realtà delle farneticanti proiezioni riguardo alle vicende attuali. Fra di esse primeggiano quella secondo cui “la Russia è una minaccia per  l’Europa”e quella che vede Putin desideroso ripristinare “l’Impero degli zar”. Un minimo di buon senso e di  elementari nozioni di storia e geografia suggerisce che si tratta di scempiaggini. L’ossessivo e martellante oratorio delle supposte atrocità commesse solo dai “cattivi”, cioè, sempre e solo dai Russi, senza però effettive investigazioni indipendenti e neutrali, contribuisce a rendere ancora più fosco il nemico. Ovvero, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Ogni volta che il Manicheismo impera, c’è da sospettare.

        Quando quindi uno degli incendiari più accaniti del caos attuale nonché cortigiano laureato, e cioè, Jens Stoltenberg, afferma con sicumera che “il Nord America e l’Europa devono lavorare uniti per la nostra comune sicurezza”, egli sta legittimando le pretese americane di considerare anche l’Europa come una zona dove può essere minacciata la propria sicurezza. L’impudenza del richiamo alla “sicurezza”, con postazioni missilistiche alle porte della Russia, e l’allarme degli USA per delle stazioni di scalo in affitto ai Cinesi, a 7500 chilometri di distanza dalle coste americane, è praticamente indefinibile.

       In questa cornice di disinvolta ipocrisia, i vari leader – la summenzionata fantesca – non sembrano rendersi conto che il continuo afflusso di armi all’Ucraina serve solo a incattivire gli animi dalle due parti e a prolungare la guerra. Tutto suggerisce che il prolungamento della guerra sia in realtà strumentale alla strategia americana. Ogni giorno che passa, diventa infatti sempre più chiaro che il vero scontro non è fra Russia e Ucraina ma fra Stati Uniti e Russia. Lo scopo è quello di annichilire quest’ultima. Perché? Se fosse perché gli Stati Uniti sono una nazione democratica e invece la Russia una nazione autoritaria, ci sarebbe solo da ridere.

      L’irresponsabile e scervellata frenesia sanzionistica che imperversa oggi in Europa, promossa  e sostanzialmente pretesa dagli Stati Uniti,  ne è la prova lampante. Il fatto che l’opinione comune stia in genere assorbendo senza un pizzico di critica e di perplessità questo torrente di menzogne, di deformazioni e di malafede la dice lunga sul livello di plagio collettivo in atto. Il masochismo dell’Europa e l’insistenza con cui i suoi supposti leader ma anche individui come il Consigliere per la Sicurezza Nazionale americano, Jack Sullivan, pretendono di descrivere Putin come un genio maligno e la Russia come un pariah mondiale, campione di atrocità e efferate crudeltà, sono semplicemente incredibili. Quest’ultimo in particolare, assieme al suo collega Segretario di Stato, dimentica con disinvoltura i disastri e le stragi ad opera degli USA praticamente in ogni parte del mondo. Che adesso Joe Biden accusi la Russia di genocidio costituisce un insulto all'intelligenza. Farebbe bene a chiedere a Noam Chomsky cosa pensa dei crimini commessi dai Presidenti americani da Eisenhower in poi.

      Addirittura, in un crescendo di surreale irresponsabilità, si odono voci di possibile ingresso nella NATO anche di Svezia e Finlandia e di aumento di truppe ai confini con la Russia. Il colmo della paranoia. Come dire che l’accerchiamento deve proseguire. Cose da pazzi. Pochi si rendono conto che tale protervia minaccia di avere conseguenze imponderabili. E’ tipico.

       Del resto, anche le ricadute economiche di questo vortice senza controllo sono ormai sempre più visibili. Ovviamente, esse non colpiranno i vari cortigiani e improbabili leader che da Bruxelles ma anche da Londra moltiplicano le sanzioni e l’invio di armi in Ucraina. I loro stipendi gli consentono di non avere problemi per il rincaro energetico e dei generi di prima necessità. Colpiranno il resto della popolazione, ovvero il 99,% dell’Europa. C’è qualcuno che se ne preoccupa? Pare di no, a parte isole di moderazione e buon senso come l’Ungheria. L’atteggiamento di Bruxelles nei confronti di quest’ultima la dice lunga sulla saggezza politica e sulla mentalità di chi gestisce la UE. Esso costituisce un esempio delle tendenze ormai sempre radicate a Bruxelles. Dichiarare “vergognosa”, come ha fatto Ursula von der Leyen, la legge ungherese che proibisce l’inclusione dell’omosessualità nei programmi scolastici, il relativo congelamento di 7 miliardi di euro di aiuti per il Covid a causa di tale legge e le affermazioni del Primo Ministro Olandese, secondo cui “non vi è posto nella UE per l’Ungheria”, illustrano il grado di totalitarismo travestito da liberalismo che dilaga sempre più sfrontato. In realtà, un’unione coatta, fondata sul vassallaggio e su diktat ai membri anche in questioni di educazione rischia di provocare fratture poco rimediabili.  

        Uno dei problemi di fondo della UE è l’emergere dell’intolleranza e del moralismo da strapazzo, di un piegarsi alle mode – anche il plauso dell’omosessualità è diventato una moda e guai a chi non si associa – e in generale lo scollamento fra la retorica e i reali problemi dell’Europa. Si badi, dell’Europa e non della NATO, ovvero del “collare” atlantico.

