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Arte e Cultura

Io sono Leonor Fini a Palazzo Reale

di Patrizia Lazzarin

La mostra Io sono LEONOR FINI inaugurata a Palazzo Reale è una delle più complete retrospettive dedicate all’universo visionario dell’artista italo-argentina nata a Buenos Aires nel 1907.

Essa che ha la curatela di Tere Arcq e Carlos Martín, è promossa dal Comune di Milano – Cultura, gode del patrocinio del Ministero della Cultura ed è prodotta da Palazzo Reale e MondoMostre, con il supporto dell’Estate di Leonor Fini.

L’esposizione presenta oltre cento opere tra dipinti, disegni, fotografie, costumi e video e testimonia la versatilità della sua produzione. Spaziando dalla pittura alla moda, dalla letteratura al teatro (in una delle sezioni sono esposti bozzetti, figurini ed un costume disegnato da Leonor Fini provenienti dall’archivio Storico Artistico del Teatro alla Scala), la mostra svela l’immaginario di Leonor Fini, a partire dagli incontri e dalle impressioni, a volte sconvolgenti, della prima giovinezza e attraversa gli anni della formazione tra Trieste, Milano e Parigi, dove Fini stringe relazioni durature con intellettuali e artisti che forniranno ispirazioni alla sua arte.

Nel suo immaginario prediletto la sfinge è la creatura che sintetizza il suo lavoro e identità. L’artista affascinata fin dall’infanzia dalle figure allegoriche che ammirava nella sua città, come le cariatidi o le maschere note come panduri, si identifica con la sfinge in quanto essere ibrido e mutante.  Né uomo né donna, né animale né essere umano, né minacciosa né amichevole, tra custode e nemica, la sfinge è la figura che, nella sua ambiguità, seduce Leonor Fini. Attraverso questa figura l’artista recupera anche una coscienza femminile e allude a   tutti i poteri che la donna contemporanea ha perduto.

L’artista formatasi su una straordinaria cultura visiva che si fondava sul classicismo, manierismo e barocco e nutrita da un ricordo dell’adolescenza dove all’interno di un obitorio vede un giovane gitano nudo morto straordinariamente bello, ripropone più e più volte la scena dell’uomo nel fiore della giovinezza dormiente, apparentemente morto o, comunque, inerte e assente.  

Nata a Buenos Aires da una famiglia italiana, Leonor Fini si trasferì a Trieste quando aveva appena due anni insieme alla madre, donna assai indipendente che introdusse la figlia nei circoli intellettuali della città adriatica. Fini non rivide più suo padre, ma da piccola subisce un tentativo di rapimento da parte di scagnozzi inviati da lui. Da allora, in occasione di viaggi considerati pericolosi, la madre decide di travestirla da maschio e così Fini rinuncia temporaneamente alla sua identità di genere per salvarsi la vita.

Questo e altri episodi spiegano il suo successivo interesse per il travestimento, il suo trasformarsi in personaggi diversi, il gusto per il camuffamento e la maschera e la costante costruzione della propria figura autoriale attraverso l’autoritratto. Come ha detto: “Mettersi in costume, travestirsi è un atto di creatività. […] È una, o più, rappresentazione di sé, è l’esteriorizzazione in eccesso delle fantasie che ci si porta dentro, è un’espressione creativa allo stato grezzo”

Dopo essersi trasferita a Parigi nel 1931, Fini abbandona il suo iniziale stile naturalista per realizzare una serie di dipinti che mostrano una pennellata più fluida e più libera, con una tavolozza spesso di colori tenui, ma  tuttavia con  temi  decisamente provocatori. In questa città conosce i surrealisti, ma verso di loro mantiene un atteggiamento cauto pur essendone stimolata. Ricorda che fu eccitante incontrare altri artisti che apprezzavano la sua intelligenza e il suo talento, ma che rimase sconcertata dal fatto che, nonostante la loro presunta apertura mentale, fossero anche misogini e omofobi.

Negò ogni affiliazione al surrealismo. Disse: “Credo di essere nata surrealista come lo sono stati alcuni pittori del passato che hanno creato opere surreali prima che il termine venisse coniato”. A prescindere dalla diffidenza di Fini nei confronti del movimento nel suo complesso, esso le offrì l’opportunità di incontrare e fare amicizia con altre artiste che condividevano uno spirito analogo, quali Meret Oppenheim, Dora Maar, Leonora Carrington, Lee Miller, Dorothea Tanning, Frida Kahlo e Alice Rahon.

Molto è stato scritto sulla posizione, paradossale rispetto alle aspettative di ruolo, di muse e amanti in cui queste donne erano collocate all’interno del surrealismo. Basti dire che Fini si avvide di questa trappola insidiosa fin dall’inizio, anche se le posizioni rivoluzionarie del surrealismo contro le istituzioni consolidate la attraevano. Chiesa, matrimonio, famiglia erano un anatema per Fini, che dava valore alla propria indipendenza sopra ogni cosa. Fu forse in risposta all’atteggiamento dei surrealisti nei confronti delle donne che, nel 1935, Fini diede inizio a una serie di oli, con una tecnica più precisa, che ritraevano donne indipendenti e forti.

 In Autoportrait au hibou, si presenta nelle vesti della dea greca Atena e l’identificazione con donne potenti diventerà un caposaldo della sua opera. Partecipò ad alcune mostre surrealiste, in particolare nel 1936, quando i suoi dipinti furono esposti all’“International Surrealist Exhibition” alle New Burlington Galleries di Londra e alla “Fantastic Art, Dada and Surrealism” al Museum of Modern Art di New York. A Londra presentò il suo enigmatico dipinto L’Arme blanche, in cui sono ritratte due donne avvinghiate in un modo coreografico: giocando i concetti di dominanza e di sottomissione, sfida le norme di genere nel modo più sconcertante e scomodo.

La visione avanguardistica di Fini sulla sessualità, l’omoerotismo e il genere fu scioccante per gli stessi surrealisti. Tenendo le distanze da Breton e da alcuni dei suoi accoliti, Fini frequentò alcuni degli adepti al movimento, fraternizzò con Max Ernst e Victor Brauner, fu influenzata dalle teorie di Georges Bataille o dalla poesia di Paul Éluard o René Crevel e sperimentò il disegno automatico. Il surrealismo introdusse Fini nei regni della magia, dell’occultismo e dell’alchimia che permeeranno la sua opera per gli anni a venire.

Le sue opere sono popolate da amazzoni, guerriere, maghe, streghe, fate e dee, nonché da creature mitologiche quali sfingi, chimere e sirene che a volte hanno un ruolo intercambiabile.

Il ricorso agli archetipi da parte dell’artista funge da strategia sovversiva di una femminilità codificata. Inoltre, utilizzando modelli di auto-rappresentazione risalenti all’antichità, Fini riesce a suggerire che ci sia stato un tempo, pre-patriarcato, in cui le donne erano libere di esprimere i loro poteri spirituali e psichici. In questi regni immaginari le donne sono al centro di un uni verso panteistico in grado di controllare i cicli della natura.

18 marzo 2025

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