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Arte e Cultura

L’elisir d’amor al teatro del Monaco           

di Patrizia Lazzarin

Nello spazio – scrigno del Teatro del Monaco a Treviso, dipinto con affreschi e dalle balaustre decorate in tessuto e perle, quasi un fiore che apre i suoi petali per mostrare il lavorio intenso di api intente a succhiar nettare, così ha preso forma ieri, L’Elisir D’Amore, il melodramma giocoso, in due atti, di Gaetano Donizetti.

Le note dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta diretta da Tiziano Severini e le voci del Coro Lirico Veneto diretto da Matteo Valbusa, hanno saputo ricreare le atmosfere magiche di un tempo antico, simile allo stupore originatosi, vien quasi da immaginare, di quando venne rappresentato per la prima volta, nel maggio del 1832 a Milano, al Teatro della Cannobiana.

Adina (il soprano Giulia Mazzola), ricca e capricciosa fittaiuola, Nemorino (il tenore Liparit Avetysian) giovane contadino, innamorato di Adina, il dottor Dulcamara (il basso buffo Daniel Giulianini) medico ambulante, Belcore (il baritono William Hernandez), sergente di guarnigione nel villaggio e Giannetta, la villanella (il soprano Judith Duerr), erano le voci e i protagonisti principali del melodramma.

Esso ha saputo riempire non solo il palco, ma anche la platea di momenti di divertimento e di ilarità che nascevano dal sentimento comune di guardare all’Amore con gioia. E questo gli attori in scena hanno saputo ricreare, attraverso arie famose quali Una furtiva lacrima o Prendi per me sei libero e molte altre, in particolare quelle che sono diventate patrimonio comune.

La vicinanza all’Arte era palpabile e nei canti che si spandevano si riconosceva il gioco dell’amore, con le sue gioie e infelicità. L’elisir D’Amore, un classico dell’opera ottocentesca conservava il suo   fascino nell’aprirsi con una scena pastorale dove Adina leggeva durante una pausa del lavoro, la storia del filtro magico di Tristano e Isotta e Nemorino rivelava il suo amore, non compreso.

L’amore, come dimostra anche il successo dell’opera nel pomeriggio di un teatro pieno di spettatori entusiasti, e in particolare   quell’amore ricco di passionalità, di schermaglie, di attese e sospiri, capricci e desideri, nello spazio scenico trovava il gioco adatto a rappresentarlo.

La voce solitaria, in alcuni momenti, di Nemorino che cantava della potenza del sentimento scandiva il contrappunto dell’esuberanza di Adina che all’inizio non vuole legarsi ad alcuno e desidera amare in libertà. Cori e comparse di villani e villanelle, soldati e suonatori del reggimento, servitori, nei loro costumi e scenografie curate da Gian Maurizio Fercioni in collaborazione con il Teatro La Fenice di Venezia, rappresentavano in miriadi di colori, uno squarcio di spazio e tempo.

L’opera era ambientata nel Settecento in un paesino basco, ma potevamo vedere similitudini, ad esempio nel banchetto matrimoniale dei promessi sposi, con le fastose scene delle tele dipinte da Paolo Veronese.

Gocce di luce e scintille di un arcobaleno non previsto, hanno felicemente concluso il melodramma, mentre avvenenti signorine, al seguito dell’imbonitore Dulcamara regalavano piccoli dolci alle persone presenti in sala. Il dottor Dulcamara con la sua chioma leonina e, a tratti stravagante ha cantato dell’inganno e della gioia che esso può dare, dentro il gioco della vita che incrocia furbi e più furbi, e ne conserva tutta l’imprevedibilità.

Giova ricordare che il melodramma che, mantiene nel tempo il favore del pubblico, si nutre della leggenda che l’opera sia stata scritta in quindici giorni, come racconta Emilia Branca, moglie di Felice Romani, autore del libretto, nel volume dedicato al marito.   

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