di Patrizia Lazzarin

Questa frase che leggiamo sul frontespizio del più recente libro di Ameya Gabriella Canovi, psicologa ed esperta nello studio delle relazioni familiari e della dipendenza affettiva, altrettanto pericolosa negli effetti di quella causata da sostanze, appare un luogo paradisiaco che vorremmo immediatamente conoscere. Certamente non aspiriamo apparire per questo legittimo desiderio, come il solito Narciso che tanta letteratura ha tramandato e di cui scrive anche l’autrice indicando questa interpretazione comune. Vorremmo invece riscoprire quel mito di colui che non conosceva la sua immagine prima di essersi specchiato e ritrovare così chi si interroga, cerca di conoscere la sua stessa identità.
Vogliamoci bene, ma andando a guardare dentro di noi, recuperando il filo della nostra storia che ci lega, nel bene e nel male, alla nostra “famiglia”. Sintetizzando al massimo, scrive l’autrice: “è la gentilezza per i nostri stati bui, per la nostra umanità”. Una parola magica che tocca tutta la complessità del nostro essere e del nostro esistere nel mondo. Canovi aggiunge: “l’amore per noi stessi non si manifesta alle Maldive, a bordo piscina mentre sorseggiamo un frullato di frutta multivitaminico, … anche se è un bel regalo fatto a noi stessi”.

Nella sua narrazione accanto agli strumenti che ella ci suggerisce per affrontare questa ricerca ci sono le vicende di tante coppie, ma anche di relazioni genitori figlio che si intersecano, di ruoli confusi, di atteggiamenti che inducono ad errori, di strati di sofferenza che si depositano creando ansie e paure che bloccano la vita affettiva e lo stesso pensiero.
Ella ci conduce attraverso esperienze vissute che raccontano le figure che hanno accompagnato la nostra infanzia e adolescenza. Ci suggerisce di guardare ai luoghi dove abbiamo abitato e di chiederci come pensiamo ad essi. Per trovare quel posto bellissimo che è dentro di noi, che siamo noi, abbiamo bisogno infatti di radici che non ci facciano sentire come foglie al vento che non sanno dove vanno.
Una ricerca che si arricchisce sempre di nuovi tasselli e che potremmo affermare che non ha mai fine perché la vita mostra tutta la sua imprevidibilità. Un processo di conoscenza che ci conduce anche a cambiare, se questo potrebbe farci stare meglio. Questo spesso tuttavia non accade con facilità perché l’essere umano teme il mutamento. Dice Canovi: “l’uomo cerca in primis la sicurezza e non la felicità”. E la prima ad orientare molto spesso le nostre scelte. La stessa che fa continuare una relazione tossica, che non ci fa scegliere un lavoro migliore …
Il cambiamento non si realizza con atteggiamenti repentini e scelte immediate e radicali. Sono piccoli passi quelli immaginati che ci garantiscono nel nostro pensiero di poter appoggiare su un terreno sicuro. Non sono i devi che ti vengono indicati a fare la differenza, a permetterti di ottenere ciò a cui tanto tieni e neppure i nostri imperativi.
Noi ci sposteremo da quella che appare una confort zone quando dentro di noi avremmo percepito che non lo è più tanto e, forse, qualcosa di più attraente c’è anche fuori dove, piano piano potremmo avanzare. Aiuta in questo, apprezzare ciò che di buono è in noi, fare pensieri belli sulla nostra persona e non rafforzare le idee che tendono a svilirci.
Se noi osserviamo e teniamo come esempio la vita della scrittrice quel posto bellissimo appare possibile. Lei stessa ci racconta nel libro che fin da quando era piccola, aveva dovuto lavorare e studiare e poi dopo vent’anni trascorsi ad insegnare letteratura straniera, ha deciso di cambiare e di fare quello che amava di più: diventare psicologa, ottenere persino un dottorato di ricerca, conseguendo il titolo di PhD che sta per philosopher doctor. E poi scrivere … studiare … meditare … andando dentro di sè…
30 marzo 2025