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Arte e Cultura

Nomen nomen

di Agostino Roncallo

Roma, 23 Dicembre 1913: sul binario 1 della stazione Termini si era assiepata una grande folla davanti alla quale uno schieramento di polizia proteggeva il presidente della Repubblica e la delegazione del governo francese. Il treno in arrivo aveva un carico importante, nientemeno che il più celebre dei dipinti a olio di Leonardo, la Monna Lisa. Nell’attesa di quel treno Louis parlava con Vincent Léonard, un delegato dell’ambasciata francese e amico di vecchia data che due anni prima, all’epoca in cui avvennero i fatti qui narrati, era sottosegretario all’Intendenza delle Belle Arti di Parigi.

  • Sei poi andato in quel luogo là?
  • Certo che ci sono andato, Dumenza è un piccolo villaggio sulla sponda lombarda del lago maggiore, esattamente di fronte a Oggiogno, torreggiante sulla costa piemontese.
  • Sì ma, dettagli a parte, cosa ti hanno detto del Peruggia?
  • Ho parlato con alcune persone del posto, alcune delle quali lo conoscevano fin dall’infanzia. Ne avevano tutte una assai scarsa considerazione: “Ah il Vincenzo l’imbianchin, quel balord là!” dicevano.
  • Balord?
  • Balord sì, per dire balordo, cioè persona stravagante e poco affidabile.
  • Non è che parlavano di te?
  • Non fare lo spiritoso, io sono Bèroud, Louis Bèroud e non Balord. Come artista ho ormai una certa fama. A proposito, hai poi trovato il tempo di vedere i miei quadri al Carnavalet?
  • Più che artista ti definirei un copista ma, insomma, non offenderti, al Carnavalet ci andrò appena trovo il tempo. Cosa ti hanno raccontato di lui? In che senso era poco affidabile?
  • Nel senso che ogni volta che c’era bisogno di una semplice imbiancatura arrivava e iniziava a dipingere le cose più stravaganti dicendo di essere un grande artista: a qualcuno ha persino detto di voler andare a Parigi per esporre le sue opere al Louvre. Quando ho raccontato loro che al Louvre era stato davvero, non volevano credermi, neppure mi hanno dato il tempo di spiegare il motivo per cui ci si era recato. D’altronde se avessi raccontato che c’era andato per rubare “La Gioconda” mi avrebbero preso per un matto ubriacone.
  • Voleva esporre le sue opere al Louvre!!!
  • Eh sì, alquanto megalomane il tipo, non ti pare? Quando l’avevate assunto come sorvegliante non vi eravate accorti di nulla?

Effettivamente non si erano accorti di nulla. In quella calda estate del 1911, Parigi era piena di visitatori e il museo del Louvre necessitava di un certo numero di sorveglianti. Nell’urgenza di assumere nuovo personale, non vi fu una selezione accurata ma solo sbrigativi colloqui, utili tutt’al più a verificare la reale disponibilità degli interessati. Fu così che Vincenzo Peruggia venne assunto nel luogo che rappresentava la meta delle sue fantasie. Accadde anche, erano i primi di Agosto, che la sovrintendenza decise di sostituire la teca del capolavoro leonardesco: erano presenti lo stesso Léonard, il direttore del museo e alcuni tecnici. Serviva però anche la forza di braccia di due persone, vennero richiesti due sorveglianti e, vai tu, vado io, finì che proprio il Peruggia fu uno dei prescelti. Egli assistette così all’intera operazione e venne a conoscenza dei segreti relativi alla custodia di quel quadro.

  • Hai presente, Vincent, il giorno 20 Agosto, quando partisti per le ferie?
  • Ascolta, te lo chiedo per favore, non ricordarmi quella tragica estate!
  • Ricordo come fossi oggi le parole che ci avevi detto congedandoti: “Amici, questa estate voglio davvero riposarmi, domani partirò per un viaggio in Spagna, non voglio essere disturbato per nessun motivo, a meno che il Louvre prenda fuoco o, che so io, la Gioconda venga rubata”.
  • E ridi anche?
  • Il giorno dopo la Gioconda fu rubata!
  • Giuro che, quando mi pervenne il telegramma che mi informava del fatto, pensai subito a un tuo scherzo e lo gettai nel cestino, non potevo credere che la notizia fosse reale.
  • Altro che scherzo! Quella mattina ero andato al museo per effettuare una copia del quadro, secondo l’incarico che mi era stato assegnato. Avevo salutato i custodi e mi ero diretto nella Salle Carrée dove avevo tirato fuori il cavalletto, i pennelli e il camice, tutto il mio armamentario insomma. Poi posizionai una tela bianca, mi sedetti, afferrai un pennello e, rimasi di stucco: davanti a me c’era una teca vuota. Il dipinto era stato evidentemente rubato. Credo che il mio urlo sia risuonato in tutte le stanze del museo.
  • Dopo la vostra telefonata, iniziarono a uscire giornali con titoli a caratteri cubitali, parlavano di indagini, di accuse, ma del capolavoro non vi era alcuna traccia. Rifeci allora i bagagli e, addio vacanze!
  • Del furto fu accusato quel poveraccio di Apollinaire solo perché tempo prima aveva provocatoriamente dichiarato che i capolavori dei musei avrebbero dovuto essere eliminati per lasciare spazio alla nuova arte.
  • Non solo, se ben ricordi Apollinaire si era circondato di elementi poco raccomandabili, come quel tipo losco, il Picasso, che poco tempo prima aveva trafugato, proprio dal Louvre, due testine di epoca barbarica con l’idea di utilizzarle come modello per un suo dipinto. Cose da fuori di testa. Se non avessero avuto un alibi di ferro quei due sarebbero in galera ancora oggi.

