di Patrizia Lazzarin

Il Neolitico, iniziato circa 12.000 anni fa, segnò una trasformazione cruciale nella storia umana, con il passaggio da economie basate sulla caccia e raccolta alle prime forme di produzione di cibo, come l’agricoltura e l’allevamento. Questa transizione avvenne principalmente grazie alla dispersione di comunità agricole dall’Asia sud-occidentale, che introdussero nuovi stili di vita e causarono profondi mutamenti genetici nelle popolazioni autoctone. Cosa accadde in Nord Africa durante questa transizione?
Uno studio condotto da un gruppo internazionale di ricercatori e ricercatrici provenienti da Africa, America ed Europa ha fornito la prima ricostruzione genetica disponibile delle antiche popolazioni del Maghreb orientale, l’attuale Tunisia e Algeria orientale. La ricerca rivela che i gruppi locali di cacciatori-raccoglitori mantennero gran parte del loro patrimonio genetico nonostante l’arrivo di popolazioni neolitiche dall’Europa e dall’Asia sud-occidentale. Questo risultato è frutto di un approccio interdisciplinare che combina genetica, archeologia e antropologia fisica per ricostruire la storia profonda delle popolazioni umane del Nord Africa.

Doukanet el Khoutifa, Tunisia (Foto: Giulio Lucarini)
“Il ruolo del Maghreb orientale in questa transizione è sempre rimasto meno chiaro, anche a causa della mancanza di studi genetici condotti nell’area”, spiega Giulio Lucarini, archeologo del Cnr-Ispc.
Analizzando i dati genetici di individui vissuti tra 15.000 e 6.000 anni fa in questa regione africana, gli studiosi hanno evidenziato un’elevata continuità genetica. “L’analisi degli individui di circa 7.000 anni fa ha rivelato che, sebbene gli agricoltori europei abbiano contribuito al patrimonio genetico locale-generalmente per meno del 20%-il loro impatto fu molto più limitato rispetto ad altre aree del Mediterraneo settentrionale, dove le comunità agricole sostituirono in gran parte i gruppi di cacciatori-raccoglitori autoctoni”, continua Lucarini.
“A differenza del Maghreb occidentale (l’odierno Marocco), dove l’ascendenza genetica legata agli agricoltori europei ha raggiunto, in alcune popolazioni, l’80%, nel Maghreb orientale l’introduzione della produzione alimentare sembra essere avvenuta attraverso una combinazione di migrazioni sporadiche, scambi culturali e una graduale diffusione delle conoscenze”.

Scavi di resti umani a Doukanet el Khoutifa, Tunisia (Foto: Giulio Lucarini)
“Le evidenze disponibili – aggiunge il ricercatore – sfidano quindi l’idea che l’agricoltura abbia completamente rimpiazzato le precedenti tradizioni. Al contrario, le comunità del Maghreb orientale dimostrarono una straordinaria resilienza, sia culturale che genetica”.
Uno degli aspetti più affascinanti di questo studio è la scoperta di un’antica ascendenza genetica legata ai cacciatori-raccoglitori europei in un individuo tunisino vissuto circa 8.000 anni fa. “Questa è la prima chiara evidenza genetica di contatti tra le popolazioni dell’Europa meridionale e del Nord Africa, avvenuti attraverso rotte marittime, come quelle lungo lo Stretto di Sicilia”, spiega il ricercatore. Sebbene questa ipotesi fosse già stata avanzata in seguito al ritrovamento a Hergla di ossidiana proveniente da Pantelleria, questa è la prima conferma diretta di tali contatti ottenuta grazie ad analisi genetiche.

Sepoltura a Hergla (Foto: Simone Mulazzani)
La ricerca si allinea perfettamente con le evidenze archeologiche, che hanno mostrato come le comunità del Maghreb orientale abbiano continuato a basare la loro economia principalmente sull’allevamento di pecore, capre e, in minor misura, bovini, affiancando a questa pratica la raccolta di molluschi terrestri e piante spontanee e le attività di caccia. “Il passaggio alla produzione alimentare non fu dunque un processo uniforme in tutto il bacino del Mediterraneo. Nell’analizzare i movimenti di queste antiche popolazioni, è possibile ottenere informazioni fondamentali sui modelli di dispersione e adattamento dei gruppi umani, dinamiche che, in alcuni casi, continuano a influenzare le società contemporanee”, conclude il ricercatore.
Lo studio è pubblicato su Nature, che ha coinvolto l’Istituto di scienze del patrimonio culturale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ispc) e l’Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente (ISMEO).
29 marzo 2025