Martin Parr: uno sguardo sul nostro “consumismo”

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“Si può imparare di più sul Paese in cui si vive da un comico che dalla conferenza di un sociologo.” L’ironia, come sappiamo tutti,  in maniera simile alla musica è un canale che raggiunge in modo efficace la nostra percezione e fa nascere in maniera quasi immediata  la  consapevolezza e la riflessione. La frase citata appartiene a Martin Parr, il fotografo a cui è intitolata la Fondazione omonima a Bristol, nel Regno Unito e di cui si apre domani al museo Civico  Archeologico di Bologna, la rassegna a lui intitolata. Essa reca il sottotitolo   Short  & Sweet, rivelatore di nuovi significati.  

L’artista ha fatto proprio il linguaggio pubblicitario,  con i tipici colori vivaci e brillanti e le immagini provocatorie, per ritrarre la società del suo tempo. Parr nasce a Bristol 72 anni fa e a soli ventitrè anni realizza un servizio fotografico sugli abitanti di Hebden Bridge, una cittadina dello Yorkshire, mentre la moglie compilava un diario   sul modo di vivere di questa gente.  Parr ha fotografato sia l’ambiente nel suo insieme sia le vite da colletti blu di operai, minatori, agricoltori, devoti, guardiacaccia e allevatori di piccioni.

 

Colpi di flash  ritraggono eventi quotidiani con un’attenzione in particolare ai Nonconformisti che prendono il  nome delle cappelle metodiste e battiste che stavano diventando allora numerose in quel territorio.  Qui  egli opera in bianco e nero, ma già si distingue lo stile  analitico di Parr, che mira a evidenziare nelle pieghe dei volti e degli abiti delle persone, catturate dal suo obiettivo, il loro modo di vivere, in particolare  nel tempo libero.

Le sue foto sono documenti. Le immagini di Parr sanno cogliere momenti comici o inaspettati, offrendo uno sguardo critico, ma anche divertente sulla vita quotidiana di ognuno.  Nella mostra comprendiamo il  suo metodo di ricerca attraverso  i progetti più noti.  Le sue foto  diventano una cartina al tornasole per osservare la società contemporanea e le sue pieghe più contraddittorie, quelle che appartengono al mondo occidentale, in particolare europeo. La sua lente fa focus soprattutto  sulla realtà britannica nelle sue peculiarità e bizzarrie.

GB. England. New Brighton. From ‘The Last Resort’. 1983-85.

Egli fa tesoro  della tradizione  americana della fotografia documentaria da Diane Arbus a Garry Winogrand, come lui racconta in un’intervista.

 Ho scoperto quella generazione di fotografi quando ero a scuola, perché il mio insegnante di arte era abbonato alla rivista “Creative Camera”, che pubblicava i lavori di Winogrand, Frank, Arbus; mi sono stati di ispirazione da subito, e penso di aver imparato da loro la capacità di pensare alle fotografie come a singole immagini … in cui lo spazio tra i soggetti è importante quanto l’inquadratura stessa. Credo che questa sia stata per me una lezione importante, che ho applicato al mio lavoro per evitare che fosse troppo narrativo. Poi c’è stato Tony Ray-Jones, che è andato in America alla fine degli anni Sessanta e ha scoperto e incontrato di persona quei fotografi, e una volta tornato in Inghilterra ha riprodotto quell’approccio nella sua fotografia; in un certo senso mi è arrivato anche da lì, oltre che dalle fotografie originali di autori come Robert Frank.

Fotografo e antropologo?

 Lui dice: Credo di sì, fa parte del mio approccio, mi interessa documentare la società, notarne i cambiamenti nel momento in cui avvengono, per così dire, e anche cercare di mettere a fuoco, nella mia fotografia, cose che saranno importanti negli anni a venire. Quindi sì, sono pienamente consapevole del taglio antropologico del mio lavoro.

 

La rassegna che ha la curatela dello stesso Martin Parr, apre domani e sarà visibile fino al 6 gennaio 2025. Essa  è un progetto  di 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE  e viene realizzata in  collaborazione con Settore Musei Civici Bologna | Museo Civico Archeologico e Magnum Photos.

Oltre 60 fotografie  da lui selezionate appositamente per questo progetto insieme  al corpus di immagini della serie Common Sense, che lo ha reso famoso, ricostruiscono il suo percorso artistico.

Fra le foto esposte scopriamo la serie  Bad Weather, realizzata tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, capace di mettere a fuoco  l’ossessione dei britannici per il tempo atmosferico. Con una fotocamera subacquea, Parr ha ripreso acquazzoni, pioggerelline, tempeste di neve  tra Inghilterra e Irlanda. “Di solito ti viene detto di fotografare solo quando la luce è buona e c’è il sole – dichiara l’autore – e mi piaceva l’idea di scattare fotografie solo in caso di maltempo, come modo per sovvertire le regole tradizionali”.

Le fotografie di Parr solleticano tante domande. Eravamo meglio oggi, ieri, o ancora tanto prima? The Last Resort è un reportage realizzato sulle spiagge di Brighton, sobborgo balneare di Liverpool, nella metà degli anni Ottanta, in un periodo di profondo declino economico del nord – ovest dell’Inghilterra. Scopriamo qui una denuncia del calzante consumismo, tema caro a Parr, un   reportage spietato lucido sulla fine del mondo  e dei suoi valori.

Lo  stesso spirito  distingue anche  l’installazione Common Sense. Nell’esposizione a Bologna  saranno visibili 250 fotografie in formato A3, selezionate tra le 350 esposte nella mostra omonima del 1999, che ci mostrano uno spaccato   del consumo di massa e della cultura dello spreco soprattutto nel mondo occidentale.  Viene messo “alla berlina” tanto di ciò che  vediamo volgare e stonato nella nostra società.

 

 Corrono sul filo dell’equilibrista, giocando con i nostri pensieri,  le immagini  sulla più democratica delle discipline, la danza, in  Everybody Dance Now, sull’Establishment inglese, reinventando i cliché dell’“inglese”, sulla grande “farsa” del viaggio contemporaneo, Small World e, sulla fotografia da spiaggia, Life’s beach  che  “conta” sulle tante spiagge del Regno Unito.

Nel catalogo dell’esposizione  Martin Parr. Short & Sweet, edito da 24 ORE Cultura, possiamo anche leggere un’intervista inedita a cura della storica e critica della fotografia Roberta Valtorta.

Patrizia Lazzarin, 28 settembre 2024

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