Pandemia più crisi economica globale

Il presidente russo, Vladimir Putin, approfitta della crisi coronavirus nel mondo per colpire i rivali americani e sauditi nella guerra del petrolio e innesca un crollo devastante dei mercati. Da tempo la Russia cercava un modo per far pagare agli americani il regime punitivo imposto contro le compagnie russe. L’Amministrazione Trump a dicembre ha colpito con sanzioni la costruzione del gasdotto Nord Stream 2, che avrebbe dovuto collegare la Siberia alla Germania, quando mancavano ormai soltanto poche settimane alla fase finale. Poi tre settimane fa ha aggiunto sanzioni anche contro Rosneft, il gigante del petrolio russo, perché fornisce greggio al Venezuela di Nicolas Maduro. I russi volevano una rappresaglia contro le sanzioni e la crisi del coronavirus ha offerto loro l’occasione giusta. Il rallentamento del traffico globale a partire dalla Cina soffocata dal virus ha diminuito di molto la domanda di petrolio a partire da febbraio – la Cina ne sta chiedendo circa il venti per cento in meno. L’Arabia Saudita, che come si sa è uno dei maggiori produttori, aveva chiesto alla Russia di accettare un accordo per tagliare la produzione e in questo modo tenere alto il prezzo del barile. Ma al vertice Opec Plus di venerdì al quartier generale dell’organizzazione a Vienna il ministro dell’Energia russo, Alexander Novak, ha respinto per l’ultima volta la richiesta davanti al ministro saudita Abdelaziz bin Salman. Doveva essere un incontro per trovare un accordo, si è trasformato nel preludio della crisi di ieri. Se sauditi e russi non trovano un accordo per tagliare la produzione il prezzo del petrolio cala di molto e i primi a soffrire sono gli americani, perché loro hanno moltissimo greggio però lo estraggono dalle rocce con una tecnica costosa che si chiama fracking. Quando il prezzo scende troppo, vicino ai venticinque dollari al barile – e ieri il barile di petrolio costava 30 dollari, meno del barile vuoto – l’estrazione non è più conveniente per gli americani, vanno in perdita. Certo, anche i russi che spingono al ribasso vanno in perdita, ma è un sacrificio che sono disposti a fare in questa guerra del petrolio pur di punire gli avversari. Il ministero delle Finanze russo ieri ha fatto sapere di poter sostenere il prezzo del petrolio tra 25 e 30 dollari al barile per un periodo di tempo tra i sei e i dieci anni, che è un segnale chiaro di sfida. Dopo il fallimento del vertice di venerdì a Vienna, il crollo del prezzo è arrivato subito ieri in pochi secondi all’apertura dei mercati asiatici, a un livello che non si vedeva dai tempi della Prima guerra del Golfo nel 1991 e che poi non si era più visto nemmeno dopo gli attacchi dell’11 settembre. 

I sauditi hanno reagito con le brutte maniere alla sfida russa. Stanno vendendo ai clienti cinesi petrolio scontato fino a 6-7 dollari al barile e per compensare la perdita di ricavi derivata da questi sconti hanno aumentato di botto la produzione di due milioni di barili al giorno. In pratica i russi vogliono tenere il prezzo basso per far soffrire gli americani e i sauditi lo vogliono spingere ancora più in basso per far soffrire i russi. C’è una foto che circola del dopo incontro di Vienna e mostra la bandierina russa vicina alla poltrona del ministro Novak rovesciata e sembra che il principe saudita lasciando la stanza abbia detto: “Questo è un giorno di cui ci pentiremo tutti quanti”. Dev’essere stato un confronto molto ostile. 

La Russia da tempo corteggiava l’Arabia Saudita in cerca di investimenti e di un’alleanza, ma la crisi da virus era un’occasione troppo facile per non approfittarne e Mosca considera i regnanti sauditi troppo vicini all’Amministrazione Trump per riuscire a cambiare le cose ora. Questa guerra del petrolio arriva mentre il principe ereditario al trono, Mohammed bin Salman, combatte la sua guerra personale contro gli altri principi, che lui sospetta vogliano fare un golpe per prendere il suo posto. Sabato ha fatto mettere ai domiciliari i suoi rivali più diretti, e più vecchi, e questo ha innescato tutta una serie di rumors sul fatto che il re stesse per morire e lui volesse rafforzare il suo diritto alla successione con manovre, diciamo, preventive. 

Se alla corsa al ribasso tra russi e sauditi si aggiunge il rallentamento globale della domanda, in teoria il prezzo del petrolio dovrebbe scendere di molto e a lungo. Un tempo sarebbe stata una buona notizia, ma l’economia italiana non ne avrà grossi benefici perché è all’inizio della crisi da virus.

