Erdogan minaccia l'Europa e alza il prezzo

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Non è certo la prima volta che le masse di migranti desiderose di raggiungere l’Europa sono strumentalizzate e abusate per fini politici, economici o strategici. Avviene quotidianamente in Libia. E adesso si ripropone drammaticamente nelle ultime mosse di Recep Tayyip Erdogan. Costretto con le spalle al muro dalla sanguinosa offensiva militare nell’enclave di Idlib lanciata brutalmente dal regime siriano, sostenuto dalle milizie sciite filo-iraniane e soprattutto da Vladimir Putin, il presidente turco non esita a sfruttare la questione migranti per spingere l’Europa e con essa l’intera comunità internazionale ad ascoltare le sue ragioni. Ma è proprio la flagrante e repentina violazione degli accordi firmati con la Ue nel 2016, per cui Bruxelles s’impegnava a pagare 6 miliardi di euro affinché la Turchia trattenesse i migranti all’interno dei suoi confini, che rivela le gravi difficoltà di Erdogan. Il commento di Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera.

La Turchia apre la frontiera, fuga dalla Siria, Europa nel panico

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Il punto debole (e le vere intenzioni) di Vladimir Putin

Quando Putin annunciò la sua intenzione di riscrivere la Costituzione russa, a metà gennaio, l’interpretazione degli osservatori fu unanime: lo Zar intendeva mantenere il potere anche dopo la scadenza del 2024, probabilmente nei panni di capo di un Consiglio presidenziale dotato di nuovi poteri. Analisi indubbiamente corretta. Ma ora, passato un po’ di tempo ed entrato in carica il nuovo primo ministro Mikhail Mishustin, si scopre che il piano di Vladimir Putin ha un grande punto debole: l’andamento dell’economia russa nei prossimi quattro anni, a fronte di impegni internazionali sempre più gravosi e costosi. La Siria viene ormai considerata a Mosca un regalo avvelenato di Donald Trump, in Ucraina malgrado qualche progresso la pace è ancora lontana e sostenere il Donbass è un vero salasso, la presenza in Libia al fianco del cirenaico Haftar rientra in un progetto africano e mediterraneo del Cremlino ma divora risorse, le sanzioni occidentali sono sempre in vigore e ora gli effetti del coronavirus promettono di far scendere il prezzo del petrolio. Questo mentre buona parte della società russa è già tornata a impoverirsi, e il consenso popolare nei confronti di Putin è notevolmente sceso. Esiste il pericolo, deve aver ragionato Putin, che tra quattro anni io non sia più in grado di attuare il mio disegno costituzionale perché l’andamento negativo dell’economia mi avrà privato del necessario consenso, popolare ma anche delle alte sfere che oggi mi sono ancora fedeli. Dunque, caro primo ministro Mishustin, questo è il tuo compito: invece di risparmiare o di raccogliere tasse come facevi prima, spendi, alimenta la crescita, migliora le condizioni di vita della gente, e che sia chiaro che questo ordine viene da me. Pare che il tesoretto a disposizione del Premier sia di circa 130 miliardi di dollari. In tempo per il 2024

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Tripoli, la pace (quella vera) si allontana

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Ma come sarà il Day Haftar? Prima che a Mosca o a Berlino, dove si sapeva che le conferenze di tregua sarebbero fallite, i tripolini avevano già capito che in Libia sarebbe finita come sempre. Con la solita guerra di posizione. Con le solite posizioni in guerra fra loro. Domani, sulle montagne di Bani Walid, a riunirsi e a parlare di pace ci provano i capi delle tribù: è solo un po’ d’orgoglio della volontà – il futuro della Libia si decide qui, non a casa di Putin o della Merkel! – accompagnato a un ragionevole pessimismo. Il commento di Francesco Battistini sul Corriere della Sera

Libia, la guerra infinita

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