        Un altro, non meno fatale, è infatti l’aberrante sovrapposizione, ormai interscambiabilità e identificazione della UE con la NATO.  Si tratta di un veleno, di  un madornale e demenziale errore, che nulla di buono ha regalato all’Europa, salvo una sudditanza sempre più controproducente e miseranda, e adesso un conflitto che l’Europa pagherà sempre più caro e le cui ramificazioni superano di gran lunga l’Ucraina. L’Europa sta buttando a mare il suo futuro di indipendenza e nuovi orizzonti strategici a causa della mancanza di visione e di coraggio nello sganciarsi da una tutela soffocante e settuagenaria. La stessa Ucraina si è lasciata plagiare da una classe dirigente miope o velleitaria e da strategie di strumentalizzazione. Risultato: sia l’una che l’altra stanno sempre più affondando in un disastroso pantano. E il comodo e facile capro espiatorio è la Russia…

       Non c’è da consolarsi se tale madornale errore è esattamente speculare a quello degli Stati Uniti, patologicamente afflitti da una sbornia egemonica e da un’inguaribile Russo-fobia. La cosa più sorprendente è che proprio una legione di eminenti Americani abbia cercato, invano, di dissuadere le varie Amministrazioni da questa sindrome obsoleta e paranoica, utile solo ai grandi fabbricanti di armi. Questi Americani, che non erano e non sono affatto comunisti, socialisti o anarchici, ma anzi fervidi patrioti, fanno onore agli Stati Uniti e sono da ammirare. Non esistono voci analoghe in Europa. E questo è triste. Il risultato di  tale ostinazione anti-russa è adesso l’avvicinamento Russia-Cina e forse anche dell’India. Non è un caso che alti dignitari americani ma anche britannici e russi abbiano visitato l’India nelle ultime settimane - Modi ha però ricevuto solo quello russo - e che a Washinton si siano incontrati questi giorni i rispettivi ministri degli esteri e della difesa dei due Paesi e sia avvenuto un incontro virtuale fra Joe Biden e Narendra Modi. Se lo scopo era quello di ridurre gli acquisti indiani di petrolio russo e insomma di scollare l’India dalla Russia, le taglienti dichiarazioni di Jaishankar – “l’Europa acquista in un pomeriggio dalla Russia ciò che l’India acquista in un mese” – mostrano che l’India non ha nessuna intenzione di piegarsi agli inviti americani in materia. Di fronte alla non inverosimile prospettiva di una possibile triplice alleanza asiatico-russa diventa quindi ancora più incomprensibile come l’Amministrazione di Washington non riesca a togliersi l’intossicante ed arcaica camicia russo-fobica e lasci perdere schemi che da decenni hanno perduto di significato, cosa che, tradotta, vorrebbe dire sbarazzarsi della NATO e trasformare la Russia in un prezioso alleato.

       In realtà, con tutti i suoi difetti da dilettante e da imprenditore in odore mafioso, almeno Trump aveva un senso più pratico delle cose: non credeva nella NATO e non vedeva in Putin “il nemico” per eccellenza. Il suo successore, al contrario, sta dando prova di una pericolosa ostinazione nel colpire la Russia, fra l’altro adesso acuita non solo dal suo visibile declino fisico e cognitivo ma anche dalle indagini a livello federale che riguardano le ambigue e ormai documentate transazioni per milioni di dollari del figlio Hunter e del fratello James, avvenute durante la sua vice-presidenza e guarda caso con partner ucraini, russi e cinesi!.

        Se uno guarda alla sequenza temporale degli eventi, una coincidenza sembra indiscutibile: il caos ucraino, la battaglia delle sanzioni, la frenesia armigera di Washington esplodono con la presidenza di Joe Biden. Non prima. Non a questi livelli. La sua sempre più livida crociata contro Putin aumenta inoltre man mano che si abbassa il suo indice popolare di gradimento e stampa e autorità federali intensificano le investigazioni sulle transazioni finanziarie della famiglia.  Può sembrare una fantasia romanzesca, ma la coincidenza rimane.

       In conclusione, solo un ascesso di Russo-fobia? Un declino psico-somatico? Un tentativo di distogliere l'attenzione dalla galoppante inflazione e rincaro dei prezzi e quindi riguadagnare il favore popolare in vista delle prossime elezioni di medio termine? Oppure una fuga in avanti riguardo a possibili trascorsi familiari ucraini?

       Difficile dirlo. L’escalation degli eventi suggerisce che gli autori e co-autori di questo caos sono ormai prigionieri di un vortice che sta diventando sempre più incontrollabile e sempre più pericoloso.

Antonello Catani,  13 aprile 2022

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Nato, un esercito permanente al confine?

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La Nato sta lavorando a un piano per rendere la presenza militare permanente sul confine orientale nel tentativo di combattere future aggressioni russe, ha scritto il Telegraph, citando il segretario generale Jens Stoltenberg. Il Nato-Russia Founding Act del 1997 dice che la Nato "svolgerà le sue missioni di difesa collettiva e altre missioni attraverso l'interoperabilità, l'integrazione e la capacità di rinforzo, piuttosto che con un ulteriore stazionamento permanente di forze di combattimento sostanziali sul territorio dei nuovi membri".. Il commento di Emanuele Rossi su Formiche.

La Nato si prepara a cambiare registro per arginare la Russia

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