Daniele Raineri - Il Foglio - 10 marzo 2020

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Cresce la tensione tra Russa e Turchia

  • Pubblicato in Esteri

Nell’alleanza con Erdogan, il Cremlino ha investito più che nelle Olimpiadi invernali di Sochi, paradigma della dispendiosità nell’immaginario dei russi: dalla costruzione del TurkStream (11,4 miliardi di dollari) fino alla fornitura a credito (2,5 miliardi) del sofisticatissimo sistema di difesa anti aerea S-400, passando per la costruzione – ancora in corso – della centrale nucleare di Akkuyu. Il ritorno economico e soprattutto geopolitico di tutti questi investimenti è adesso messo in dubbio dal deteriorarsi della situazione, e potrebbe risultare nullo se si arrivasse al conflitto con la Turchia. Un motivo in più per cercare di evitarlo. Tra gli altri motivi, alcuni sono macroscopici: una guerra comporterebbe la chiusura di Bosforo e Dardanelli alle navi russe, e il probabile coinvolgimento della Nato. Di ragioni per evitare il conflitto e ripristinare buone relazioni, Ankara poi ne ha ancora di più. Il commento di Riccardo  Amati su Lettea 43.

Il pericolo di una rottura del patto per il potere tra Erdogan e Putin

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I tre problemi dell’uomo forte

I leader autoritari sono più deboli di quello che sembrano. Scrive il Sunday Times (16/2): E’universalmente riconosciuto che gli uomini forti governano il mondo”, scrive Niall Ferguson sul Sunday Times: “Sono finiti i giorni in cui l’Economist lodava Angela Merkel come ‘l’europea indispensabile’ e il Financial Times la incoronava come ‘leader del mondo libero’”. Ferguson descrive le tendenze autoritarie di molti leader contemporanei, tra cui Donald Trump, Xi Jinping, Jair Bolsonaro e Mohammad bin Salman. “In cima alle piramide autoritaria siede Vladimir Putin, che (mi è stato detto) ha un tenore di vita più sfarzoso di un imperatore romano. Ha una ricchezza inimmaginabile anche per Creso (alcuni dicono sia l’uomo più ricco del pianeta), dispone di un potere sconfinato in Russia ed è tra i più abili conoscitori di quel grande gioco che chiamiamo geopolitica. Putin è il capo dei capi… Tuttavia, essere un leader forte comporta tre problemi. Innanzitutto, più sei forte, più diventerai paranoico dato che i tuoi rivali sperano di rimpiazzarti attraverso un’oscuro complotto. Secondo, più diventi paranoico meno saranno affidabili le tue informazioni. Chi osa raccontare la verità al proprio capo? Terzo, a un certo punto rischierai di essere ucciso, dato che i tuoi nemici si sentiranno al sicuro solo quando sarai morto. Come spiega lo storico olandese Frank Dikotter nel suo nuovo libro, How to Be a Dictator, è difficile che un leader autoritario si ritiri a curare il proprio giardino. Benito Mussolini lo ha scoperto nel modo peggiore. E’ stato ucciso assieme alla sua amante Claretta Petacci, e i corpi a testa in giù sono stati appesi a una trave a Milano. Due giorni dopo, Hitler si è suicidato mentre l’Armata rossa si avvicinava al suo bunker a Berlino. Per evitare di finire anche lui appeso a una trave, il dittatore tedesco ha ordinato che il suo corpo e quello dell’amante Eva Braun fossero cremati. (Essere la fidanzata di un dittatore è anche molto pericoloso)”.

Ferguson elenca le cause di morte degli imperatori romani, dei monarchi britannici e dei sultani ottomani, molti dei quali sono stati assassinati. “Guardando agli uomini forti di oggi, possiamo concludere che quelli eletti democraticamente – come Boris Johnson e Donald Trump – sono più vulnerabili dei leader autoritari. Dopo tutto, devono essere sottoposti al giudizio degli elettori ogni quattro o cinque anni. Se fossi Boris, mi chiederei se l’aver promosso Rishi Sunak a cancelliere dello Scacchiere non ne abbia fatto inavvertitamente l’erede designato. La storia suggerisce che gran parte degli uomini forti autoritari dovrebbero morire entro la fine del decennio – e non sarà il coronavirus a ucciderli. A meno che l’epidemia di Wuhan non si riveli la Chernobyl di Xi Jinping, il che non è escluso. Dopo Maduro, che presto non avrà più una popolazione da saccheggiare, e il principe Bin Salman, i cui piani per riformare l’Arabia saudita sono destinati a fallire, Xi appare il leader più fragile. L’Economist tempo fa non lo aveva definito come ‘l’uomo più potente al mondo?’”.

Niail Ferguson - Il Foglio – 2 marzo 2020

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