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Editoriali

Anacronismi italiani

di Bruno Chiavazzo

L’Italia è uno strano Paese dove succede di tutto, dove ogni regola viene bellamente ignorata, dove le più elementari norme di buona creanza vengono sbertucciate e calpestate. Un Paese dove nei pronti soccorsi si menano gli infermieri, nelle scuole si picchiano gli insegnanti, nelle aule istituzionali, deputati e senatori si scagliano qualsiasi cosa, compreso pugni e spintoni, si mostrano nodi scorsoi, si levano cartelli di ogni genere, ma guai a presentarsi con l’outfit non rispondente alle regole imposte nel secolo scorso. Vi racconto questo episodio: l’altro giorno ero stato invitato a partecipare alla presentazione di un libro presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani al Senato della Repubblica. Mi presento all’orario stabilito con l’abbigliamento consono per l’occasione, completo grigio, dolcevita blu e cappotto (a Roma facevano 8 gradi) all’altezza. Premetto che ero stato accreditato come giornalista. Al portone dell’imponente Palazzo mi ferma un commesso in marsina e papillon che mi chiede dove stavo andando. Gli spiego chi ero e che ci facevo colà, gli mostro il tesserino dell’Ordine dei Giornalisti e quello, senza neanche degnarlo di uno sguardo, mi dice: “Non può entrare!”. Resto un pò interdetto e chiedo perchè. Lui: “non ha la cravatta”. Gli dico se secondo lui con un dolcevita posso portare la cravatta. Il breve battibecco solleva la curiosità del carabiniere in alta uniforme che piantonava l’ingresso che si avvicina. Il commesso irremovibile come un paracarro e senza guardarmi in faccia, ma rivolto verso il carabiniere per farmi capire come poteva finire la cosa, mi concede una chance: “Vada a comprarsi una camicia, la cravatta gliela diamo noi”. Mi monta il nervoso e capisco che la situazione può degenerare, il carabiniere sempre più vicino, giro i tacchi e vado via. Mentre esco vedo almeno cinque altri commessi in marsina e papillon che stazionano nella portineria a non fare assolutamente nulla, mi guardano con sufficienza nella loro divisa da maggiordomi, continuando a parlare della Roma e della Lazio. Non voglio infierire riportando gli stipendi di questi “servitori” dello Stato (basta dare un’occhiata su Google), capisco anche che non è colpa loro, ma di un regolamento assurdo che tende a mantenere le distanze tra il comune cittadino e le sacrali Istituzioni (sic!). Come si fa a prendere sul serio dei senatori, lautamente pagati con i soldi dei cittadini anche senza cravatta, che ci ammorbano ogni giorno con le litanie sulla democrazia e sul popolo sovrano? Forse sono quisquilie, pinzillacchere, come direbbe Totò, fatto sta che il 50% degli italiani non va più a votare e il trend è in forte risalita. Forse è lo “zeitgeist”, lo spirito dei tempi, che io non ho capito. Comunque la prossima volta mi presenterò in orbace, fez, camicia e cravatta nera. Voglio vedere se mi fermano e, nel caso, mi rivolgerò direttamente al Presidente del Senato, Ignazio La Russa, sicuro di trovare adeguata accoglienza.

20 aprile 2025

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