Vincenzo Peruggia aveva dunque rubato la “Gioconda”. Ma c’è qualcosa che Louis e Vincent non sapevano: le motivazioni e le modalità del furto. Vista sfumare la possibilità di pubblicare una qualunque delle sue “opere” nel più prestigioso museo di Francia, il nostro imbianchino cambiò progetto. Evidentemente ignorando che lo stesso Leonardo nel 1517 avevo ceduto il ritratto a Francesco I per la considerevole somma di quattromila scudi d’oro, si mise in testa che il quadro fosse stato portato a Parigi dalle truppe napoleoniche e che quindi andava restituito allo stato italiano. Chi, se non lui, che conosceva i segreti del museo, poteva fare il così nobile gesto della restituzione? Il nuovo progetto, che aveva anche il sapore di una rivincita nei confronti di quei “salopards” di francesi che solevano chiamarlo “mangiamaccheroni”, fu minuziosamente preparato. Occorreva in primis un robusto alibi e la prima difficoltà era il cugino con cui condivideva un piccolo appartamento nel centro cittadino. Doveva fare in modo che non avesse sospetti. La sera prima organizzò dunque una serata in osteria con un gruppo di amici italiani: offrì vino francese e, tra canti e risa, si fece l’alba. Quando uscirono dal locale erano tutti un po’ ubriachi, cugino compreso. Il più sobrio era forse proprio Vincenzo che, con diabolica lucidità, fece in modo di farsi multare da un gendarme per schiamazzi notturni. E sulla multa era segnato il giorno e l’ora, elementi determinanti per l’alibi. Al rientro il cugino crollò nelle braccia di Morfeo in men che non si dica e, in modo non meno solerte, egli uscì. Meta: il Louvre.

  • Il Peruggia rubò il quadro alle prime luci dell’alba. A quell’ora i custodi del museo, caro il mio Vincent, sono perennemente addormentati!
  • Addormentati o no, conosceva alla perfezione la pianta del museo e gli accessi secondari, raggiunse senza difficoltà la Salle Carrée, prelevò la tela e uscì con quella sotto braccio. Una beffa! Il giorno dopo per la rabbia ho licenziato tutti i sorveglianti.
  • Ma tu ricordi quella mattina quando, nel bailamme successivo alla scoperta del furto, la polizia ha interrogato tutto il personale del museo?
  • Mi ricordo benissimo.
  • Sai anche che il Peruggia era lì?
  • Come?
  • Ma sì, era lì ti dico, anche lui stupito, come tutti, per quanto era accaduto. Rispondeva alle domande come una persona “caduta dal pero”.
  • Diabolico imbianchino!
  • Per non parlare di quando la gendarmeria perquisì la sua stanza. Hai avuto modo di visionare il verbale?
  • Naturalmente lessi quel verbale in cui si diceva che non era stato trovato nulla. La perquisizione del resto era un atto dovuto.
  • Ti rendi conto? L’ispettore che redige il verbale seduto al tavolo sul cui ripiano interno era nascosto proprio il dipinto! La Gioconda era lì, sotto gli occhi di tutti ma nello stesso tempo nascosta a tutti.
  • Louis, ma tu cosa avresti fatto al mio posto?

E il Peruggia con il quadro sotto il braccio tornò effettivamente nella sua abitazione. La portinaia del caseggiato non aveva ancora preso servizio, erano le sette del mattino e non poteva vederlo rientrare. Il cugino poi, dormiva sonni profondi. Così alle 9 si svegliò e facendo colazione gli disse: “Abbiamo alzato il gomito questa notte, eh?!”. Sì sì, aveva risposto lui, ancora mezzo addormentato. Poi uscì e si incamminò verso il Louvre dove vide il caos più totale.

  • Cosa posso dirti, Vincent, tu in fondo non hai responsabilità. Certamente vi furono degli errori ma se non fosse successo tutto questo, ora non saremmo qui e, probabilmente, il quadro non avrebbe mai raggiunto Roma.
  • Sì ma nel frattempo io ho rischiato l’esaurimento nervoso!
  • Lo so, il finale è stato memorabile ma dimmi: cosa hai pensato quando si venne a sapere che un certo Vincent Léonard era l’autore del furto?
  • Ebbi le traveggole, girai e rigirai tra le mani il telegramma come intontito. Di ipotesi balzane ne erano state fatte tante: chi diceva che i tedeschi, storici nemici dei francesi, avessero architettato tutto, chi invece sosteneva che l’autore altro non poteva essere che un folle e un maniaco, ma che il colpevole fossi io, no, questo proprio non potevo immaginarlo.

Il diabolico imbianchino ne aveva fatta un’altra delle sue: si era presentato all’antiquario fiorentino Alfredo Geri con una lettera in cui si dichiarava disposto a vendergli nientemeno che la Monna Lisa, firmando la lettera col nome del segretario alle Belle Arti di Parigi! Naturalmente Geri informò del fatto gli investigatori e poi si recò all’appuntamento all’albergo “Tripoli e Italia”. Lì la polizia fece irruzione nella stanza del sedicente Léonard, alias Peruggia, e recuperò il famoso quadro. Il Peruggia fu processato mentre la Gioconda, perduta e ritrovata, fu esposta agli Uffizi di Firenze. Quando poi quel 13 Dicembre , sul binario 1, Louis e Vincent udirono il fischio del treno in arrivo, il quadro venne portato all’ambasciata di Francia di Roma e successivamente alla Galleria Borghese. Infine, un mese dopo,con un treno speciale delle Ferrovie italiane, fu riportato a Parigi. 2 marzo 2025

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