E se non fosse poi così cattivo e maldestro?

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Poco tempo fa, in un’intervista al The Guardian, il candidato americano alla presidenza, Donald Trump, ha fatto alcune osservazioni di sconcertante e imprevedibile buon senso, che contraddicono la sua immagine di personaggio maldestro e istrionico. A proposito della Siria, egli ha detto che Washington sostiene dei “ribelli” che non sa neanche chi sono e che potrebbero essere peggiori di Assad. Non avrebbe potuto dire nulla di più veritiero e realistico. Tutti sembrano aver dimenticato che anche in Libia vi erano dei cosiddetti “ribelli” e adesso si scopre che la maggior parte di costoro, di non chiara ascendenza e di ancora più dubbia tolleranza, sono infinitamente peggiori del Colonnello Gheddafi.

       Egli ha inoltre sostenuto, usando un cortese eufemismo, che l’intervento americano in Iràq “non è stato utile” e che il risultato è “il disastro attuale”. Di fatto, il disastro ha una catastrofica e dilagante estensione, visto che va dall’Iràq fino almeno alla Libia, senza dimenticare varie zone dell’Africa sub-sahariana e orientale. Visto che regolarmente tutte queste aree sono di confessione islamica e con inclinazioni fondamentaliste e che si tratta di Paesi al limite della sopravvivenza fisica, pecchiamo di fantasia nel rimarcare come l’unico elemento capace di spiegare l’attivismo dei vari ribelli e terroristi di turno sia un flusso ininterrotto di denaro, che odora ovviamente di petrolio?

      Per un candidato accusato d’improvvisazioni istrioniche, di dilettantismo, di demagogia verbale, etc., le suddette opinioni e quindi i dubbi sulla ragionevolezza dell’attuale politica americana di sostegno all’opposizione siriana costituiscono un inatteso ma onorevole esempio di lucidità, saggezza e onestà, che sembrano essersi altrimenti perse per strada ai due lati dell’Atlantico. Date le mancate analoghe dichiarazioni in merito da parte della candidata democratica Hillary Clinton, dobbiamo supporre che, in caso di elezione, l’eventuale futura politica estera di quest’ultima sarebbe una malinconica ripetizione degli sciagurati errori – ma anche questo è un eufemismo - commessi in Medio oriente dalle amministrazioni americane precedenti con la connivenza di una Gran Bretagna pronta a versare olio nel fuoco. Essa lo ha fatto con la Crimea e lo sta facendo in maniera altrettanto ossessiva con la Siria, tramite il giornaliero supporto della BBC, che dovrebbe cessare di fare politica estera ed essere più neutra, salvo che l’accanimento nei confronti della secessione in Crimea non sia una sorta di cosciente esorcismo contro gli spettri di secessioni casalinghe (Scozia, Irlanda del Nord, Galles).

        Le quotidiane scene di bambini piangenti nelle strade di Aleppo bombardata o i visi stravolti dei profughi che scappano, martellanti nel loro sensazionalismo melodrammatico, omettono di menzionare che tutto questo è il risultato appunto dei sostegni dati in questi anni ai fantomatici e misteriosi “ribelli”, di cui parla Mr. Donald Trump. Omettono inoltre di menzionare che prima dell’arricchimento dei vari intolleranti e certo ben poco democratici Stati islamici della Penisola Araba, e della scandalosa collusione strategico-militare con costoro da parte di USA e Gran Bretagna, di terrorismo, di ribelli e di profughi, almeno siriani, non si sentiva parlare. In quanto a quelli palestinesi, una cosa si può affermare senza tema di errori: non risulta che nessuno Stato islamico ricco, in nome della tanto conclamata fratellanza islamica, si sia mai offerto di ospitarli.

Un’altra annotazione a favore di Mr. Trump, o comunque della sua schiettezza, riguarda i suoi propositi di controllare il flusso dell’immigrazione islamica, intenti del tutto ragionevoli, visto che il terrorismo fondamentalista  si presenta regolarmente con un volto islamico, e non buddista, shintoista, lamaista o cristiano. 

      Quando egli sostiene che bisogna ricostruire l’America, sta implicitamente ammettendo che questa nazione - grande, per chi avesse dei dubbi - soffre però di vari mali, che andrebbero curati.  Per quanto egli non le citi espressamente, le tensioni razziali, evidentemente mai sopite, e le ricorrenti eruzioni di violenza gratuita di massa, assai rare in Europa, sono certamente uno di questi mali.

       Infine, certe sue affermazioni che hanno suscitato scandalo nell’establishment americano, e cioè, che Vladimir Putin è un leader forte e autorevole nel suo Paese, sembrano suggerire che probabilmente, in caso di sua elezione, non avremmo nuovamente il penoso spettacolo di due grandi leaders che a stento si parlano.

Almeno per tali posizioni e affermazioni bisogna ringraziare Donald Trump al quale, essendo egli americano e anzi rivendicando “un’America nuovamente forte”, non può certo essere mossa la nota ma pigra accusa di essere anti-americano. 

       Quale che sia il risultato delle elezioni presidenziali americane, la speranza più fervida è che il futuro della politica estera di Washington non riservi un deludente dèja vu. 

Antonello Catani

Atene, 6 ottobre 2016

 

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